Pastai a filiera corta… Antonio Camazzola

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Castel d’Ario dopo pranzo ha la stessa aria di Castel d’Ario prima di pranzo. Forse le strade si allargano un po’ di più o forse è solo la cinta. Il mio anfitrione, Marcello Travenzoli, è la più dissacrante guida turistica che potessi trovare. Castel d’Ario non viene nemmeno nominato, il centro viene palesemente snobbato così come l’assenza di qualcosa che non siano villette ad un piano. A lui interessa il prodotto, il ruminare, il coltivare, il brandire dei libri diventati zappe in una notte di plenilunio e di indisponibilità d’idiozia indotta. Castel d’Ario, se avesse più barbe, delle riviste che non siano elenchi telefonici scritti da messi comunali e delle tavole di legno eco-componibile, non sembrerebbe comunque Portland. Continue reading Pastai a filiera corta… Antonio Camazzola

Baffi surrealistici e cereali post-antichi… Marcello Travenzoli

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Castel d’Ario. Il paese del riso alla pilota e di Tazio Nuvolari. Case basse e campi di Vialone Nano. L’antropizzazione è un fatto più sociale che territoriale. I posti si definiscono attraverso i luoghi comuni. Il salame è un passa parola così come il mangiar bene. Qui non ci si riconosce nei dogmi. Il Veneto si è portato via ricchezze e povertà. Qui, al confine dell’impero, in una traccia climatica dove la nebbia è nebbia, le zanzare sono zanzare e il caldo stempera la voglia di cercare altrove, la primavera non sa ancora decidersi. Continue reading Baffi surrealistici e cereali post-antichi… Marcello Travenzoli

Del Monococco e dei suoi tortelli… Leonardo Salvini

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Gottolengo. In quella pianura padana che non ha più una tessitura, dove le industrie hanno lasciato ai contadini l’illusione di credersi padroni, la pausa pranzo è un tempo infinito che non ha altri sbocchi se non un saloon. La troppa fame mi getta in un bar da ultimo stadio prima della bottiglia. Il testo, il panino, il suo prosciutto e la sua barista sono di una rilevanza letteraria ma infima. Eccezione lirica: cinque sudati minuti in cui ho visto Belle Gunness, trasformatasi in vedova nera della bassa bresciana, portare a termine l’agognato avvelenamento dell’iconoclasta crapulone. Sfortunatamente riavutomi, mi sono trovato immerso in una disquisizione tra medi intellettuali dal culo basso, dall’alito fetido e dall’inflessione catatonica, che ha ammazzato nell’ordine, il nuovo governo, il vecchio governo, i partigiani, Balotelli, la madre di Balotelli, il carrozziere di un paese vicino, le fighe di legno e le discoteche che non sono più quelle di una volta. Sentendomi a casa, sono riuscito a digerire e a riavere i contadini sotto forma di contadini. Continue reading Del Monococco e dei suoi tortelli… Leonardo Salvini

Un pizzaiolo di strada… Giò Mandara

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Reggio Emilia. La borghesia va blandita lentamente. In quelle strade, tra quei teatri, tra quegli acciottolati e in quelle scarpe con il tacco in gomma che circoscrivono l’autorità, i cani sono ancora avvolti in copertine anti-freddo, mentre fuori esplode la primavera del sarcasmo. Così impiego una buona mezz’ora a cambiare piazza, a guardare getti d’acqua e a sbirciare tra gli aperitivi rimasti classici nelle noccioline e nel Crodino. Un sabato mattina senza fretta mi porta di fronte allo Spazio Gerra, un posto che non avrei pensato, contemporaneo e luminoso. Qualcosa di più simile ad un bistrot, da artista squattrinato ripulito giusto in tempo per la mitologia della foto a tutti i costi. Ma quando Giovanni Mandara è arrivato qui, a fine anni ’80, questo sfavillio non era così definito. Prima della rivoluzione, qui c’era un vecchio albergo. Poi, a metà anni ’90, Giò, pizzaiolo di Tramont Continue reading Un pizzaiolo di strada… Giò Mandara

