Valsavarenche e Valle di Cogne. Lati della stessa medaglia di un parco che mantiene e contiene l’unico quattromila metri tutto in territorio italiano, retaggio da sussidiario e da scuole elementari, immagine di stambecchi e re a cavallo, riserva di caccia personale di Casa Savoia, mulattiere selciate a regalare un po’ di facilità al selvatico, divieti, confino per espiatori di pene, bracconaggio, straordinari crinali e persone sospese tra l’abiezione e l’estasi, tra il dover sopravvivere ad un ambiente, che non sempre è una finestra sul mondo, e la stessa finestra che si apre su un’immaginazione sempre diversa. Continue reading Parco Nazionale del Gran Paradiso: artigiani e animali protetti
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Una famiglia in cui la Fontina intreccia altre storie… Bruno Jeantet e Mirella Paduano
Cogne. Parco nazionale del Gran Paradiso, dove i prati di Sant’Orso hanno impossibilitato l’uomo, rendendo la battaglia una questione tra vacche. Manca il selvatico di altre valli, manca l’ambiguo del tempo, sostituito bene dall’oscurità senza confini della notizia e dello spauracchio benestante e borghese, manca l’improvvisazione delle valanghe o l’azzardo dell’isolamento, ma il domestico ha un effetto contundente. Sul bianco invernale e sul verde estivo, il fascino non è altro che un non-luogo di continui sguardi, piste da sci di fondo, declivi appena accennati, una conca che si esprime in miniere, mulattiere e pesca alla trota. Con le vette tutt’intorno, dove gli alpeggi riflettono ancora su quale sia la miglior modalità per non estinguersi, la vallata può passare dall’incanto all’incombenza, perché qui quando l’avverso si mette ancora più contro, il cielo non ha pietà di molti. Qui si passa dall’idillio all’abisso senza l’opportunità della redenzione. I luoghi scoscesi e candidi hanno forse il tempo di mettersi dietro le mura domestiche ed aspettare. E così, in mezzo ad uno di questi prati, sulla strada che porta verso Valnontey, la famiglia Jeantet si è garantita il lasciapassare per la meraviglia. Continue reading Una famiglia in cui la Fontina intreccia altre storie… Bruno Jeantet e Mirella Paduano
Douce Vallée: aceti di montagna… Francesco Mauris e Paola Vittaz
Tra Boesse e Chatillon. Appena fuori dai percorsi turistici che verso la Valtournenche vanno e che dalla Valtournenche tornano, tra l’azienda agricola e il laboratorio, in quell’andirivieni che segue necessariamente le stagioni, di raccolta e di produzione. La Valle d’Aosta è un’espressione di acque tonanti e centrali idroelettriche che non lasciano più nemmeno il tempo del romanticismo. Qui si passa per andare verso il Cervino, verso quella dimostrazione d’italianità che è natura da rovinare in qualche maniera. E così quando le prime nevicate incominciano a ravvivare lo sguardo dei distributori di benzina, i fondo valle si rispecchiano nei semafori, nel traffico e nell’impazienza di stagioni da passare tra la pazienza e il decoro. Dove il lavoro diventa un’esigenza e una convinzione e dove il tempo occupato deve liberarsi prima di neve e sole per occupare il tempo libero di chi si è appena liberato da un tempo occupato. Turismo, accoglienza e produzioni tipiche, chi tradisce, per esempio, può cercare una via di fuga che vada bene dodici mesi all’anno. Ed ecco che un prodotto maltrattato per anni, come l’aceto, può tornare a svolgere la sua funzione conservante e rinfrescante, tornare ad un’origine verso cui il tempo è stato poco galantuomo. Continue reading Douce Vallée: aceti di montagna… Francesco Mauris e Paola Vittaz
Una donna e il suo mondo: genepy e montagna… Emilia Berthod
Frazione Bois de Clin. Valsavarenche. Luoghi eroici e luoghi dispersi, all’interno di un Gran Paradiso distante dall’eco estiva, dove camminando è sempre possibile imbattersi in ungulati dagli occhi gialli e in ungulati dagli occhi impauriti. Qui la neve arriva presto, le valanghe divellono e i boati nel nulla non rappresentano altro che natura. Poche centinaia di persone in tutta una valle che fiorisce per pochi mesi, mentre il resto è una patina di bianco dove l’economia di sussistenza è un sacco di soldi spesi in riscaldamento ed energia elettrica. Qui c’è talmente tanta bellezza che il letargo è l’ennesimo modo per non rimanere accecati, per prendersi del tempo e fregarsene di un racconto reiterato da fare a tutti quelli che rimangono naso all’insù e bocca spalancata. Il tempo è salvifico e ferale insieme, non ci sono mezze misure e nemmeno tonalità di un grigio informe, qui i colori non scherzano e si ribellano all’opacità da smanceria, il selvatico è rimasto selvatico, nessuno lo può e nessuno lo deve addomesticare, coltivare qui significa recuperare dei terreni alle rocce e provare a rispettare l’umano più della natura. Continue reading Una donna e il suo mondo: genepy e montagna… Emilia Berthod
