Annecy è un luogo dove l’assalto dovrebbe essere assolutamente fuori controllo, al limite del perpetuo, una città sul lago, circondata dalle Alpi, con un clima mite, un centro storico rifinito, case a graticcio, ponti in ferro, fiumi, fiori, cartoline, pastello, artigiani, mercati, piazze, gioventù, aperitivi, casinò, cibo, belle epoque, ombrellini, vestiti lunghi, passeggiate, campi di calcio improvvisati su prati inglesi, case basse e sorrisi indefessi. Un luogo che il turismo sonnacchioso non ha imposto e che il turismo chiassoso non è riuscito del tutto a rendere apolide. Identitaria di suo, Annecy è il manifesto dello sguardo e la città dove la maggior parte dei francesi si trasferirebbe a vivere. Perché nonostante l’accessibilità, non è detto che il lungo periodo sia così troppo sovente. Però due giorni sbalordiscono… Continue reading Annecy, il suo lago, la sua straordinarietà e le sue montagne… dove regna l’Abondance…
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Reblochon: dal folklore dei monaci casari alla serietà di un formaggio quotidiano…
Abbaye de Tamie. Plancherine. Tra Annecy e Albertville, in mezzo al parco naturale dei Bauges, trappisti osservanti, forti chiusi, percorsi tra i boschi e delle mura protettive che lasciano al campanile spoglio il compito della laconica preghiera. È un’immagine che non può lasciare indifferente, che apre banalmente i cuori e gratifica più nella lontananza che nella ricerca del prodotto. Questi sono luoghi che del sacro serale, in un ammantato pieno di nostalgia, han creato una lezione spietata. Guadagnare con il lavoro, mostrare il giusto e non mettere in discussione il prodotto. C’è il rischio che anche un gran formaggio si trasformi in una palla di vetro con neve. Perchè qui i monaci ritirano il latte da stalle della zona e, nel più fervido dei segreti, in locali sottostanti al monastero, lo caseificano per produrre il Reblochon. Continue reading Reblochon: dal folklore dei monaci casari alla serietà di un formaggio quotidiano…
Beaufort d’alpeggio e la resistenza di un principio… Gaël Machet
Le Villard du Planay. Savoia. Superati gli ultimi prefabbricati che già guardano la montagna, in quelle valli alpine predate dalla necessità di divertimento, la neve è comunque efficace per una piacevolezza di sistema. Macchine compassate che s’ingrandiscono, mancando i colori pastello e smunti della decadenza paludiera, rimandano ad una Francia più vicina e meno esotica. La finitudine del legno, contrapposizione di colori che dovrebbe sempre lasciare senza parole, diventa una fiaba imposta da una conclusione di rocce e vette. Non si riesce ad andare oltre una semplice bellezza, fatta di prodotti tipici, di linee geometriche che demarcano il sentito dire dall’offesa e di rotonde fiorite che chiudono il circolo novecentesco dei vip in elicottero. Questi dati sul mondo si trovano al di qua e al di là delle alpi, in località turistiche dove sciatori, grolle e pelli abbronzate si continuano ad alternarnare nella rappresentazione della selezione naturale. Continue reading Beaufort d’alpeggio e la resistenza di un principio… Gaël Machet
Bleu de Termignon: epopea e segreti di un erborinato leggendario…
Termignon è al bordo del Moncenisio, sul termine di un pianale che contrappone forti, fiumi e una bellezza delicata che non sovrappone le valli al mal di testa. È tutto molto piacevole, largo, idialliaco con quel po’ di operoso tra i legni tagliati e qualche fabbrica integrata. Nel paese ci sono più rivendite di formaggi che abitanti, l’Italia è dietro l’angolo di un confine che ormai è possedimento e dimenticanza, qui il turismo sostenibile si è talmente sostenuto da essersi messo alle spalle i retaggi e le battaglie, allontanando la concorrenza cisalpina e mantenendo in solitaria l’originarietà di un prodotto leggendario. Il Bleu de Termignon, il nostro Murianeng (o il Blu di Moncenisio), un tempo, si produceva alla Stazione Sperimentale di Sauze d’Oulx. Ora più nulla. Solo quattro/cinque contadini alpeggiatori francesi portano avanti una tradizione estremamente complessa, di cagliate acide, assenze di inoculi ed erborinature naturali.
Raphael Bauntin e Frederic Muller (insieme a sua moglie Murielle) sono due di loro, uno lo produce solo in malga l’altro tutto l’anno, contravvenendo alla storia (per le nonne sarebbe inconcebibile portare avanti la produzione fino a dicembre) e venendo incontro alla primavera. È un formaggio di cui si parla poco e si conosce ancora meno, soprattutto in paese, ci sono poche indicazioni e molto sottobosco. La possibilità di trovare qualche forma sono ridotte al caso, busso a varie porte, mostro carte e speranze, trovo tanta cordialità, un forse e una forma conservata.
Dal legno anche qui si è passati alla ceramica, le forme vengono bucate con un ago per penetrare all’interno e permettere che l’aria possa penetrare in una delle due cagliate sovrapposte, generando le muffe. Trafiggerli ad agosto per averli blu alla fiera di Termignon, la prima domenica di ottobre. La vista non sempre soddisfa la dogmatica, ma il gusto non inganna: alcune forme possono rimanere bianche e sviluppare una proteolisi poco accentuata ma in bocca esplodere lo stesso in frutta matura, latte e funghi. La cagliata inacidita serale viene mischiata a quella del mattino, le spore iniziano a svilupparsi, si caglia, si rompe e si ricompone in teli di lino per una lenta spurgatura e poi per la pressatura. Nei mesi inizia a granarsi e ricomporsi, in quell’alea casearia che per poche centinaia di forme all’anno non viene nemmeno più codificata. Si può bucare, tagliare, spezzare o sbriciolare. Le muffe sono nell’aria e nella sapienza di pochi allevatori che han deciso di resistere agli erborinati da schiaffoni per una delicatezza setosa, impareggiabile…
Parigi val bene una… boulangerie!
Le città hanno dei confini e dei limiti ben precisi, nonostante i manifesti contemporanei stiano cercando di fare apicoltura nelle fogne e di creare orti sui vagoni della metropolitana, e sono quelli degli artigiani, quelli che possono realmente permettersi Parigi e quelli che di Parigi sanno cosa farsene. Il resto è formato da una schiera di commercianti e affinatori che nella città vedono il punto di arrivo di una vendita facile, con qualche chicca di retroguardia e una stabilità di acquisto che vada di pari passo con i licenziosi desideri di clienti che non sanno più cosa ottenere. E così le fromagerie sono ricche e intelligenti nonostante, allo scandaglio, mostrino il fianco alle critiche come tutte le botteghe del mondo. Nessuna esclusa. Anche qui, al di là di una preminenza di latte crudo e di cartellini con provenienze e produzione, il facile da gestire deve essere il primo lasciapassare verso l’accumulo, il guazzabuglio e l’estetizzante. Poi scappa l’occhio sulle produzioni italiane e, al di là del sorriso, scappa anche la domanda: “Ma chi vende i formaggi francesi in Italia pensa di vendere qualcosa di meglio di colui che vende formaggi italiani in Francia?”. Risposta senza replica e contentezza per quello trovato. Brie (Meaux, Melun e Coulommiers), toma estiva del Béarn di pecora, il solito Comté invecchiato, Camembert, immangiabili Mimolette, caprini di tutti i tipi (perché ho la conferma che ai francesi della stagionalità della capre non frega nulla… e quindi via di destagionalizzazioni e parti autunnali) e tome d’alpeggio raffinate ma tolte da un senso precipuo. Su tutte spicca Quattr’homme, luogo cardine e simbolo per capire dove i nostri venditori mai arriveranno. Continue reading Parigi val bene una… boulangerie!
