Turchia – Parte Seconda

cesme

La Turchia è una deformazione di rocce e terra. È l’incredibile travertino di Pamukkale ma è anche il suo sviluppo edilizio delinquenziale, da piscine rubate alle stanze pur di affascinare. Aprire un hotel è affare di tutti i giorni. Il rapporto qualità/prezzo è straordinario. Le città iniziano a puzzare a kilometri di distanza e i bus notturni non lasciano scampo né al sonno né alla morigeratezza. Sveglie nel cuore della notte in questi autogrill formato gigante, con l’altoparlante a scandire i passi delle pisciate in una Las Vegas notturna, che vendono tutto e in qualsiasi colore. Gli Otogar sono avanguardistiche stazioni monolitiche. Come cadute dal cielo, rispetto alla decadenza circostante, tolgono familiarità dando sicurezza e quel po’ di aggressività da venditore di biglietti, accecato dalla folle concorrenza, che porta fuori la modernità.

L’arrivo ad Izmir è sudato e inglobato nella storia. Smirne è stata quasi sepolta dai palazzi e dalla ricchezza, rimane vivo un bazar cunicolare dove si trova frutta straordinaria ma soprattutto Oztat Kardeseler, una piccola pasticceria ad angolo, famoso per i lokma e per i dolci a base di bulgur. L’atavica deferenza dei popoli del Mediterraneo che porta ancora dal farmacista, eminenza notabile locale, per tradurre l’italiano in inglese e l’inglese in turco, mi mette davanti uno di quei volti motivo dell’esistere. Vero, come i suoi dolci semplici, dove escono il pinolo, il miele, il pistacchio e la definizione dei sapori.

Trait d’union: Dostlar Firini. Incontro perfetto tra rivoluzione, povertà e necessità di arrivare sempre a tutti. Attraverso un cameriere istrionico, la comunicazione della figlia e di una blogger enogastronomica locale, mi trovo in mano un boyoz, pietanza locale sfogliata a base di farina, sesamo e olio di girasole e un uovo di livornese color rame, cotto a bassa temperatura in forno a legna per quasi venti ore. Una consistenza da capogiro. Cremoso, screziato, unico. Un piatto povero per le colazioni degli operai di straordinario impatto emotivo. La fuga è verso la penisola di Cesme, verso i suoi alberi di ulivo, il suo vento e i suoi porti dove i pescatori locali cucinano i propri calamari. Materia prima senza null’altro. Quasi impossibile da sostenere. Così come il viaggio oltre Efeso, fino a Tire, in mezzo al senso perduto della Magna Grecia. Pesche a perdita d’occhio, una frazione collinare, Kaplan, anziani sgabelli in mezzo alla strada e al chiacchiericcio, tartarughe di terra, turismo lontano anni luce, alberi di castagno a corredare il tutto e il ristorante Kaplan Cam (la tigre dei pini) come meta per cui vale qualunque viaggio. Padre, madre e un figlio, ex ingegnere ed ex soldato, ritornato a casa, come nelle più forti tradizioni del sud del mondo, dove la famiglia è l’unica possibilità di società, nella ricchezza ma soprattutto nella povertà. Non è il caldo, non sono le fregature e le compravendite e nemmeno l’indolenza, il solo discrimine tra il futuro nordico e la fiera disperazione sudica è nella Famiglia (con tutto quello che comporta e che potrebbe essere tema centrale di un trattato di sociologia), quella che allarga i denti e svuota i portafogli. Qui c’è una felicità disadorna che impatta, lacerando tutto. Bellissimi, padre in cucina, madre con i capelli bianchi rilassati, figlio senza bisogno di determinarsi a tutti i costi, e vista che spazia su tutta la pianura fino a Smirne. Meze educatissimi, con verdure fuori dal mondo ed espressioni semplici di coesione, succo di more a la maison, e racconti di caccia al maiale (la zona è dispersa tra il bizantinismo e l’ateismo…), con italiani in fuga dalla monotonia… poi diventa tutto buio… ripeto qualunque viaggio… un agnello marinato e grigliato… la logica è andata a farsi fottere… unico… collagene, grasso, morbidezza, sapore, tenuta, umidità, cottura… tutto perfetto. Rifarei quella follia, con la pressione dietro le spalle e kilometri nel nulla alla ricerca di un piatto, mille volte. Per un agnello del genere, potrei decidere di rifare un altro viaggio. Fermarmi, andare a caccia, dormire nella pensione dello zio, raccogliere le castagne e cacare nel bosco. Così, in uno di quei posti rimasti nella mezz’aria del progresso, dove la Turchia ha creato la sua zona d’ombra, nascosta dalla sensazione e dal turismo, dove mangiare bene è semplice… così come lo era un tempo, senza sostenibilità e senza altezzosità, senza pubblicità e senza un giudizio da battere sui tasti… così, senza opinione…

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