Mulino a pietra nel tempo che resta … Claudio Merlo

merlo

Osasco. Pochi kilometri fuori Pinerolo. La provincia di Torino è sempre stata un po’ nascosta e un po’ triste. Il capoluogo ha dissuaso gli animi meno stanchi. Ci sono delle strade statali che portano verso le valli, ci sono campi di granoturco, qualche coltivazione fuori luogo e fuori tempo massimo, una voglia di fuga che non costringe e una montagna talmente vicina da non diventare mai fascino. Qui, tutto è molto concreto, l’immaginazione e il lavoro sono antipodi di una stessa mancanza. Questa provincia torinese non ha retaggi, non ha richiami, non ha bisogni e non ha desideri. Fiacca e nebbiosa, blocca le gambe sia per il mestiere che per il diletto. La bellezza del dialogo ha una struttura che passa per troppi sospetti e così le persone che incontro han perso quel po’ di tipicità, rendendo le chiese tutte un po’ più squadrate. La cascina, come stratificazione sociale, è stata ricoperta di tegole e di energie rinnovabili. La zappa è stata sostituita dalle catene di Sant’Antonio. Ma un cancello in ferro richiede ancora un po’ di tempo, prima di una classica passeggiata autunnale alla ricerca di un cioccolato pinerolese da labbra tumefatte. Il cartello scandisce “Elicicola Osaschese” e disegna una chiocciola…

… Claudio Merlo non ammazza l’attesa e nemmeno l’attende, continua a fare avanti e indietro tra il mulino e la vendita, dà la mano ma senza trasporto, m’invita a fare un giro in azienda e io lo invito a non accorciare i suoi tempi. Così l’impatto non ha una leggenda e nemmeno una storia. È una stretta di mano e un’analisi di quello fatto e di quello che sta facendo.

La cascina è lì da sempre così come la sua famiglia. Contadini e imprenditori agricoli. Claudio ha cercato qualcosa di diverso per uscire. Era il finire degli anni ’90 e il boom dello struzzo dilaniava brandelli di mucche pazze e sogni allucinatori. Claudio ci ha pensato, ha fatto due conti sulla fattibilità e sulla resa e ha lasciato perdere.

Dissolvenza in nero.

Allevamento di lumache. Chiocciole fattrici, messe nella terra all’interno di un recinto, con l’intento di riprodursi. Ingrasso controllato con foglie di cavolo e girasole, macellazione esterna e trasformazione. Il prodotto ha un senso nella mancanza, senza il selvatico rimane una lavorazione molto pulita.

L’elicicoltura però non aveva fatto i conti con il fascino di un palmento francese in pietra circolare che ha preso una stanza intera e ha permesso a Claudio di trasformare i suoi cereali. Antiche varietà di mais piemontesi, pignoletto, spinusa e ottofile, trasformate in paste di meliga, molto cotte (un filo troppo…) ma assolutamente filologiche, in una birra, prodotta da Beba in tre versioni, e stilizzata con la classica pannocchia che ruba le vesti alla bottiglia, perfettamente bilanciata, beverina, senza eccessi e senza speziature casuali, ma soprattutto in gallette di solo mais veramente interessanti, al di là di perbenismi nutrizionisti, biologiche ricerche sui concimi e quel ricordo di cartone bagnato che non riesce mai a staccarsi dall’immagine da associare alla parola “galletta”. La polenta, macinatura grezza e sfumature del giallo, è perfetta, senza sbavature in cottura.

Claudio si è messo anche a coltivare i grani teneri e a ricercare grani duri e turgidi. Dal monococco al saragolla: dal seme di Renzo Sobrino da piantare nei propri campi alla ricerca di un Khorasan pugliese. Così ha completato le sue miscele e le sue purezze. Tutte con una pietra ed un buratto, con una soluzione che soddisfi sia i frumenti sia i mais.

La bellezza fascinosa non ha il risalto della tranquillità e dell’infarinatura, è contemporaneamente rivolta ad un utilizzo, come gli alberi di kiwi e di pere, che sono lì, senza antichità, come base, ormai antistorica, del suo reddito. La pietra non è ornamentale, viene battuta e viene migliorata. Le farine sono pulite, ben lavorate, con dei profumi ma soprattutto con una struttura. Claudio Merlo ha la tranquillità della diffidenza, è schivo senza necessità, quando si rilassa tende alla fiducia, al tempo e alla chiacchiera. Manca di manifestazione, ma coltiva campi che parlano da soli: il mais si apre e aspetta la trebbiatura, in tutta la sua altezza, in mezzo alle infestanti e in tutta quella bellezza cromatica che solo pignoletto ed ottofile possono raggiungere… casualmente…

 

LA CASCINA DEI CONTI

VIA PINEROLO 44

OSASCO (TO)

Maria Paola Cogoni

Buongiorno
mi chiamo Paola Cogoni e vivo in Sardegna. Sono un dipendete pubblico ma mi occupo anche di ricerca e soprattutto cerco di potenziare l’elicicoltura in Sardegna. Mentre leggevo articoli scientifici ho visto anche qualcosa riguardante l’elicicoltura biologica, intendo provvista di certificazione. Vorrei sapere se lei ha già il certificato del biologico in quanto allevamento elicicolo, poiché sono a conoscenza che è piuttosto difficoltoso raggiungere la certificazione.
La ringrazio anticipatamente
Paola Cogoni

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *