Ode all’artigianato

metropolis

 “La conserva è ansia allo stato puro ma è anche una speranza per il futuro”. Il contadino, prima, e l’artigiano, poi, hanno capito che fermare il tempo era l’unica maniera d’imporre l’essenza dell’uomo civile, l’essenza dell’uomo tout court. Mantenere la natura. Ecco tutto.

I tetti, le strade, le fabbriche, la rivoluzione: sono tutti mezzi di un’evoluzione tecnologica. I contadini e gli artigiani sono stati i più fieri oppositori al dominio della stagionalità. In barba al rispetto della natura e dei suoi tempi. Il rispetto è sempre stato una sottile forma di desiderio, di pre-dominio in cui esprimere la civiltà evoluta dell’homo faber. La necessità di fermare il tempo è nata con la povertà e si è sviluppata con la voluttà: estrarre un’essenza (quella della fragola, del latte, del cacao, del caffè…) e prolungarle la vita. Mi verrebbe da dire, Per sempre. Ma rischierei di cadere in un’apologia della serialità lontana dal mio sentire.

Fermentazione, essiccazione, affumicatura, salatura, confettura. Modificare gusto e origine. Neve, sale, zucchero, aceto, fumo, sole, miele e olio. Il principio fondante che muove l’artigiano è quello della Conservazione. Non esisterebbe un artigianato senza una traduzione e, nello stesso tempo, senza un tradimento. La traduzione (confettura) di mangiare una pesca a novembre e il tradimento del sapore della pesca a novembre, mellifluo, insinuante, semplicemente diverso.

Il grande problema del pasticciere non è mai la torta in sé, la struttura della mousse, la sofficità di una bavarese o il significato di “montare” associato ad un bianco d’uovo, questi sono problemi secondari, di studio e di maniera, il grande problema del pasticciere è quello della Vetrina. Quel divisorio tra lui e il cliente, il tempo di scelta, di consumazione e di conservazione. Il tempo della percezione non è mai il tempo della degradazione.

Manipolare e modificare le qualità degli ingredienti, per prolungare la vita ad una delle più grandi manifestazioni di civiltà. Il pane è tempo e spazio fermentato, è povertà, è digeribilità, è gelatinizzazione e retrogradazione degli amidi, è tempi morti, è giudizio, è fame ed è desiderio. Ma, prima di tutto, è controllo della natura.

Maturazione, frollatura e proteolisi sono l’opportunismo salvifico dell’artigiano. Salvezza da cosa? Dalla putrefazione del processo naturale. L’uomo è una barriera e un artificio. La natura è sempre il mezzo. Non esiste una scissione tra artificiale e naturale. Senza il primo, vivremmo ancora nei boschi, senza il secondo, assomiglieremmo ad un acido all’interno di un giocatore di tennis di un romanzo di David Foster Wallace. L’artigiano ha ed è il principio esistenzialista della Cura. I tempi si dilatano e gli artifici (o scorciatoie industriali…) sono ridotti al minimo. Il Grande artigiano ha un secondo principio imprescindibile: il rispetto dell’origine. Di un cereale, di un frutto o di un’erba. Ma una pericolosa deriva è all’alba dell’artigianalità! Il carpe diem che tutto sub-umanizza, quella ricerca ossessiva del foooooormidabile!, così perfettamente stigmatizzata e beffata dalla metafisica di Celine.

La novità a tutti costi è il naturale a tutti i costi. La fragola la pretendiamo sotto forma di gelato ma la pretendiamo in maniera ESCLUSIVA. Quest’esclusività, che è l’anima dell’attimo da cogliere, si è trasformata in una dilatazione (che probabilmente ha in sé un principio d’in-finitudine, di esotico, di agenzia viaggi che ci garantisce Unicità a Tonga… “Bengodi? Non me lo fa prenotare su google”) del prezzo. Tanto la conservazione della natura è stata ed è una diluizione del costo nel tempo, una sorta d’ipoteca per il futuro, quanto la ricerca ossessiva del gusto primigenio e dell’imposizione economica ai danni di quella interpretativa sono un’affermazione della volontà di potenza.

Bisogna soltanto trovare qualcuno che si adegui a quelle richieste: di prezzo e di originalità. Ecco uno chef contemporaneo, un’anima perversa dell’artigianato, il Don Giovanni della materia prima. Leporello continua a trascrivere e il dis-umano pervade le nostre cene, le nostre fotografie, i nostri ricordi e i nostri vaneggiamenti.

