Palazzolo Acreide d’estate, quando scende il sole, è un silenzio di salite e discese. Con una strada unica che solca un centro barocco di straordinaria compostezza, in mezzo a folate di vento che dal fresco passano al freddo e che ti costringono a guardare le credenze di Akrai, dal fondo greco di un bicchiere malmesso che si è portato dietro una stratificazione di tradizioni che di cacofonico ha solo la lettura. Questo è un luogo magico al di fuori del turismo d’impatto e del turismo sofisticato che del Val di Noto ha fatto un’enclave. Un luogo dove schivare il familiare e il conosciuto. Qui si può ancora passeggiare spaesati, distruggere la coppa dell’olio in una di quelle discese, ripide e strette, che non portano a nulla, o innamorarsi degli scalini di una chiesa proprio perché ancora riconoscibile come chiesa. A Palazzolo il tempo non chiede indietro nulla. Qui si viene per la storia, per riprendere quel respiro intasato dalle granite colorate, dalle spiagge di bifolchi e dai milanesi imbaldanzito, per la salsiccia, una religione di suini neri piccanti e aromatici che rinnegano mestamente l’origine oleosa, per il Barocco, per i sapori montani, per il teatro greco e dal 1865 (anno più anno meno) per i dolci della pasticceria Corsino, una di quelle istituzioni che non è spiegabile con nessuna connessione logica. La sua longevità è un gaudioso mistero che non ho provato nemmeno a sondare. Qui la crisi è un negozio sempre pieno e un laboratorio che, ogni anno, rinnova se stesso, accrescendo conoscenze e macchinari. Continue reading Pasticceria Corsino: una famiglia che ha trovato l’alchimia… Famiglia Monaco
Jancarossa: archeologia del limone siracusano… Monica Fiumara
Siracusa s’immerge in una continua stratificazione di non-sense, stupori, punti di vista e coercizioni. Ma soprattutto è un luogo di contrade dove l’archeologia si è declinata nelle forme dell’avversione. E così si è smesso di raccontare. L’itticoltura è rimasta uno sguardo sulla baia di Ortigia e le colture orientali, qui, han preferito l’adattamento all’abbandono. Eccezione fatta per il riso, ormai scomparso, la nobiltà era un fatto di architettura e di irrigazione. Tutti guardavano Siracusa come la Silicon Valley del mondo antico. Anzi molto oltre. Ancora riecheggiano, nelle leggende raccontate sul castello Eurialo, in mezzo a stoppe, centri commerciali e vedute del petrol-chimico, le astuzie, i trabocchetti, la sapienza e l’immane paura di essere defraudati dei tiranni locali. Da Gelone a Dionigi fino ad Archimede, questa è terra di geni e di paranoidi. Invenzioni, naumachia e agricoltura, i siracusani hanno creato un parco giochi di colonie, hanno sconfitto tutti e sono stati conquistati da tutti. Così sono arrivati ad oggi nella lamentela di un disagio e di una burocrazia che ha reso indietro un fazzoletto straordinario e del resto ha lasciato un’impossibilità… Continue reading Jancarossa: archeologia del limone siracusano… Monica Fiumara
Una pasticceria raffinatamente territoriale… Antonio Brancato
Siracusa. Città dalle mille anime, dalle mille definizioni e dalle mille antinomie. Qui la ragione si perde dietro ogni angolo, dietro ogni coercizione e dietro ogni contraddizione. Il diseguale non è disumano ma non può fare a meno di flirtarci. E così si passa dalla stupefacente restaurazione di Ortigia, anima defraudata, magica, depauperata e rimessa in circolo di una città che è stata greca, bizantina, araba, normanna, spagnola, borbonica e infine italiana, allo spopolamento dell’immigrazione, al terremoto che l’ha distrutta nei ricordi, fino alla ricerca del petrolio per deturparla. Così è stata circondata dalle industrie, dai centri commerciali e dai centri di mestizia, quelli che hanno depredato una conformazione geologica che vive di turismo e muore di turismo. Qui l’agricoltura puzza di paura e così consorzi e serre si nascondono dietro una produzione che cerca di allontanarsi dall’infamia. Qui il deforme si nasconde negli ipogei e tra le latomie, e il canonico appare nelle forme del barocco illuminato. Ortigia è un’enorme piazza di recupero, dove le stratificazioni danno testimonianza di sé e le sciagure sembrano torvi ricordi di degrado. Il dorico che diventa cristianesimo e ritorna periferia di passaggio. Senza abbandono, con quei negozi territoriali che sono lì come potrebbero essere altrove e con quella pasticceria che ha deciso, per l’ennesima volta in Italia, che fuori dal centro ci sono più possibilità di errore… Continue reading Una pasticceria raffinatamente territoriale… Antonio Brancato
La désarpa de Gressan
E anche quest’anno è arrivato il tempo di scendere, il tempo della normalità e dell’assenza di giudizio, il tempo in cui il turista abbandona la voglia di esotico e di terreni incolti. L’alpe, ad inizio ottobre, è un foliage deciduo che sfuma verso l’impossibilità a restare. E quando il freddo ti prende alla gola, il disagio non è più nemmeno umano. Ad inizio settembre si iniziano a percorrere i maggenghi del rientro, si iniziano a trovare erbe più bagnate e formaggi più stanchi. Sulla strada del ritorno sono nati i miti dello stracchino e della munta calda, e la festa è sempre stata velata da una nostalgia senza rappresentazione.
