Antichi forni a legna nel buio della Val Trebbia ligure… Carlo Barbieri

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Montebruno è un luogo plumbeo, buio, con poche strade, con il fascino sommerso dalle poche chiacchiere e dalle poche propaggini. Il Trebbia scandisce i tempi e i rumori, gli alberi sono caduchi, non tinteggiano più, rimangono profondi in una valle che si è tolta il turismo di dosso a suon di curve e tetti rossi. Gli archi dei ponti definiscono quella che Hemingway, privato del sarcasmo ribollito, aveva definito “la valle più bella del mondo”, forse per la sua autenticità originaria che non la porta a confondersi con il già visto. Quello che passa sotto lo sguardo poco attento è l’incommensurabile distanza con il conosciuto, i luoghi tipici sono diroccati, le case di villeggiatura nascoste, gli agriturismi sono bradi, la natura estremamente selvaggia. Un posto anti-comunicativo. Acciottolati, sassi e un dialetto scomodo, distante, in mezzo a quella statale preda di camion e motociclisti. Qui, sulla strada principale, un luogo fuori dal tempo attende il viandante depredato dalle richieste. Continue reading Antichi forni a legna nel buio della Val Trebbia ligure… Carlo Barbieri

Riseria Melotti: il riso ogni giorno… Gianmaria e famiglia

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Isola della Scala. Uno di quei due/tre posti in Italia dove si dovrebbe fare autarchia risicola. Qui ci sono le pile vecchie, i campi bagnati, i pessin, ci sono gli aironi, ci sono le leggende, c’è la fossa Zenobia, c’è il maniscalco, l’offelliere, c’è il riso lavorato con i pestelli, i tempi lunghi, i campi biologici e i campi con poco inganno, le mostrazioni di signorilità e le feste di paese. Isola della Scala è un luogo con una connotazione ben precisa, con delle abitudini ben delineate e con uno stupore che non trova molto spazio. Le qualità nutrizionali del riso sono l’assuefazione quotidiana della cena, il surrogato ideale della pasta, quel piatto basilare da tre/quattro volte a settimana. Esiste una questua, un desiderio, una necessità, una festa, un lunedì mattina e una ritualità. Isola della Scala è fatta di nuvole basse, di sguardi dolciastri e di domeniche mattina sul sagrato della chiesa. Qui i momenti ancora scandiscono i momenti, senza fretta. E la rappresentazione migliore, quella da cui immaginare il resto chiuso senza urgenze, è una risotteria di un produttore di riso. Melotti ha capito che la filiera toglie un po’ di esposizione alle critiche che vengono rimandate al mittente sotto forma di tipo di coltivazione, quantità di ettari e guadagni concreti. Così le dimensioni familiari della ristorazione incantano l’avveduto. Eccoci qua. Continue reading Riseria Melotti: il riso ogni giorno… Gianmaria e famiglia

Uno chef prestato alla pizza… Francesco Cassarino

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Ragusa è un luogo tralasciato, pieno di vicoli, rotonde e discese che non portano a nulla se non a girare intorno a quell’unico motivo impossibile attraverso cui si è riuscito a ricreare la natività all’interno di un’apparizione. Che viene cercata e che non si fa mai trovare simile a se stessa. Bisogna affidarsi e guardare oltre quel terremoto che ha scardinato il medioevo, rendendo indietro quel tardo barocco che ha reso il Val di Noto quello scrigno presenzialista che non può mai essere evitato in una discussione che vuole la Sicilia come centro di smistamento delle cazzate vacanziere. Superato l’oltre di queste facciate, il molto oltre, dopo aver capito che ruota tutto intorno a quell’impiantito medievale-bizantino, dopo aver visto le luci notturne, dopo aver surrogato il nero con il luminoso dorato della pietra locale e dopo aver rimesso in discussione il concetto di pretesa, appare l’unico motivo attorno a cui ruota tutto: Ibla. Nata dalla morte per essere ammirata. E così la ricchezza non è più un barlume di limone raccolto, di zolfo prelevato o di cannolo riempito, è lì sotto una forma lacerata di povertà, quasi traslata verso una Sicilia che non è più appartenenza e non è più nemmeno possesso. Continue reading Uno chef prestato alla pizza… Francesco Cassarino

Un mulino riportato nella storia… Famiglia Cavanna

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Dronero. Imbocco della Val Maira. Coltivazioni di mele e di kiwi alle spalle e quelle alpi cuneesi che mi hanno sempre incusso timore davanti e tutt’intorno. Una sollevazione d’intenti mai particolarmente portati a fondo. Dronero sta lì placida sul torrente Maira con il Ponte del Diavolo a fare tutto il resto, dissimulare mitologia, sciorinare leggende e mettere in mostra arcate molto diverse tra loro. Lì, con la roccia a irrompere nell’acqua, l’acciottolato sbattuto contro le case signorili occitane che hanno deciso di tenere lontane le tradizioni montane coi tetti calati sulla pietra, Dronero è fascinosa senza decadere. Su uno dei canali irrigui del Maira, già in direzione fuga nella zona del paese eponima, c’è sempre stato il Mulino della Riviera, straordinario esempio di architettura rurale legata alla sopravvivenza di un paese e di una valle. Anni dopo che l’abbandono si era portato via tutto il contenuto, lasciando lo scheletro di quello che era una bella fotografia, la famiglia Cavanna ha deciso di restaurarlo e di rimetterlo in funzione. Così… dopo anni a fare biscotti e dopo l’approccio all’arte del mugnaio per un caso poco meno che fortuito. Continue reading Un mulino riportato nella storia… Famiglia Cavanna

