Pezzolo Valle Uzzone, alle porte di Cortemilia. Paesi in decadenza, abbandono e selvatico come forme più che umorali di zone ormai vinte. Qui l’inquinamento si è portato via i vigneti, la crisi le aziende, e il tempo ha lasciato noccioleti, famiglie in disarmo e un florilegio di negozi vuoti. Questa Langa povera ha un mistero senza luogo, di un’avvenenza decadente, che non lascia per strada ville o possibilità di speculazione. Qui, in mezzo a questi boschi di funghi, tartufi e noccioli, dove il dissepolto è una forma urbana di umanità, fare l’artigiano è una missione senza agio. Pena la sparizione. Qui, o fai bene, o non sei. E così chi resiste, chi si protrae nel tempo, procrastinando negli anni la propria fine, è costretto a lavorare bene il territorio, senza frodi e senza assoluzioni. La nocciola, al di là di sgusciatori, approfittatori, venditori di torte alla margarina e industrie dissolute, è una religione che non concede nessuna distrazione. Si scruta il cielo, si spera, si guardano le piante crescere e si subiscono le ondulazioni del famigerato mercato globale. Una nevicata in Turchia cambia tutto. E così lavorarsi il proprio frutto è qualcosa di privato, intimo e assolutamente colloquiale. Continue reading Rarissimo torrone di filiera… Carlo Minetto
Un pane popolare che mette in coda le persone… Alessandro Spoto
Torino. Borgo Vittoria. Dove il popolare diventa dimenticanza del passato. Una polveriera sociale con un’arteria con un unico senso. Un luogo feroce e beato, in mezzo a quella Torino rimasta a nord, con il sud richiamato al di là del Mediterraneo. Un posto vivo, pieno di gente, con la vitalità operaia trasformata in parassitismo e nefandezza. Adesso che sarebbe trendy essere popolari, ci si è dimenticati dell’origine. Così arrivano un po’ di trascuratezza e un po’ di ingorgo, in quella tessitura che è rimasta anima e interesse. Qui il mercato c’è ogni giorno, le chiese sono roccaforti e l’abuso edilizio è stato fermato dalla densità. Ma la periferia delle piole, delle partite a carte e delle discussioni infinite non è morta e non ha rinnegato se stessa. E così qualche artigiano ha deciso di trasformare il proletariato in possibilità, provando a rendere avvincente la storia di un quartiere che non ha mai dormito e si è sempre evoluto. Politicamente, economicamente e culturalmente. Qui, Alessandro Spoto, ha deciso qualche anno fa di avviare la sua attività. Continue reading Un pane popolare che mette in coda le persone… Alessandro Spoto
Comunicare l’origine… Marco Ramassotto
Piossasco. Pedemontana torinese con immagini selvatiche e riluttanti in trasparenza verso l’obiettivo di giornata. Qui, al di là delle rotonde, delle tangenziali, dei fuochi notturni e delle fabbriche che sembrano private del segreto militare, c’è una campagna inframezzata senza alcun tipo di fascino che non risieda nelle case basse e nel lontano sentore di montagna. Soprattutto nelle sere di freddo e soprattutto avvicinandosi ai laghi di Avigliana, si sente un’influenza da domenica pomeriggio e da anni da buttare via. Questi sono i luoghi dove l’artigiano può predisporre e disporre di un tempo creativo e di un tempo sgombro. E allora produrre, mettere in forma e mettere in opera diventano la sostanza di una giornata altrimenti lontana da qui, in qualche fabbrica o in qualche multinazionale del recupero. E così la più classica delle storie di questa pianura è riuscita ad arrivare fino ad oggi grazie alla collaborazione e alla genealogia. Continue reading Comunicare l’origine… Marco Ramassotto
Un pizzaiolo sotto traccia… Simone Tricarico
Ciriè è un luogo chiuso in se stesso. Gira attorno alle logge, ai vestiti borghesi del fine settimana, ai sagrati trasformati in mancanza di rispetto e a fabbriche che non sono altro che una via lontana verso le Valli di Lanzo. Storie tipografiche e immaginifiche inframmezzate all’ignominia, in questi paesi che non sono quasi più hinterland e non ancora tempo morto, l’artigianato può scorrere placido, può nascondersi tranquillamente dietro le abitudini del buon cibo che in questo angolo di mondo si sono trasformate in continue domande e terrore verso il fuori controllo. E così i portici continuano a dirimere la stessa giornata da probabilmente troppi anni. Ciriè lascia veramente il tempo che trova e quando la vai a riprendere anni dopo, l’accorgimento è sempre quello di un ritorno alle origini, di un posto placido senza più nemmeno deferenza. Un paese di un tempo che fu, costretto a vivere la contemporaneità. Continue reading Un pizzaiolo sotto traccia… Simone Tricarico
Brisaola dei Crotti: uno sguardo fuori… Mattia Giacomelli
