Mistretta. Tra i Nebrodi e le Madonie, in quel diniego territoriale che non si conosce mai abbastanza. Così la precisione del viaggio, in mezzo alle buche della disaffezione, mi porta in un paese che agogno da anni e che mai avevo realizzato. Da lontano è il solito fascino siculo-entroterra-tenuto bene che da queste parti è più una regola che un’eccezione. Sfumature di marrone, case mantenute, stradine strette, associazioni culturali resistite ai secoli, botteghe di paese, sguardi scolpiti nella pietra e un’immagine antitetica ad una delle mie due ricerche. La pasta ‘ncaciata qui si fa, nelle case si fa ancora, ma nei ristoranti è praticamente impossibile da trovare. Forse su ordinazione e in determinati giorni, così mi lego al motivo dolce e mi lascio sopraffare dall’assenza di turismo. Mistretta è magnifica perchè parla poco, non ha espropriatori e nemmeno oratori. Rimane fissata da uno sguardo irriconoscente e così smette di adeguarsi e di cercare modernità. Mistretta è uno dei luoghi più importanti della Sicilia, perchè non ha realizzato. Continue reading Pasta reale di Mistretta… finalmente… Antonino Testa
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1690: Mulino a ruota orizzontale a cui mancano le parole… Mario Affannato
Novara di Sicilia. Peloritani messinesi, luoghi lontani dal turismo e quindi obbligati a dedicarsi alla dedizione. Le scorciatorie sono terre di nessuno e di lavoratori dell’invisibile, qui il luogo c’è, si vede e si cura. Manca il consiglio e manca la lontananza, ma è ben presente la tradizione di scambiarsi ancora l’attitudine al pensiero. E così tempi remoti e campi lunghi portano ad affacciarsi su un castello con ristoranti improvvisati, dove fiumi d’acqua e mezzi casuali accompagnano nella gentilezza uno stomaco maltrattato. Il castello è lì, come le tradizioni, i bar del paese e le pasticcerie (che poi sono gli stessi bar), che fanno dita degli apostoli e ravioli di ricotta, dove le materie prime sono casuali e i tavolini rappresentano alla perfezione la gentilezza del posto. Figli di ritorno, professori prestati al racconto, qualche turista dall’orecchio lungo, il Maiorchino come formaggio e rappresentazione fiera di necessità diventate desideri, e una fretta convertita dalla pioggia in attesa. E la fortuna di rimanere si trasforma in un mulino di leggendaria intimità, in quella valle che una volta, uno a distanza di sicurezza dall’altro, ne contava quattordici. Continue reading 1690: Mulino a ruota orizzontale a cui mancano le parole… Mario Affannato
Da Clara: una pizza in mezzo al nulla… Sergio Russo
Venetico Superiore. Un paese della provincia di Messina dove almeno hanno deciso di spendere i soldi in una direzione lontana dall’interesse. Piazza, illuminazione, vista, castello, distanza, in un luogo dove tornano gli espratriati e si avvicinano i dirimpettai di paese. Stop. Non c’è un turismo, non c’è una lussuria a cui dare scampo, piscine a sfioro, muretti a secco e il Barocco a ripulire tutto. Qui il terremoto c’è stato troppo tardi, quando già cultura e ricostruzione andavano per i fatti loro e così, poter respirare, non dovendo fare i soliti italiani che “è tutto uno schifo perché il presente non è il futuro che non è più il passato e non sarà mai migliore”, è già un abbrivio al decoro e alla riconoscenza. Poi c’è lo stupore. Continue reading Da Clara: una pizza in mezzo al nulla… Sergio Russo
I biscotti ricci come li mangiava il Gattopardo… Rosario Brancato
Palma di Montechiaro. C’è una sanità santa che non arriva dal limitrofo ma è circoscritta in questa terra di stidda, parole impronunciabili e retaggi monastici. Da lontano sembra tutto chiaro, sul diafano osseo, di un’imprecisione liturgica. I campi di grano e gli olivi alle spalle, le distese d’uva e le tane della vergogna rimangono assuefatte ad un territorio che non chiede il conto, per cui i diritti e i doveri sono la stessa cosa, il bianco e il nero lo stesso colore e l’imprevedibilità qualcosa che non è concessa nemmeno una volta, così per caso. Stradine parallele una sopra l’altra, voci basse, afa implorante, porte che si aprono e una situazione icastica che non ha il contradditorio. Palma di Montechiaro, la seconda volta, ha solo chiuso qualche finestra in più. Continue reading I biscotti ricci come li mangiava il Gattopardo… Rosario Brancato