Tecnica o materia prima? Tecnica e materia prima!… Matteo Cunsolo

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Parabiago. Il paradiso della calzatura. Un paese determinato dalla sua posizione geografica e basta. Aziende e mulini hanno incrociato le loro produzioni. I canali hanno portato linfa prima e dopo la guerra. Gli artigiani si sono trasformati in imprenditori o in operai. Quella zona di frontiera a nord di Milano ha influito sul benestare delle persone che entravano dal capoluogo e che uscivano dal capoluogo. Parabiago ha qualche bottega inaspettata (pasta fresca e salumi), le solite chiese richiama pasticcini, i tipici bar da gazzetta e bianchino, e le aziende calzaturiere. L’hinterland è una missione, soprattutto per chi decide di resistere, soprattutto per chi ha vissuto l’adolescenza negli anni ’90, ha chiuso le discoteche, ha distrutto le manifestazioni, ha bigiato le lezioni, ha preso la scuola come l’ultimo degli obblighi e si è divertito talmente tanto da trasformare la morte in una passione: il prestinaio di una volta, il panettiere fino all’avvento del 2.0 e il panificatore, lievitista contemporaneo. Continue reading Tecnica o materia prima? Tecnica e materia prima!… Matteo Cunsolo

Un pizzaiolo della Generazione X… Alessandro Lunardi

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Brugine. Strada principale parallela alla strada per il deserto. Fase postprandiale dove tutto sembra più rarefatto. Anche quest’angolo di mondo. Un fornaio con la puzza di lievito di birra che sfonda le vetrine, un bar-pasticceria dal cioccolato finto artigianale fatto di barrette e praline e con la cameriera che scommette sul fatto che non entrino rapinatori, vista la mia attesa solitaria e la sua faccia annoiata, un parrucchiere con le pettinature “schiaffo” in vetrina che sembrano uscite dagli anni ’80 di Paul Mitchell, e una sala slot, dove buona parte degli spiccioli risparmiati dalla spesa al discount vengono reinvestiti da teste basse, facce torve e felicità compresse. E non siamo alle soglie di un film di Wim Wenders. Continue reading Un pizzaiolo della Generazione X… Alessandro Lunardi

Il panificatore non scende a compromessi… Luca Scarcella

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Torino. Borgo San Paolo. A metà strada tra il residenziale e il popolare. A pochi passi da quel Rione Lancia che ha riqualificato l’industrialità regalando parchi, giardinetti, bambinetti e solidarietà. In mezzo agli enormi vialoni suburbani, dei pali bianchi, usciti dalle ricostruzioni dei velieri e degli acquari, installano i marciapiedi, facendo intendere qualcosa di diverso. Binari interrati riconvertiti in opere d’arte danno l’idea di un passato industriale che non esiste più. Spina Centrale: Spina 1. Il tutto è sovrastato da strutture tubolari che ridanno la profondità dei boulevard e la stupidità della domanda perché. La domenica mattina è come se tutto questo fosse il testo. Le persone o non ci sono o scompaiono. La vista è spostata verso l’alto. Continue reading Il panificatore non scende a compromessi… Luca Scarcella

Una storia di panificazione operaia… Vito Lasorsa

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Torino. L’interno di una bomboniera panificatoria, con finimenti country-franco-provenzali è il più classico degli “inganna l’occhio”. Al di fuori c’è molto silenzio. È una domenica mattina di gennaio, in mezzo ad uno dei quartieri più caratterizzanti la storia della città. Borgo Vanchiglia, ricordato come il borgo del fumo per gran parte del ‘900: emissioni operaie-industriali che pretendevano dalla zona il proprio ruolo proletario ma con il vezzo di rimanere molto vicine al centro. Continue reading Una storia di panificazione operaia… Vito Lasorsa