Un panificatore che ha eliminato il superfluo… Damiano Fumagalli

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Caslino d’Erba. Finalmente. La Brianza diventa una definizione priva di senso e il lago di Como non patina ancora quella verità che pende dalla roccia. Qui si allevavano capre e si producevano i caprini di Caslino, ora si allevano le capre e qualche famiglia si produce il formaggio per sé e per i propri amici, in quel retaggio carbonaro da parola d’ordine e scambio del latticino dietro l’angolo tra il lattaio e il fabbro. Cascate in città, acqua limpidissima, un gruppo di anziani squadranti che non diminuiscono la soglia d’attenzione verso il forestiero almeno dal 1957, sensi unici e molta pietra. Caslino è un piccolo gioiello medievale prestato al secolo lungo senza dissensi e senza dissidi, perché qui le persone non hanno ancora scoperto la brevità del tempo. Così, quando Damiano Fumagalli, ormai qualche anno addietro, si è messo a cercare un forno a legna per produrre il proprio pane, ha visto in Caslino il posto giusto dove “crederci” senza sforzi. Continue reading Un panificatore che ha eliminato il superfluo… Damiano Fumagalli

Mulino a pietra nel tempo che resta … Claudio Merlo

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Osasco. Pochi kilometri fuori Pinerolo. La provincia di Torino è sempre stata un po’ nascosta e un po’ triste. Il capoluogo ha dissuaso gli animi meno stanchi. Ci sono delle strade statali che portano verso le valli, ci sono campi di granoturco, qualche coltivazione fuori luogo e fuori tempo massimo, una voglia di fuga che non costringe e una montagna talmente vicina da non diventare mai fascino. Qui, tutto è molto concreto, l’immaginazione e il lavoro sono antipodi di una stessa mancanza. Questa provincia torinese non ha retaggi, non ha richiami, non ha bisogni e non ha desideri. Fiacca e nebbiosa, blocca le gambe sia per il mestiere che per il diletto. La bellezza del dialogo ha una struttura che passa per troppi sospetti e così le persone che incontro han perso quel po’ di tipicità, rendendo le chiese tutte un po’ più squadrate. La cascina, come stratificazione sociale, è stata ricoperta di tegole e di energie rinnovabili. La zappa è stata sostituita dalle catene di Sant’Antonio. Ma un cancello in ferro richiede ancora un po’ di tempo, prima di una classica passeggiata autunnale alla ricerca di un cioccolato pinerolese da labbra tumefatte. Il cartello scandisce “Elicicola Osaschese” e disegna una chiocciola… Continue reading Mulino a pietra nel tempo che resta … Claudio Merlo

Profumi di forno a legna e fatica… Nazareno Tusa

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Monreale è un paese di panifici, panettieri e casalinghi possidenti un Fiorino, che la domenica si trasferiscono a Palermo a vendere il pane a tutti quei cittadini che non riescono ad esimersi dal rito del pane caldo. Perché la Sicilia è un luogo dove il sesamo, la rapida lievitazione, il calore della mollica e la fragranza di un rimacinato a colpi di martello, sono sempre stati effigie di qualcosa che va molto al di là della semplice fragranza del pane. Mettersi in coda al panificio alle sette di sera continua ad essere un rito. Non c’è nemmeno bisogno di collocare fuori i cartelli, il palermitano mangia pane caldo a pranzo e pane caldo a cena. E la domenica è costretto ad accontentarsi di un’oleografia del pane monrealese o almeno di quello che si faceva una volta, quando la povertà era la più fiera oppositrice del calore dei lievitati. A Monreale, però, c’è un forno a legna, dove le abitudini non sono così tanto cambiate e dove la fatica dell’artigiano è un parossismo impossibile ai più. Continue reading Profumi di forno a legna e fatica… Nazareno Tusa

Un panificatore sulla strada… quasi alla meta… Enrico Giacosa

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Alba. Una delle capitali gastronomiche del nostro gaudioso Paese. Piena di turisti, di mercati, di imbonitori, di commercianti, di studiosi, di professionisti, di produttori di tajarin, di mistificatori di tajarin, di sublimatori di tajarin, di panificatori, di chef, di pasticcieri prestati alla resistenza e di pasticcieri prestati alla prostituzione, di turisti con il cappellino a visiera e la carnagione diafana, di rotonde, di case nuove, di tradizioni culinarie, di vista sulle colline, di abbandono dei cereali antichi, di acciottolati, di tranquillità, di slow food, di osterie programmatiche, di canaline di scolo piene di vino al metanolo, di personaggi dall’accento azzardato e di vialoni compendio di tutto un viaggio a metà strada tra le vigne, i tartufi e le nocciole. Alba è una città improvvisa, tra il Tanaro e la Ferrero, con quella codardia industriale costretta a guardare conche, avvallamenti e colline, per togliere la mano dal portafoglio e provare a rilassarsi alla ricerca di uno spunto gastronomico. Continue reading Un panificatore sulla strada… quasi alla meta… Enrico Giacosa