Forno Biancuccia: veramente solo cereali autoctoni… Valeria Messina
Catania. Una giornata ricorrente dove il tempo del porto non è più un’esigenza ma una mostra, in cui rifugiati e murales sovrappongono la propria contraddizione. Oltre il centro, superate le bracerie di carne di cavallo, i palazzi rilucenti e l’industriosità agricola della deterrenza, Catania appare come una terra di conquista, uno di quei luoghi dove sembra possibile l’idea stessa di avanguardia. Sia per il passato necessario e assolutamente traslato dal luogo comune (leggasi Uzeda), sia per il futuro punto di riferimento di un’isola che si è sempre ritorta sul concetto di privilegio, non privilegiando mai il format sacrificio. Ecco, proprio qui, Valeria Messina ha potuto cambiare vita e dedicarsi ad una ricerca. Continue reading Forno Biancuccia: veramente solo cereali autoctoni… Valeria Messina
Pasticceria Russo: com’era, come non è… Maria Nevia, Anna e Salvatore Russo
Santa Venerina. Tra Il mare e l’Etna, in una piana rigenerata dalla presenza, architettura signorile, balatuni, portanti in legno e abbandoni edilizi si alternano, non rigenerandosi. Questa è una Sicilia feudale industrializzata, poco inclusa e di un passaggio lacerante. Fortunatamente esposto in orizzontale. Rimane qualche salita ciottolata e un’unica balconata, che si sviluppa per parte del paese dove la chiacchiera è la prima delle sensazioni e il cortile si sposta in mezzo alla strada. Fuori dalla metafora, c’è la solita chiesa mantenuta, quantomeno la facciata, e un conformismo dissacrante che alza e abbassa i toni a seconda della conoscenza. Qui in mezzo, la famiglia Russo prova a portare avanti una storia incompresa. Continue reading Pasticceria Russo: com’era, come non è… Maria Nevia, Anna e Salvatore Russo
Monastero della Badia di Alcamo: bocconcini con la confettura di zucca serpente…
Alcamo è sempre più un luogo cardine di una Sicilia che interessa solo agli agiografi e alle persone che nella reticenza hanno trovato il tempo quotidiano. Nascosta davanti ad una natura irlandese e primaverile, tra rocce, pecore e un vigore che è molto oltre l’immaginazione, l’aprile siciliano è un tornante, un girovagare ed un sentir l’eco. I vigneti cavati, le strade con le buche, i muretti a secco, i ravveduti nascondigli, il mare ancora incellofanato e la sabbia principesca sono dettagli che con il concentrarsi delle stagioni e dei diletti, intenerendosi in un’intimità pudica, si perdono, per lasciare spazio al disordine. E così anche l’Alcamo sonnacchiosa, dove gli artigiani gloriosi possono ancora fregiarsi di un territorio unico al mondo, si rimettono alla vendita come ultima forma di processione. Si saluta il santo, si fanno gli inchini e poi via verso un nuovo letargo. Fermare il tempo di questa Sicilia diventa un principio di pensione. E così, per sprofondare ancora meglio nella virtù, mi rimetto agli sguardi di due monache di clausura… Continue reading Monastero della Badia di Alcamo: bocconcini con la confettura di zucca serpente…
Grani autoctoni, mulini a pietra e forni a legna… Paolo Labita
Alcamo è stata una scoperta in tutte le direzioni, negli sbagli, nelle differenze, nel sudore e in quella compiacenza, stadio fondante e fondamentale, di un’esperienza di Sicilia che non può mai rimanere sulla strada. Deve entrare nelle case, sedersi, prendere il tempo con il caffè, rendersi conto, creare un precedente e non dare mai nulla per scontato. Le relazioni precedenti, il passato, la capacità della diversità e quel ricordo di un tempo in cui tutto era discorde diventano le doti lampanti di qualcosa da cui nessuna apparenza al mondo potrà mai sottrarsi. E così Alcamo riesce a sorprendermi attraverso il calore e attraverso la differenza, scuote la difformità di un destino già scritto e mi regala quelle storie riluttanti che han deciso di non anteporre la vendita. Continue reading Grani autoctoni, mulini a pietra e forni a legna… Paolo Labita