Il torrone Faccio e i quattro elementi… Maurizio Cerrato

Cassinasco e la pausa in mezzo alla tempesta. 50 kilometri buttati verso Casale Monferrato, rischio di ritiro della patente sotto una debole nevicata, gomme lisce e catene inadatte. Una neve andante. Fuori strada dietro l’angolo. Abbandono dei progetti. Le condizioni climatiche, nella Langa Astigiana, tra Castel Boglione e Roccaverano, non mi permettono, per la prima volta, di rispettare parte dei miei tracciati. La lucida follia mi spinge a scivolare in retromarcia alla ricerca di un tempo migliore. Nizza Monferrato e strada per Cassinasco. Fino a Canelli, tutto liscio. Gli ultimi cinque kilometri, da caso fortunato. Meta e abbandono della macchina. Unico posto aperto, una tavola fredda totalmente fuori tempo massimo. Un posto di frontiera, da tramonto di un’epoca. Tra Peckinpah e le montagne dello Utah, una più che gentile signorinetta del posto gestisce il banco e la ristorazione. Trenta centimetri di neve in mezz’ora e una lasagna cartonata da imperitura memoria. La magia è sempre e comunque dietro un vetro appannato.

Le anime morte sono un conteggio per eccesso, le robiole di Roccaverano sono casualmente religiose (in parole povere, qui le mangiano tutti) e le anime vive sono quattro giocatori di carte, all’interno del bar, dal dialetto lancinante e dallo sguardo meno allergico del classico paesano. L’Antica Casa Faccio è l’unico posto chiuso che all’interno prevede un lavoratore indefesso: Maurizio Cerrato, l’ultima generazione di una storia di cascine, cotture a legna, fiere e torroni.

La dolceria sembra uscita dal libro dei ricordi, le vetrine alte, i vetri lucidi, il legno, il bronzo delle bilance e i colori nocciolati del torrone. Gli anni ’60 in uno splendore mai rivisitato per mancanza di necessità. Questa non è una pasticceria, questa è una torroneria.

Maurizio è da solo. Con sua moglie, l’iniziazione di sua figlia e qualche saltuario collaboratore in negozio. Il torrone lo cura lui così come quelle lavorazioni dolci frammentarie e discontinue. Maurizio le protegge ma non dalla critica. È molto evidente nel suo modo di raccontarsi come se nessuno lo avesse mai colto. È un artigiano che ha fatto scelte da artigiano. Sulle materie prime, sulle cose da perseguire e su quelle da accantonare. Ha chiuso punti vendita in città e si è rannicchiato tra i racconti dei suoi nonni, tra le fascine di torrone portate in giro per il Piemonte e la cottura a fuoco diretto che del torrone creò un paradigma a cui tutto riportare. Senza mai trovare una vera mimesi o un vero assaggio. Ma si sa, “noi mangiamo le nostre nonne”. Così niente tostini per le nocciole, troppo rapidi e sedicenti, ma solo un piccolo forno. Torroniera in acciaio e torroniera in rame. Per cotture più blande o per consistenze più croccanti. Un torrone e una doppia consistenza. Morbido e friabile. Miele d’acacia, millefiori di montagna e di zagara (quest’ultimo solo per il torrone morbido), zucchero semolato, ostia, nocciole tostate (oltre il 50% dell’impasto), vaniglia bourbon e albume montato da uova fresche. Una ricetta invariata da oltre un secolo. Grammo per grammo. Chiaramente, niente gelatine alimentari, così surrogatorie, nell’industria, per togliere il classico sapore da uovo sofisticato e per velocizzare i tempi. Lenta cottura e un’invidiabile stabilità di sapori. Niente glucosio e niente pizzicore. Lo zucchero è blando, non è aggressivo, non rimane in gola, la vaniglia è raffinata, un rumore di fondo. La friabilità è ideale, così come la tostatura. Forse, albume e miele non hanno l’equilibrio perfetto, c’è un filo di ciccosità che non chiude il palato. Per il resto è un prodotto di una pulizia e di una bramosia rara.

Cutter e mulini vanno a completare la ricerca di materia prima. Le paste auto-prodotte lo portano a creare cioccolatini. Icam e Valrhona vengono combinate per cremini e tartufi. La nocciola, estremamente tostata, rimanda fuori un Forastero un filo oltre nella piacevolezza. Il torroncino, sia miscelato sia in purezza nella crema, è eccellente. Un’assenza di croccantezza che non lascia insoddisfazioni, anche al più becero dei masticatori. A completare, dei tronchetti alla nocciola quotidiani e degli amaretti morbidi, talmente localizzati da non poter mancare, perfettamente in equilibrio tra mandorle e mandorle amare

Tutto è fatto in maniera filologica senza clamori, senza una ricerca ossessiva della mondanità. Maurizio è l’uomo del tempo che fu, con le sue spiegazioni, le sue cortesie e il suo modo di rimanere in un paese che è lì per merito o a causa della genealogia. Un torronaio che non pretende il passato, che non si limita a utilizzare il futuro come veicolo per il benessere e per la salute, e che non si accontenta di un presente edulcorato e sbiancante. Ancorché nella “sincerità” si nascondano il più delle volte le insidie dell’ignoranza, questa è l’unica parola che riesco a spendere. Nella sua accezione più sincera. Una sincerità sincera come quelle dodici ore di cottura in cascina, in mezzo a letame, nocciole, acqua, aria, terra e fuoco… Un tempo fu…

 

ANTICA CASA FACCIO

VIA GIOVANNI COLLA 2

CASSINASCO (AT)

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