Una Fontina rimasta nell’ombra… Elio Quendoz
Jovencan. Un luogo senza risalto, in quella bellezza di fondo valle che fonde stili e passaggi e rimane sempre strenuamente legata all’agricoltura, nume tutelare di un posto che non lascia nulla al senso dell’appartenenza. C’è il paese più dedito alle mele, quello più portato alla viticoltura, la frazione abbarbicata dove si allevano bovini valdostani, ma il comun denominatore rimane sempre la coerente difesa di un territorio da portare avanti compatto, da mostrare al mondo come una forma di equilibrio perfetto, per poi abbandonarsi nei mesi morti a faide burocratiche e interne, dove le giurisdizioni e le legislazioni diventano sempre una messa in discussione e quel lato oscuro in cui il vicino di casa ha avuto di più pur producendo di meno. La corsa al numero è tenuta nascosta ma è il fanatismo di terre estetiche ed estatiche dove tutto sembra andare meglio di un orologio svizzero. Continue reading Una Fontina rimasta nell’ombra… Elio Quendoz
Apparizioni: formaggio di pecora in Valle d’Aosta… Daniele Morzenti
Aymavilles. Tra la terra e il cielo, i castelli s’innalzano, i vigneti degradano e i meleti avvolgono quel bordo di Valle che è ovunque, sempre e comunque. Qui si è sempre vissuto in mezzo e attraverso la terra, gli sguardi facoltosi e quelli proletari si sono sempre incrociati, seduti insieme e rimasti nel lato della coscienza. Questa è una terra di storie e di persone che senza abbandono vivono in una foschia profonda, in un sentore comune che è tutto e per tutti. Qui la comunità si è sempre consorziata e si è sempre nascosta. Pochi nomi e tante bestie. Si guardano le montagne e si vedono i malgari e i ricchi dall’alpeggio facile. La Fontina è una forma comune che, pur non accontentando nessuno, ha plasmato una regione a sua immagine e somiglianza. E così il dissidente rimane al gelo, nell’incoerenza di essere diverso, di restare imprigionato all’acqua, alla corteccia e ai fieni. E scegliere di lasciare da parte le vacche per provare la strada del latte di pecora, a queste latitudini, ha significati impronunciabili, quasi beffardi. Continue reading Apparizioni: formaggio di pecora in Valle d’Aosta… Daniele Morzenti
Spiriti selvaggi in mezzo alle montagne… Silvia Vuillermin
Champoluc. Fuori stagione, fuori da quei tornanti che portano metropolitani e riportano pelli arse al sole, neve sporca e imprese da raccontare in ufficio. L’alta val d’Ayas in tutta la sua tranquillità e indifferenza, in quella forma di codardia deposta che succede sempre ad un’ondata turistica o precede un’estate di passeggiate. Bastano gli occhi, lo sguardo alzato verso le nuvole che coprono il Monte Rosa per rendersi conto di stare bene, di dare respiro a quelle noncuranze che ci siamo portati dietro fino a lì, fino ai venticinque kilometri di salita, fino all’imborghesito bolso che porta a casa tre kili di Fontina con il sorriso lercio di chi l’ha provato a far rilucere a forza di ringiovanimenti. La val d’Ayas però è altro, va oltre gli impianti, rimane in quell’apertura che, dallo scuro umido dell’autostrada verso Courmayeur, si apre in un verde erba misto tra il trifoglio e il muschio dei fiumi che scorrono impetuosi, nascondendosi dietro un’opacità di roccia. Il pungente ti stringe la pelle dentro la camicia, ti si pianta in faccia come ad un bambino in una giornata di sole, è una panacea per qualunque ammissione di pensiero. Continue reading Spiriti selvaggi in mezzo alle montagne… Silvia Vuillermin
Il formaggio di capra all’interno del dogma… Rita Challancin
Arnad. Paese di lardo e paese di inverni, freddi, gelidi quasi sepolti. Qui si coltivano le noci, le annate che vanno bene, e si nascondono i maiali, tutti gli altri anni. I lardifici hanno preso gli sguardi attraverso l’autostrada, i vigneti sonnecchiano tra rupi e forti e la montagna è un pensiero coperto d’ombra per buona parte della giornata. Qui si fa Fontina, si mangia Fontina e si vende Fontina. Le bovine valdostane si cibano di fieno valdostano e fanno formaggio valdostano. Qui consorziare è significato tirarsi fuori dall’autarchia, quella che ti faceva allevare tutto e ti faceva vendere un manzo da carne con cui coprirsi di surplus. Tetti in ardesia e case in pietra, la vecchiaia è l’unico motivo di ammirazione, qui sono riusciti a tenersi stretti i tavolini da briscola in quattro e il fascino della notte calata al di sopra di ubbie e patois. Qui, una ragazza poco più che ventenne, sta provando ad attualizzare una rivoluzione mai fatta. Continue reading Il formaggio di capra all’interno del dogma… Rita Challancin