Novellara. Terre dalle nebbie e dalla pianure persistenti, piazze quadrate, portici e tetti rossi diluiti. L’immagine di un paese fatto di ritualità, domeniche mattine e sepolte tradizioni ornamentali che del dialetto si son presi tutte le cadenze. Così le persone si conoscono e si riconoscono, in quel concreto-paesano dove i colori pastello e le persiane verdi sono acciottolati, religiosità e cura del territorio. Novellara è le sue campagne, le sue frazioni, le sue case basse e quei nascondimenti rinascimentali che delle Signorie si portan dietro gli angoli, i misteri e le fosse sepolte. Le bonifiche hanno collegato e disilluso, lasciando al cocomero, al parmigiano, al salame e all’aceto il compito di riportare l’araldica in terre confinate. In mezzo a queste vie, fuori dal centro, oltre quella strada lastricata che vanifica il qualunquismo, l’Acetaia San Giacomo sta portando avanti la notabilità di un progetto e di un prodotto che ha trovato quella straordinaria comunicazione data dall’artigianalità. Continue reading Aceto balsamico in quella campagna del tempo che fu… Andrea Bezzecchi
La casa del bergamino dove il tempo si è fermato… Carlo (Carlin) Rota
Locatello. Tra la collina e la montagna di quella Valle Imagna che ha sempre regalato lavoro e poche soddisfazioni. Le coste tutt’intorno segnavano la strada dei bergamini, di quelle famiglie di allevatori transumanti che hanno determinato il passato e il destino di questi luoghi. Il passaggio è sempre la verecondia delle tracce rimaste sull’asfalto di chi quei percorsi li ha fatti perpetuamente per anni senza accorgersi di nulla, senza una ricchezza e senza una materialità. Finito l’asfalto, tra un declivio e un terrazzamento, una mulattiera a scalini di pietra consumata porta all’obiettivo di un’assenza e di uno stupore. Condizione necessaria per la vita di un artigiano: gli agi della vecchiaia non sono mai arrivati. Neppure come mancanza. Carlin Rota ha ottantacinque anni, ha fatto il bergamino per metà della sua vita e fa il formaggio due volte al giorno da sempre. Tutti i giorni. Stracchino a munta calda con gli insegnamenti del nonno morto quando lui aveva undici anni. Senza reticenze, sena nascondigli, senza lamentele. Con la felicità straziante di chi ha vissuto la vita per quella che era. Una vocazione di barbe lunghe e rughe che non è mai scesa a compromessi con il secolo. Così l’artigianato delle schiene rotte rimane l’unica spiegazione ai racconti senza noia. Icastico come nessuno mai. Continue reading La casa del bergamino dove il tempo si è fermato… Carlo (Carlin) Rota
Antica Trattoria Cognento: la campagna che non ti aspetti… Famiglia Becchi
Cognento di Campagnola Emilia. Una campagna padana che ha nascosto il proprio mestiere di dirimersi e di non ritrovarsi. I caseifici si alternano alle produzioni casalinghe di aceto e le province si confondono per non riuscire mai a separarsi nelle tradizioni: in quel modo di fare così sanguigno da ricostruire l’identità attorno a quella voglia di tovaglie a scacchi e di tortellini. Perché qui, in queste terre, il cibo è sempre stato la religione della sosta, dell’attesa, dei tempi lunghi, di quell’anacronismo che si è portato via gli sbarbati, lasciando, all’interno dei maglioni infeltriti dalle ugge, quelle rezdore emiliane che continuano a richiamare ammaliando e proponendo, ostentando la stirata della sfoglia come un perversa ripetizione dell’eterno: privazione diacronica dello ieri, dell’oggi e del domani. Qui si viene per quel sentimento inconfessato di evasione che le agenzie di viaggio non ci hanno ancora estorto. Continue reading Antica Trattoria Cognento: la campagna che non ti aspetti… Famiglia Becchi
Manifesto: gastronomiche strade, gastronomici sbagli e gastronomiche manie
Sano, buono, stagionale, a filiera corta, pulito, giusto, sostenibile, prodotto, produttori, sprechi. Parole svuotate di senso. Approccio etico (prima via) ad un cibo che della visione organolettica (seconda via) si è vieppiù dimenticata, abbandonandola in quelle derive edonistiche/intellettuali/catatonicamente morte degli assaggiatori industriali e dei fruitori di TV-spazzatura-gourmet. Poi c’è la terza via, quella d’accatto, del cibo vissuto come un passatempo, come qualcosa di assolutamente tangenziale alla giornata, un approccio necessario, di sostentamento.
