Lièvita nel deserto senza ombrelloni… Alessandro Battazza

lievita

Riccione. Viali alberati di un sabato a pranzo con il sole in crescendo. Tra l’autostrada e il mare non si riescono ancora a cogliere tutte le essenze di un luogo senza amore. Il turismo di massa ha lasciato sulla strada la faccia degli albergatori, costretti a vendere le camere fuori stagione manco fossero delle enciclopedie fuori tempo massimo, cittadini locali convinti che agosto possa perpetrarsi dodici mesi all’anno, pastry chef copioni che dei ristoranti d’alto bordo si sono portati dietro la mancanza di strutture, comunicatori del “si può fare anche senza siringa”, parchi acquatici fuori stagione dall’aspetto sinistro e cigolante, viali di tendenza dagli occhiali a specchio, la pelle irrancidita dalla sveglia alle due del pomeriggio e tanti troppi stabilimenti balneari. Eppure ci sono persone che a Riccione hanno deciso di fare le cose seriamente, senza molti compromessi, senza una percezione reale degli studi di settore, senza quel turista dalla canotta a righe che per due settimane cesella sempre il solito percorso. Fare qualità qui è molto più complesso che da qualunque altra parte. Chi cerca veramente, scappa e non si ferma, chi c’è, resiste, chi viene non si sposta sicuramente dalla battigia. Così Alessandro Battazza, dopo varie esperienze in giro per l’Europa e dopo aver deciso di aprire il suo locale multifunzionale (terribile definizione ma assolutamente all’uopo…), si ritrova a dover fare i conti con una clientela che rimane vicino, che non azzarda, che è in crisi e che si complimenta. Lièvita o lievita o lì è vita, è talmente salvifico da risultare garbato.

A Milano, negli omologhi hipster-baffi-decadenti, si sentirebbe suonare la musica di Bon Iver, ci sarebbero un sacco di cani arrivati in bicicletta, si vedrebbero due enormi Wayfarer spuntare dalle pagine di Kinfolk, un paio di ….-isti chiamare con il vezzeggiativo il lievito madre e il tutto sarebbe in mano a tre ragazzetti dalla stringa slacciata. Qui, a Riccione, invece, la novità è la continuazione familiare di un’attività che non c’è mai stata. Così, a servire, c’è la madre di Alessandro con la sua raffinata genuinità.

Percorso: Rinaldini, Fusto, Bedussi a Brescia, Yann Duytsche a Barcellona, rientro nella sua città per dare vita alla sua concettualità, ed Ezio Marinato e Rolando Morandin come consulenti per completare l’apprensione fermentativa.

Gestione del lievito. Ecco l’inizio.

Alessandro non crede alla vecchiaia, ai nomignoli, alle legature o al lievito in acqua. Ha fatto delle scelte mirate che avessero come mezzo la sua pasta madre e come fine il cereale di partenza. Antichità e agricoltura. Ecco i suoi rapporti con il mondo. Così sono arrivate le farine di Renzo Sobrino, le semole e la fragranza sublimata in Idea di Filippo Drago ma soprattutto il lavoro sui grani disperati e originari di Claudio Grossi, un agricoltore parmense bio-diverso. Così il grano del miracolo è diventato la base della sua farina tenera. Poco glutine e un eccezionale potenziale proteico.

Alessandro è un pasticciere-panificatore che, in sostanza, fa tutto da sé. Il suo modello è l’autosufficienza trasformativa. Vorrebbe arrivare dove sono arrivati in pochi. In quella definizione di artigiano che non è più una definizione.

Forno a legna. Da lì si può aprire la disamina del pane.

Lontano dalle alveolature, dalle pose contemporanee di chi ce l’ha più grosso… l’alveolo… lontano dalla superficialità che tutto ci fa mangiare con il cucchiaio…. Cauterizzato, pieno, con dei profumi e il difetto di essere lontano dalla noia e dall’abitudine che, anche sui pani di grosse dimensioni e lievito madre, ci porta a cercare morbidezze e porosità. Sono pani pesanti. Hanno un senso nei loro sapori di Perciasacchi (con una morbidezza infida e una pulizia quasi detergente…), Timilia, Grano del Miracolo, grani teneri romagnoli, Biancolilla, grano arso. Focaccia di grani antichi e rosmarino, solo lievito naturale, croccante e straordinaria. Qualcosa che dura, che non è panificatoria e non è scontata. Niente stirata romana e niente otto ore di durata. Alessandro ha messo in piedi un prodotto stupefacente. La biga e il lievito di birra, almeno per ora, non hanno trovato dimora. Le farine raffinate (Mulino Grassi) vengono utilizzate solo per i grandi lievitati, il resto è composto da Valrhona (retaggi culturali), sul Beurre Deux (burro normanno), su Aquolina e poco altro. Alessandro è estremamente pulito, anche nei dolci. Pochi ma cangianti. Niente croissant parigino ma cornetto con uovo e burro, ben sfogliato e con una crema particolarmente citrica. Pinoli e crema cotta, girella sfogliata, pani al latte, poche monoporzioni, qualche mignon, torte al taglio, caffetteria senza sprechi, un’aria un po’ abbandono anni ’50, soffitti alti, sedie moderniste, laboratorio a vista e uno spermatozoo come logo.

Dove lievita c’è sicuramente una vita e Alessandro ha provato ad accompagnarla, magari vendendola, sicuramente comunicandola. Rivierasco sulle sue, senza una reale vanità che non sia quella del lavoro. Estremamente curato nei suoi sogni, nelle sue stime e nel suo manicheismo. Alessandro ha determinato un percorso attraverso un’illusione: quello di completare l’incompletabile, di gestire l’ingestibile. Inizio confortante e timidezza propellente da passo indietro con possibilità di costruire in tutta tranquillità. “Bagno Lièvita” è un po’ più interno, non abbisogna di asciugamani e non prova a venderti ad un cubano con gli addominali scheggiati. Del resto, se i diversi sono costretti a rimaner sospesi… rimarranno sospesi… tra l’autostrada e il mare…

 

LIÈVITA

VIALE EMILIA 18

RICCIONE (RN)

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