Non ci vogliono più far masticare? O sì?

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Istanza di principio per controbattere una tesi Scolastica.

Il cucchiaio ha preso il posto del coltello e il palato quello dei denti.

È un’impressione, non è corroborata da nessuna teoria scientifica e nemmeno dall’etimo legato all’antropologia di Levi Strauss. Io pretendo il “dente gourmet”. È come se nei grandi ristoranti la bellezza ricercata, quasi ossessiva, sicuramente azzimata, sia diventata un’estetica del torpore inerte. Il cliente non deve fare fatica. La cucina scientifica è una ricerca del superamento dell’ostacolo, di una tendenza ad infinito verso la Certezza. Così, togliendo l’errore, si toglie la fatica e, togliendo la fatica, si tolgono i denti. Rimane solo il palato, il molle, l’informe, il deforme. Degustare, delibare, sorseggiare, inalare, annusare. La gelificazione e la sferificazione (sono esempi per carità di Dio…) danno nuove strutture a piatti che struttura non hanno. A partire dai dolci. Accostamenti di sapori e di composti, informi, deformi ma soprattutto non solubili.

Né artistico né organico.

La destrutturazione è un’incapacità di forma, un modo di sfuggire alla serialità dell’industria (lo chef che da più tempo utilizza le tecniche più innovative… vedere Unilever per esempio), da un lato, e una necessità imposta dalla coerenza verso la facilità della forma, dall’altro.

Esempio: pane. Reazione di Maillard. Proteine e zuccheri riducenti interagiscono per tirare fuori strutture e aromi. Si forma la crosta che si spezza con i denti. Friabile e croccante. Ma la mollica è più facile. Può essere inglobata. Non ha bisogno dei denti. Perché non fare una crosta del tutto simile alla mollica? Così nascono questi panificatori dal pane marroncino, con ciccosità spinta e assenza di sforzo, e queste farine ricchissime di glutine che fanno fatica a creare la crosta senza bruciare. Se i pani vengono messi uno sopra l’altro si deformano, schiacciandosi. Non c’è resistenza e non c’è friabilità. I biscotti non si spezzano più. La “croccantezza” è diventata friabilità e la friabilità assenza di struttura. È tutto frollo.

Quando la carne è buona? Quando si scioglie in bocca.

Così è l’adagio della normalità e il nemico molecolare dell’aforisma. Ma la percezione è l’unica portatrice di verità. La gente vuole Piemontesi, Francesi o incroci con Blu Belga, vuole culoni enormi. Modicana, Cinisara, Marchigiana, Grigia Alpina, Varzese, Rendena e Podolica non hanno mercato perché hanno sapidità, muscoli e nervi. Lavorare le loro carni è complesso e quasi sempre inutile. Il filetto è il taglio più caro perché è il più morbido, perché si mangia con il palato, come il tonno. Le spine sono un ostacolo, così i tranci hanno preso il posto delle lische che vengono schiacciate dai denti. Velocità e facilità. La bontà (nella corto-circuitazione etica sempre foriera di errori…) non può passare che da questo.

Perché ci hanno tolto i denti? Per non apparentarci ai buoni selvaggi, per poter creare la mitologia vegana, per poter vivere tra una schiera di palazzi, fingendo ambizione? I denti sono una conquista mentre il palato è un regalo. È il solito mito delle agenzie di viaggio, dell’esotico, del già pronto, del già visto, del Faletti sotto l’ombrellone, dei culi al posto delle trincee. Ci stanno togliendo anche i denti. Goering continua a mettere la mano alla pistola e Plotino a dominare l’ideologia. L’unico idolo del formidabile andrebbe sconfitto aprendo un libro o impugnando un coltello… o no?

Perché questi foodster dagli occhi impauriti non promettono niente di buono. Una copia sbiadita della paura. E allora sono costretto a prendere in prestito le parole di Fausto Rossi (Faust’O), uno di quei geni che passa una volta ogni morte di presidente del consiglio, per chiudere con un bel “a questo punto scatta il coltello e si tagliano le gole una per una, perché non c’è altro da fare, non si può discutere, non hanno opinione come i nazisti”.

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