Ideologia, dogma e qualunquismo. Continue reading Manifesto: gastronomiche strade, gastronomici sbagli e gastronomiche manie
La cultura è il tempo necessario per il palato… Simone Devasini
Cisano Bergamasco per caso, avrebbe potuto essere Madone, ma sarebbe cambiato poco. La pedemontana bergamasca ha quella faccia ciclistico/depressiva che devi assolutamente sperare nel bel tempo. Altrimenti luoghi vicini, come Pontida, assurgerebbero a deus ex machina della diversità, con quel clima compassato e quei retaggi politici che si portano via tradimenti e giuramenti. Queste valli sono limiti che non ricadono sotto nessuna definizione, sono solamente un passaggio senza galleria, da dove guardare quelle montagne che iniziano ad infoltirsi di verde. Il lago è dietro l’angolo ma non porta che aggravio, il tempo è fatto di case basse, camminate compassate, cittadini assuefatti all’abitudine di avere sempre sotto gli occhi il vicino di casa e il salumiere dove aprire un conto senza firmare ipoteche. Cisano è un posto che non aveva qualità (se non anagrafica…), almeno fino a settembre del 2014, quando Simone Devasini ha deciso di decentrare il centro nevralgico di Madone, con una nuova pasticceria. Continue reading La cultura è il tempo necessario per il palato… Simone Devasini
Quattro Portoni: potenzialità e funzionalità… Fratelli Gritti
Cologno al Serio. Pianura bergamasca, mura e assenza. L’età medievale è stata miscelata con l’anima di questi luoghi: lunghi viali informi che portano dentro la nebbia di cascine diroccate senza una comunicazione perseguibile. E qui nascono e muoiono le quote latte, l’agricoltura di sussistenza e il piacere di rimanere paese in un rendiconto che non potrà mai essere esportato nel mondo. Perché le facce di pianura, le occhiaie senza limiti, le rughe in mezzo ai denti e quel corrosivo che si porta via saluti, smancerie e frivolezze, sono esemplari senza risvolti, fatti di foto in grigio sbilanciato e terra secca e disperata, dove la comunione con la cosa pubblica è stata più un esborso che un reddito. Qui in mezzo, la tipicità non poteva che essere la tipicità, se non per un cambiamento di rotta che i fratelli Gritti hanno deciso di imporre pervicacemente a quell’allevamento che ha trasformato un’intenzione. Continue reading Quattro Portoni: potenzialità e funzionalità… Fratelli Gritti
Il vino della Valcamonica e i suoi straordinari tesori… Andrea Bignotti
Piamborno. Uno dei nuclei abitativi di Piancogno. Fondovalle e molta ombra. Transito nostalgico di stradine che ormai sono state messe fuori gioco, questo è un luogo dove i vigneti, appesi alla montagna, vivono nella speranza di una strada del vino nel freddo di un inverno dove non passa nessuno. La famiglia Gheza ha segnato il passo in maniera indelebile tra ville arabesche a Breno e quella Casa rosa antico ispirata alla Spagna moresca, tra cantine sepolte e le cornici delle bizzarre aperture che lasciano offuscato il segreto di un luogo chiuso dirimpetto alla mia meta. Piamborno non avrebbe da ridare indietro che foschia se non fosse per quell’angolo di follia dove, tra eccentricità svolazzanti e ruralità da disseppellire, appare la dichiarazione d’intenti di un luogo quasi magico… Continue reading Il vino della Valcamonica e i suoi straordinari tesori… Andrea Bignotti
La sicurezza del norcino… Diego Ottelli
Pian Camuno. Lo sviluppo al tempo della crisi. La Valle Camonica che non è riuscita ad auto-compiacersi e ad auto-referenziarsi, preferendo l’abbandono. Quello industriale e di conseguenza quello artigianale. Sono arrivati i lavoratori, si sono costruite strade e ci si è lasciati incrostare ad una geografia antropica che mette al muro la montagna, lasciando tutti liberi dai peccati. Perché qui il valore del trovarsi in mezzo non si è più guardato in faccia, si è preferito voltare le spalle all’industrializzazione continuando a immaginare quei boschi di castagne e quei giardini da case basse che sono l’anima di un luogo a cui è rimasto attaccato solo un nome. Così non si vende nulla e soprattutto non si sogna nulla. Il clima opaco della fuga è l’unico dogma farneticante. Perché vedere una spianata significava e significa mettere in circolo un orrore e così i saperi rimangono tutti intrappolati nelle lamentele sterili da figlio raccomandato. Bene così e, per i modelli da imitare, magari fare qualche passo in avanti e qualche passo in alto, fino al confine… a tutti i confini… Le vanità, tuttavia, si nascondono bene nei luoghi da finestrini appannati e voglia di tornare in ciabatte. Così la Macelleria Ottelli è l’improvvida rappresentante della norcineria camuna, quella che non è mai esistita per materia prima troppo contraffatta… Continue reading La sicurezza del norcino… Diego Ottelli