Metropolis di George Grosz, in confronto, è una piccola Colazione sull’erba.

Le ombre triviali hanno nomi complessi e l’istintualità dell’evento. Vengono fuori e si consumano rapidamente. Sono una bella scopata ma non sono mai una storia di passioni e di pannolini sporchi. Il finale perfetto della commedia hollywoodiana. E poi. La felicità si racconta talmente male che un lunedì mattina non riuscirà mai più a sorprenderci. Il grigio è già l’attesa del fine settimana, del giorno di festa. Le arie di lecitina e lime spariscono nell’attimo esatto in cui l’attesa non può essere attesa, il gelato con il pacojet è un’immediata esplosione dei sapori. Pensa che stupefazione poter mettere solo acqua, zucchero e materia prima! Con buona pace di quegli sfigati dei gelatieri che addensano, emulsionano e conservano, diluendo le possibilità dell’uno nei desideri dei molti.

I grandi artigiani sono e rimangono Casalpusterlengo, Sant’Anna d’Alfaedo, Cerda, Genzano e Neive. E alla base di tutto credo che ci sia un unico principio, chiaro e solido: una questione di conservabilità dei saperi, delle tradizioni e dei gusti, senza cui non saremmo mai più in grado di scrivere una storia. Perché il tradimento avrebbe traslitterato la tradizione.

Perché è sì vero che l’innovazione di oggi è la tradizione di domani, ma è altrettanto vero che se questa innovazione non è identitaria di una CODIFICAZIONE, l’uomo di domani sarà sempre costretto alla fiducia e alla preghiera piuttosto che alla COMUNICAZIONE.

Gli artigiani devono aprire i loro laboratori e le loro botteghe, fare vedere e cercare una ripetibilità del gesto. La loro salvezza, la sottrazione all’istinto primigenio e la ricerca di una giustizia popolare che ha l’unica soddisfazione nell’enorme concetto di apprendistato. La nota del musicista, decodificazione del cinguettio. Tutto qui.

Non mi interessano quegli chef che non hanno un principio di conservazione del mondo e del loro lavoro. Rappresentano il cambiamento senza lasciti, l’allietamento dell’esclusività dell’istante. Le cucine diventano un affastellarsi di momenti, che si susseguono a momenti, che si susseguono a momenti, senza REALMENTE formare mai una storia. La fragola che va nel vasetto è il Perciasacchi che va dentro il canovaccio e fa mangiare una famiglia. Ecco la storia di un artigianato che ha come preoccupazione primaria la conservazione della specie e delle specie. “L’uomo non è chiamato a oltrepassare la sua finitezza, ma ad abitarla”. E l’artigiano ci conduce per mano…

Carlo Battistella

Straordinario pezzo, Nicolò. Complimenti. Hai centrato alcuni nodi fondamentali dell’artigianato.
L’artigianato è nato non solo dalla povertà ma anche dalla necessità di non sprecare i frutti della natura, rispettandola per non consumarla. E cosi è nato il sapere della conservazione, che insieme al concetto di cura riassume tutta la sapienza legata all’artigianalità.
La trasformazione è sicuramente una traduzione e un tradimento della natura, una traduzione è SEMPRE un tradimento dell’origine. La differenza sta nel livello e nel modo in cui la trasformazione viene lavorata. Trasformazione di forma o trasformazione di senso?
L’artigiano vero coltiva, alleva, trasforma rimanendo sempre nel regime della natura, facendo dialogare gli elementi naturali fra di loro. La trasformazione per l’artigiano è sempre un dialogo con la materia, mai un monologo o un’imposizione: credo che la natura abbia in sè, nel proprio dna, anche i crismi e i principi della propria trasformazione, i modi e i tempi secondo cui deve avvenire senza snaturarsi. E all’artigiano spetta proprio questo: capire e riprodurre i tempi e i modi della natura per conservarla e tradurla in qualcos’altro. E qui subentra il concetto e la sapienza della CURA: attesa, pazienza, dedizione, attenzione, conoscenza, tempo. L’artigiano si prende cura della materia, gli dedica attenzione, la ascolta, la osserva, la custodisce secondo un principio di bontà, che è insieme etico e qualitativo.

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