Fare pasticceria senza un tempo… Sergio Bosca

Canelli. Principio di valle Belbo, letto del Tanaro e alluvione nella memoria. Qui, la Langa Astigiana non è ancora un declivio. Bisogna muoversi, guardare i vigneti e sentire la profondità di paesi dove non c’è più nulla da rischiare. Qui, hanno guardato un territorio e l’hanno sublimato. Anche nella notte, anche tra l’acciottolato del centro, il passaggio del fiume e le rotonde conformi alla legge. Canelli è quel luogo di frontiera alle cui spalle rimanere candidi. Di lì la città, il consumo e il peccato sono un passo non particolarmente affrettato. L’industrializzazione dello spumante è solo quella certezza che esiste un Mondo. Perché le Langhe hanno questo benessere esoterico di tenerti avvinghiato, di non concedere un aldilà. Qui, si è talmente compresi da non potere fare altro che produrre. Senza un obbligo e senza un desiderio. È una questione di mani ed è una questione di vista. Mettersi in atto, guardando la terra, non fa nemmeno parte degli insegnamenti aurorali, credo sia più qualcosa da giochi per ragazzi, da caccia al tesoro, da non sapere se perdersi o se ritornare. Qui, la libertà è un concentrato di lavoro. Per il proprio luogo e per la propria identità. E un pasticciere di territorio non può essere che la scelta più deterministica.

Pasticceria Bosca. Fulvio Marino e Maurizio Cerrato confermano. E così mi trovo davanti ad una tradizione con gli stilemi della contemporaneità… l’inganno, però, è dietro la porta… i lustrini sono solo mobiliari… il palato è la metafora di un ricettario Vialardi…

L’accoglienza di Michelina è di una cortesia senza requie. Venendo da una giornata storta e da città dimenticate sotto la coltre di neve, non pensavo che un paio di concordanze potessero essere così balsamiche. L’orgoglio è nei dolci e nelle foto di famiglia. Manca quel velo di tristezza antico da pasticceria ormai in pensione. La fatica e l’umore sono quelli del lavoro. Continuo, indefesso, che mi stanca solo a guardarlo. I monumenti dolciari non sono di questi luoghi, qui si continua, anche ben oltre le età della quiescenza. I dolci sono quelli della tradizione e quelli del territorio. La nocciola è ovunque, come fragranza, come coltura e come colori. Il Pan Canej, declinazione di Sergio della torta di nocciola, è nascosto sotto campane e dentro scatole. Trovandola al gusto, su suadenza di Michelina, mi lascia l’umidità delle farine Marino, persistenti, incredibilmente lunghe (ogni volta rimango stupefatto), e una nocciola ben equilibrata e non particolarmente tostata. Io non l’abbinerei con qualcosa di liquido, ma con qualcosa di viscoso. Il mattone delle Langhe arriva come un tiramisù ma manca della sofficità. È un biscotto bagnato nel caffè ricoperto di granella. Estremamente casalingo. Estratto direttamente dal libro della povertà, dell’indigenza, delle ragazze acqua e sapone e dei compagnucci della parrocchietta. È antico. Ma è qui la sua verità. Caffè, crema, burro e biscotti. Un dolce tutto ingredienti. La torta alle castagne, invece, ha il ricordo di una torta paesana. Bagna al rum e amaretto a completare senza sovrastare. Un altro pezzo intimista.

Sergio Bosca ha la diffidenza claustrale. Per me solitario, per la moglie misantropo. Siamo inattesi e probabilmente inopportuni. Almeno all’inizio. Sabato pomeriggio e molte mani in pasta. Lui si stacca, capisce che vogliamo racconto e tiene lontano tutto ciò che riguarda scuole, maestri, modelli e pasticcieri. Lui fu un garzone del pane. Tutto lì, senza nomi, senza velleità, senza estetiche minimaliste. Una cosa lo fa ancora essere pasticciere. Da quando ha aperto (1977), ha utilizzato uova in guscio. Il giorno che non potrà più per le ondivaghe leggi italiote, lui smetterà. Punto d’inizio e punto d’arrivo. Il resto è lavoro e immersione in un ruolo. È frammentario, potrebbe anche non esserci. La mia puntigliosità su determinati ingredienti, in determinate creazioni, è un fluire della storia, senza la storia. A chi interessa? Per una volta, chi se ne frega. Qui, si respira ancora quel mondo delle dolcerie piemontesi, strutturate, impegnate e barricate che nemmeno la modernità dei figli, epitome dell’idolatria contemporanea, uno attore e l’altra cake designer, riuscirà a scalfire. Anche perché loro tornano, aprono aziende agricole e mettono le mani in pasta. La sfiducia verso il futuro, figlia del benessere e della necessità di comunicare, è un’intenzione d’essere senza belletto. Qui, c’è ancora una famiglia che insegna, percepisce e coltiva…

 

PASTICCERIA BOSCA

PIAZZA AMEDEO D’AOSTA 3

CANELLI (AT)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *