Raspino: la pasticceria parte dall’origine… Gino Rigobello

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Torino. Regio Parco. I portici sono una lezione imparata di storia sabauda che non riesce a guardare oltre la fronte corrucciata di chi ormai ha perso interesse per il cielo e per il tempo. Dalla lavorazione del tabacco alle case di ringhiera operaie fino alla suadenza da parcheggio comodo e parchetto canino, il quartiere si è evoluto ripulendosi dalla fuliggine e da quelle facciate in stile sanatorio che della quadratura han sempre reso un’immagine impossibile da rendere più vivida. Torino è sempre rimasta un cielo coperto e delle insegne al neon catalizzanti le direzioni delle strade. Colori vividi su una materia rimasta grigia, apocrifa, sconsacrata… taverne, pasticcerie, ristoranti cinesi e bar a mezz’aria, nel culto del giornale, nel riposo di mezz’ora, nell’operosità blanda di manovalanza fine a se stessa. Torino si è sempre allargata senza mai interessarsi dell’orizzonte da cui era vista e da cui era macchiata. Così ha mantenuto dei luoghi tenui dove rifugiarsi molto oltre l’estetica vintage del caffè e della boiserie. Continue reading Raspino: la pasticceria parte dall’origine… Gino Rigobello

I formaggi e la la loro cognizione… Gabriele ed Edoardo Donadio

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Villar San Costanzo. Il paese dei ciciu, i camini delle fate delle Valli Cuneese. Formazioni rocciose, erosioni di non si sa bene quale passato, decisioni terrene a forma di fungo che fuori escono ai piedi del Monte San Bernardo: nella purezza di un luogo molto lontano dal turismo e più vicino ad un naturalismo di stampo geografico. Qui si passeggia bene ma si studia meglio. Nel silenzio di un paese che, nella casualità della fortuna, ha deciso di non trasformarsi in CiciuLand ma di rimanere un territorio con delle priorità e delle gentilezze. Continue reading I formaggi e la la loro cognizione… Gabriele ed Edoardo Donadio

Un mulino riportato nella storia… Famiglia Cavanna

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Dronero. Imbocco della Val Maira. Coltivazioni di mele e di kiwi alle spalle e quelle alpi cuneesi che mi hanno sempre incusso timore davanti e tutt’intorno. Una sollevazione d’intenti mai particolarmente portati a fondo. Dronero sta lì placida sul torrente Maira con il Ponte del Diavolo a fare tutto il resto, dissimulare mitologia, sciorinare leggende e mettere in mostra arcate molto diverse tra loro. Lì, con la roccia a irrompere nell’acqua, l’acciottolato sbattuto contro le case signorili occitane che hanno deciso di tenere lontane le tradizioni montane coi tetti calati sulla pietra, Dronero è fascinosa senza decadere. Su uno dei canali irrigui del Maira, già in direzione fuga nella zona del paese eponima, c’è sempre stato il Mulino della Riviera, straordinario esempio di architettura rurale legata alla sopravvivenza di un paese e di una valle. Anni dopo che l’abbandono si era portato via tutto il contenuto, lasciando lo scheletro di quello che era una bella fotografia, la famiglia Cavanna ha deciso di restaurarlo e di rimetterlo in funzione. Così… dopo anni a fare biscotti e dopo l’approccio all’arte del mugnaio per un caso poco meno che fortuito. Continue reading Un mulino riportato nella storia… Famiglia Cavanna

Il Castelmagno appeso alle rocce… Osvaldo Pessione

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Castelmagno. Comune sparso. Valle stretta, alberi, poche case e ancora meno posti dove rifugiarsi. Qualche venditore tipico, un paio di tornanti e Campomolino mostra una definizione quantomeno di frazione. Quindici borgate, sei abitate e un paio recuperate. Comune e posta nello stesso edificio, un ristorante e una bottega. La strada perde tortuosità e inizia ad aprirsi. Vacche al pascolo e la valle, presso Chiappi, diventa una meraviglia d’alpeggio e facilità. Lì, in mezzo a questa morfologia fluviale, memoria di un tempo d’immigrazioni, guerre e abbandoni, Castelmagno rivendica le sue passeggiate e il suo Ferragosto. Il resto è una solitudine nebbiosa, oltre i millecinquecento metri d’altezza, e una possibilità di collegamento con le valli dirimpettaie (Stura e Maira) data da una strada a mezza carreggiata fiancheggiata da una montagna franante e da un burrone decadente. Il coraggio non è nemmeno più una voglia di osare. Le aquile accudiscono il santuario e il resto è vegetazione rarefatta e roccia, in quella angoscia verde che non rende tutto poetico. Questo non è l’Alto Adige, questa è la Val Grana che all’allegoria ha preferito la rovina. È tutto pietra anche le parole occitane compresse in una ricerca di una sigaretta dell’anziano della borgata che è come se non avesse mai visto… mai… neppure oltre… neppure quelle frazioni recuperate da ingegneri e “barolisti”, radicalmente metropolitani, che han deciso di dare asfalto, blandizie e formaggi ad una valle che era stata predata. Continue reading Il Castelmagno appeso alle rocce… Osvaldo Pessione

Albori di qualità… Pierluigi Fornero e Emanuela Calliero

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Luserna San Giovanni. La pianura puzza ancora di industrie tessili e diindustrie dolciarie. Qui ci si complicò la vita con il gianduiotto e si continuò a guardare le valli valdesi come una forma di comunità al di là di tutto. Il calcio è diventato hockey su ghiaccio e le Alpi Cozie hanno dato sostentamento e visibilità alla valle. I formaggi si sono nascosti dietro e sono fuoriusciti i tetti in pietra. Qui, le cave della pietra di Luserna, che ricadono principalmente in Valle Po, i fiumi che imbottigliano acqua andando sul ghiaccio, quel liscio e piatto che dei tetti di tutto il mondo ha creato un paradigma, non hanno lasciato molto alla terra, volgendo gli sguardi nella certezza di qualcosa di maturo. Così, fermarsi è un elogio più che un desiderio. Il motivo è quello di una pasticceria dal nome evocativo: l’Alpina. Continue reading Albori di qualità… Pierluigi Fornero e Emanuela Calliero

Mulino a pietra nel tempo che resta … Claudio Merlo

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Osasco. Pochi kilometri fuori Pinerolo. La provincia di Torino è sempre stata un po’ nascosta e un po’ triste. Il capoluogo ha dissuaso gli animi meno stanchi. Ci sono delle strade statali che portano verso le valli, ci sono campi di granoturco, qualche coltivazione fuori luogo e fuori tempo massimo, una voglia di fuga che non costringe e una montagna talmente vicina da non diventare mai fascino. Qui, tutto è molto concreto, l’immaginazione e il lavoro sono antipodi di una stessa mancanza. Questa provincia torinese non ha retaggi, non ha richiami, non ha bisogni e non ha desideri. Fiacca e nebbiosa, blocca le gambe sia per il mestiere che per il diletto. La bellezza del dialogo ha una struttura che passa per troppi sospetti e così le persone che incontro han perso quel po’ di tipicità, rendendo le chiese tutte un po’ più squadrate. La cascina, come stratificazione sociale, è stata ricoperta di tegole e di energie rinnovabili. La zappa è stata sostituita dalle catene di Sant’Antonio. Ma un cancello in ferro richiede ancora un po’ di tempo, prima di una classica passeggiata autunnale alla ricerca di un cioccolato pinerolese da labbra tumefatte. Il cartello scandisce “Elicicola Osaschese” e disegna una chiocciola… Continue reading Mulino a pietra nel tempo che resta … Claudio Merlo

Il paese dei balocchi dei macellai… Dario Geymonat

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Bobbio Pellice. Val Pellice. Una delle Valli Valdesi. Insediamenti umani, ritorno affettato ad un cristianesimo primigenio ma progressista e aperto alla diversità, gli anti-Amish locali senza cuffietta e senza più retaggi. A pochi passi da qui si svolge il Sinodo annuale dove tutti i rappresentanti delle varie Chiese si riuniscono per deliberare e mettere in discussione. Intanto, nel mentre, in quello scorrere di un fiume con poca acqua, la Val Pellice non è stata messa in vendita e non è stata nemmeno acquistata. Pochi turisti, strade sempre più strette, pochi approdi facili alla libertà della vista, alberghi pressoché inesistenti, pochi ristoranti, poche aziende agricole in vendita diretta e gli allevatori/casari tutti in alpeggio a produrre Seirass del Fen (la loro ricotta stagionata nel fieno) e una toma assolutamente da controllare. Bobbio Pellice è l’ultimo paese di una valle fin troppo nascosta, affascinante, boscosa, con i tetti in pietra di Luserna e i tornanti ripidi tra castagni e betulle. Qui c’è ancora la cultura del raccolto e della costruzione, ma soprattutto, in un abitato di poco più di cinquecento anime, tra il benedetto e l’eretico, ci sono due botteghe di macelleria, due prodotti tipici, ma soprattutto due macelli. Continue reading Il paese dei balocchi dei macellai… Dario Geymonat

Tuma di Langa e propensione alla bellezza… Alessandro Boasso e Arianna Marengo

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Mombarcaro è a quasi novecento metri d’altezza, in un luogo dell’Alta Langa dove le colline e gli avvallamenti lasciano spazio ai primi boschi, a quel sentore di montagna che si confonde sempre con l’abete, a quelle strade che hanno ancora impresse frazioni ma soprattutto decrescita demografica. Monte delle Barche con vista fino al riverbero del Mar Ligure… la giornata non è tersa e non soffia il Maestrale, c’è solo una pioggerellina senza sosta e anziani a bordo strada, memoria del passato e memoria, ahimè, anche del futuro. Milleduecento, ottocento, cinquecento e duecentocinquanta abitanti. Ne nasce uno, ne muoiono due e tre scappano. L’Alta Langa è terreno di weekend, di cascine diroccate e di patate, quelle che questo territorio ha sempre coltivato e quelle che questo territorio ha chiaramente abbandonato. I giovani, assuefatti alla bellezza balsamica dei tronchi, hanno solo voglia di andarsene. Un call center è sempre meglio di un pezzo di terra, la famiglia è una pagina intonsa, senza più legami se non una puzza di povertà e legno marcio. Così, per chiamarmi fin qui, ci volevano un albese e una cheraschese che, nella borgata di Casa Roccabertone, han deciso di presidiarsi. Continue reading Tuma di Langa e propensione alla bellezza… Alessandro Boasso e Arianna Marengo