A Chiavenna bisogna andarci fuori stagione. Ha una bellezza decadente, vive di anfratti, di crotti e di svendite. Il fiume Mera regala quel sapore fortificato composto da orride pietre, situazioni pruriginose e un cumulo di vertigini che l’acqua non riesce a lavare del tutto. Il centro storico è un florilegio di passeggio, di accenti deterrenti e di milanesi prestati alla brisaola. Macellerie e prodotti tipici si alternano senza soluzione di continuità e senza un reale peso su quello che si sta comunicando. È un’accozzaglia di ferri battuti e locali dediti alla cazzuola, nonostante una percezione di potere assolutamente corroborante. Quando scende la sera, la gente conta i passi per ritornare alle proprie macchine e il torvo diventa l’unica maniera in cui percepire il fragore dell’acqua. Chiavenna ha un fascino straordinario e venduto male. Si fanno feste e si nascondono le profondità. I crotti stan diventando disarmonie edilizie anni ’60 e i ristoranti un guazzabuglio di menù tipici. Però c’è un’anima sovversiva, c’è qualcosa che odora di vissuto, Chiavenna è uno di quei paesi lombardi che tenderei sempre a far vedere. Qui ci sono tradizioni, usi e bellezze profondamente misconosciute. E così ad uscire è quasi sempre solo la bre(i)saola. Continue reading Brisaola dei Crotti: uno sguardo fuori… Mattia Giacomelli
Valgerola: il Bitto fino alle origini…
La Valgerola d’autunno ha quella magia rara che spiega meglio al mondo la sua chiusura, quella bellezza racchiusa in colori che non sono più passeggiate e fatica, ma cominciano a mostrarsi come lunghe attese dietro un vetro innevato e non realizzato, tempo su tempo per aspettare l’alpeggio e i pantaloncini corti. L’autunno è luogo di lunghe discussioni, di analisi, di lunedì mattina senza speranza e senza economia. Qui si va in letargo, perché la chiusura deve essere prima di tutto tepore e in seconda battuta conservazione. E così le labbra nascondono i denti e l’introversione può tornare a dominare la maniera di accoglienza. Il fiume Bitto scorre fin che ancora ne ha possibilità e su Gerola Alta si chiude un cielo di sfumature arancioni. Abeti, larici e faggi non lasciano spazio all’immaginazione. È tutto lì, scritto, ma con fascino. Senza parola e lontano dalla commercialità che però un luogo del genere è come se reclamasse. E così ci hanno pensato Meister Ciapparelli e i suoi dissidenti a creare una corte bagnata alla fonte. Continue reading Valgerola: il Bitto fino alle origini…
Biscottini di Prosto: quello che era e quello che è ancora… Sorelle Del Curto
Prosto. Frazione di Piuro. Valchiavenna. Vicino al confine con la Svizzera. Appena prima della cascata dell’Acquafraggia. Pochi kilometri dopo Chiavenna, poco dopo l’acciottolato a ridosso della montagna, dove terminano i turisti e i curiosi. Torchi, palazzi antichi, stalle, ponti e pietre ollari come indice di un luogo che il buio del fondovalle si prende a sé per sette mesi l’anno. Un fiume arrotondato. Delle vette intorno che non soddisfano nemmeno più in stagione, delle facciate tenui e un continuo decadere di sassi, pietre e muri. Prosto è di una bellezza indefessa, al di là della strada principale, nascosto, tra vecchi conventi, mulini e chiese, rimane un luogo inesausto di quattro case che al posto di un borgo tiran fuori l’immagine della perdizione. È tutto estremamente placido ed estremamente manicheo. Da un lato villette e la contemporaneità del colore, dall’altro un anacronismo dove il tempo si è fermato e dove un’unica bottega ha provato a catturarlo per sempre. Continue reading Biscottini di Prosto: quello che era e quello che è ancora… Sorelle Del Curto
Castagna essiccata nei tecci: la rappresentazione della decadenza
Calizzano è una rotta impossibile, quasi isolata, è un luogo casualmente ligure a due passi da un Piemonte più che operoso. Qui il selvatico resta selvatico e la struttura delle persone è una faccenda che non si può risolvere in un’identità. Ogni paese e ogni frazione hanno i loro idiomi, le loro scorrettezze, la loro voglia o impossibilità di aprirsi ad un mondo che li richiede e che li richiude. Come se non ci fosse altro che un unico motivo, quel motore che spinge fino a queste curve, tra i boschi di Murialdo e Calizzano, in quell’incomprensione montana che ha nascosto le persiane verdi e i muri tenui-pastello. Perché qui gli anni edilizi li hanno subiti e a scuola si è continuato ad andare percorrendo i sentieri e portando giornalmente un ceppo di legno a testa per scaldare l’edificio. L’isolamento ha caratteri endemici impossibili da trasportare e impossibili da trasmettere. Si rimane qui, tra porcini e castagne, come se non ci fosse mai un domani a venire in soccorso. Perché chi cerca la pace, trova la pace, i ghiri mangiano i libri, le “boscoteche” permettono l’estraniamento, i pazzi in bicicletta trovano il loro profeta delle piste in mezzo agli alberi e chi ha ancora un minimo di pudore, per provare a mettere fuori la testa da quella Val Bormida battuta e beata, si è accorto che l’unicità ha portato molti viandanti fuori dalla porta. Ecco, uno di quelli che ha capito le regole della comunicazione è stato Giuseppe (Raffaele) Corrado. Continue reading Castagna essiccata nei tecci: la rappresentazione della decadenza