Parigi: dove decidono le pasticcerie…
Tolto il fascino delle prime volte, il ridimensionamento di una città si vede dal tempo speso a non fare altro che vagabondare, non stupirsi più e rimanere attratti dal silenzio e dalla decadenza. E nonostante il clima aiuti a confondere, sbagliare strada è pressoché impossibile. Parigi è una certezza di zainetti, turisti sepolti, guide illuminate e occhi persi a rimirare. Almeno negli arrondissement più pertinenti alla Senna, quelli che hanno creato mitologie, che hanno visto lacrime, marciapiedi scalfiti, corse ininterrotte, proteste senza necrosi, gli stessi che sono stati ribelli e che sono diventati borghesi… perché Parigi è una città di straordinari ed enormi luoghi comuni, dove lo scarto è sempre una parola non detta. E così trovi psicanalisti italiani e lacaniani, registi con la macchina di scorta, produttori di aglio nero in bavero e redingote, suonatori di pianoforte dodicenni, poveri senza soluzione di continuità, ricchi dalle finestre luminose e sempre aperte, design decadente e prezzi che non hanno eguali perché il fascino non ha eguali. E qui si paga ancora il tempo per far sì che il ricordo, al di là dell’oggetto comprato e della baguette da mettere sotto l’ascella, sia un affastellarsi di presenti brevi che diventano storie condivise e racconti di qualcosa che non avrà mai comparazione. E così tirarsi fuori, provando a prendere il dolce come forma di corredo, può essere un buon modo per definire Parigi, senza dubbio, la città più succulenta del globo. Perché lo zucchero è sempre lo zucchero. Almeno nell’immaginazione e nella costruzione. Continue reading Parigi: dove decidono le pasticcerie…
Savoia: una desiderabile fattoria dove il Beaufort è di casa… Ferme Cartier
Saint-Avre è un luogo dove si può trovare tutto. Basta chiedere. Montagna, ruralità, autostrade, industrie, formaggi, rotonde, benzinai, ponti, approdi, fascino e antitesi. È una Savoia che prende le distanze dall’Italia, portandosi dietro le nuvole e il cattivo tempo. Queste valli non hanno ancora la lontananza ma non hanno mai perduto la produttività. Qui si sono create varie leggende, tra queste vette Pantani ha generato e ucciso la sua. Ancora tutto innevato, i passi sono chiusi, i nomi sono ancestralmente legati ad un passato di tutti. L’Italia è dietro l’angolo, i regimi dorati anche. E così nascondersi viene facile, soprattutto in luoghi che hanno mantenuto i formaggi come baluardo di un’appartenenza e di una cultura che si ferma al Frejus. Continue reading Savoia: una desiderabile fattoria dove il Beaufort è di casa… Ferme Cartier
Forez: antiche province dove fare artigianato
Loira-Alta Loira-Puy de Dome. Non posti per italiani. Qui il turista c’è ma è poco manifesto, non si mette in coda, non crea facili leggende e non si concede alle passeggiate prezzolate tra i vigneti e il lusso. Le sciarpette di seta, le decappottabili e le borse Hermès rimangono nei garage e sono dedicate non alla dimostrazione ma alla normalità. Questi sono luoghi quotidiani con quell’unicità che non ti lascia mai con la speranza di tornare in un periodo diverso. Perché qui in mezzo la Francia si fa lavoro e gratitudine, le bellezze della pianura e quelle della montagna si fondono per non importare a nessuno o a pochi o a me. E così mi ci ritrovo dentro. Perché questa terra, tra Lione, Saint Etienne e Clermont-Ferrand lascia ancora tempo ai produttori, abbandona i villaggi alla propria placidità, tutela gli altipiani e mette in mostra le gole della Loira come antefatto alla propria possibilità. Se ti stimolano, passi oltre, altrimenti ritorni sulle rotte dei vigneti o dei parchi naturali. Il Forez è una via di mezzo dove sei costretto a fare bene. Chambles, Montbrison, Sain Bonnet le Chateau, Montarcher, Cervieres, Marols, Moingt sono alcune ricorrenze medievali o attrattive di luoghi solo leggermente dissepolti, qui in mezzo, alcuni grandi artigiani continuano a lavorare senza pressione, a far girare le macine, a mungere latte, a curare il lievito e a comporre dolci straordinari. Continue reading Forez: antiche province dove fare artigianato