È arrivata la désarpa. Il ritorno. Continue reading La désarpa de Gressan
I formaggi del biologo… Giuseppe Di Natale
Floridia, entroterra siracusano. Strade strette, afa e una sensazione di abbandono e mestiere. Un luogo trascurato, con le solite facciate stupefacenti e il disinteresse cittadino per un angolo di mondo che non è altro che quotidianità. Il fondo valle del fiume Anapo ha quel rigoglioso leggendario che parte da Pantalica e arriva ad Archimede, alle sue costruzioni sotterranee e ai suoi modi di nascondersi in mezzo all’acqua. Qui si è fatta la nostra cultura e qui i siracusani sono diventati maestri di conservazione ed epigoni di abbandono. Perché lucrare sulla bellezza è sempre stato un punto di vista dozzinale… e così manca il racconto e manca la necessità. Ortigia è l’unico dio, il resto è possibilità di costruire centri commerciali, edifici abusivi e poli petrol-chimici. Qui, però, ci sono pietre millenarie, scherzi del destino e improvvisati trabocchetti. E non è facile arrivare ad un ragazzo che racchiude in sé tutte le caratteristiche della provincia aretusea. Giuseppe Di Natale è una storia al di là di qualunque prodotto. Continue reading I formaggi del biologo… Giuseppe Di Natale
Impetuoso minimalismo cerealicolo… Silvia Turco
Enna è una città che potrebbe pure non essere. È talmente remota da non aver bisogno né di nuovi tagli né di nuove diramazioni. C’è una decadenza gialla che dell’esproprio si è tolta di dosso qualunque battaglia. E così è rimasta un luogo ameno e vivibile, con strade in salita che rendono tutto paese. I bambini, in mezzo ai negozi chiusi, non hanno nemmeno bisogno di definirsi, gli adulti non adombrano, rimangono incauti nel loro dialetto di relazione con il mondo. Perché spingersi alla conoscenza di un territorio, significa entrare nel complotto e nel cortile. Quello in cui ci si conosce tutti e dove la bellezza deve essere una definizione comune da cui ritrarsi significa solitudine. Così il sistema agricoltura è una comunione di facce arse, alla cui testa c’è Silvia Turco, un’agricoltrice che sta provando a tirare le fila di un territorio. Continue reading Impetuoso minimalismo cerealicolo… Silvia Turco
Grani antichi e visioni notturne… Carla La Placa
Villarosa è un luogo tagliato a metà, senza nessuna speranza. Il tempo delle trazzere è quello rimasto per guadare fiumi secchi in mezzo a letti polverosi e floridi, fuoristrada come unico mezzo di sopravvivenza e anziani dal dialetto talmente tagliente da rendere tutto più concreto. Il dissesto siciliano esplode in tutto il suo bizantinismo alla ricerca della persuasione. Perché in queste lande, che scrutano i paesi vicini come un miraggio a cui mai accostarsi, l’intimità è un ponte crollato mai ricostruito e la noluntas di quattro politicanti, che nemmeno i vaccari avrebbero potuto fare senza sotterrare il proprio zerbino, presi a rimirarsi nel loro vassallaggio di terre arse dal fuoco. Qui, al centro della Sicilia, dove è facile dominare ed è ancora più facile essere dominati, il giallo del grano è l’unica forma di religione, di persuasione e di dissuasione, è affrancamento, fuga e rendiconto familiare di un pensiero laccato o di una missiva in cui ricordare zio Gaetano e zia Pippinedda nell’incedere in gramaglie ai ripetuti funerali. Chi decide di rimanere in mezzo a questa bellezza infernale, lo deve fare con la pervicacia della devozione. Questi sono luoghi di anime sole, abbandonate e celestiali. Continue reading Grani antichi e visioni notturne… Carla La Placa
Lavanda, cereali antichi e trasformazione, nel nisseno più profondo… Gaetano D’Anca
Santa Caterina Villarmosa. Il centro della Sicilia è una vista sul Monte Canino, dove spaziare dalla provincia di Trapani a quella di Ragusa, passando per Nebrodi, Erei, Madonie e Sicani. Qui si ha una completa contemplazione del giallo dopo-trebbiatura, luoghi colti e sapienti dove la bellezza passa attraverso il sole e attraverso il vento. Questa Sicilia, sbandierata e disillusa dal turismo, è fatta da un incedere tenue e quasi sepolto. Le poche persone che rimangono, possono raccontare il silenzio attraverso mille parole. Perché da qui è molto più facile fuggire, vestirsi bene e ricordarsi del passato come un luogo dalla memoria diafana quasi spenta, in cui emozionarsi all’immagine delle rughe. Chi rimane a Santa Caterina, al di là dei centri di aggregazione giovanile e geriatrici, marchi di fabbrica di afa e partite a carte, può continuare a fare quello che qui si è sempre fatto. Il ricamo, la coltivazione di mandorle, grani e olive e rievocare la tradizione sotto forma di Santi in feste patronali dissipate e floride. Questi sono luoghi di contrasti estremi dove la famiglia D’Anca, Gaetano, Luisa e le loro figlie, continua imperterrita nella mostrazione dell’unica verità siciliana: la terra e la sua lavorazione. Continue reading Lavanda, cereali antichi e trasformazione, nel nisseno più profondo… Gaetano D’Anca