Mombarcaro è a quasi novecento metri d’altezza, in un luogo dell’Alta Langa dove le colline e gli avvallamenti lasciano spazio ai primi boschi, a quel sentore di montagna che si confonde sempre con l’abete, a quelle strade che hanno ancora impresse frazioni ma soprattutto decrescita demografica. Monte delle Barche con vista fino al riverbero del Mar Ligure… la giornata non è tersa e non soffia il Maestrale, c’è solo una pioggerellina senza sosta e anziani a bordo strada, memoria del passato e memoria, ahimè, anche del futuro. Milleduecento, ottocento, cinquecento e duecentocinquanta abitanti. Ne nasce uno, ne muoiono due e tre scappano. L’Alta Langa è terreno di weekend, di cascine diroccate e di patate, quelle che questo territorio ha sempre coltivato e quelle che questo territorio ha chiaramente abbandonato. I giovani, assuefatti alla bellezza balsamica dei tronchi, hanno solo voglia di andarsene. Un call center è sempre meglio di un pezzo di terra, la famiglia è una pagina intonsa, senza più legami se non una puzza di povertà e legno marcio. Così, per chiamarmi fin qui, ci volevano un albese e una cheraschese che, nella borgata di Casa Roccabertone, han deciso di presidiarsi. Continue reading Tuma di Langa e propensione alla bellezza… Alessandro Boasso e Arianna Marengo
Un panificatore sulla strada… quasi alla meta… Enrico Giacosa
Alba. Una delle capitali gastronomiche del nostro gaudioso Paese. Piena di turisti, di mercati, di imbonitori, di commercianti, di studiosi, di professionisti, di produttori di tajarin, di mistificatori di tajarin, di sublimatori di tajarin, di panificatori, di chef, di pasticcieri prestati alla resistenza e di pasticcieri prestati alla prostituzione, di turisti con il cappellino a visiera e la carnagione diafana, di rotonde, di case nuove, di tradizioni culinarie, di vista sulle colline, di abbandono dei cereali antichi, di acciottolati, di tranquillità, di slow food, di osterie programmatiche, di canaline di scolo piene di vino al metanolo, di personaggi dall’accento azzardato e di vialoni compendio di tutto un viaggio a metà strada tra le vigne, i tartufi e le nocciole. Alba è una città improvvisa, tra il Tanaro e la Ferrero, con quella codardia industriale costretta a guardare conche, avvallamenti e colline, per togliere la mano dal portafoglio e provare a rilassarsi alla ricerca di uno spunto gastronomico. Continue reading Un panificatore sulla strada… quasi alla meta… Enrico Giacosa
La nocciola e la sua trasformazione… Cascina Azii
Feisoglio è uno dei tanti comuni dell’Alta Langa tra curve e noccioleti. La vista spazia e trova filari, un po’ di boschi, qualche rotonda e molte aziende agricole. Gli abitanti del paese, da oltre cinquant’anni, tendono pericolosamente verso lo zero. È un paese di passati, di contadini, di lavoratori che hanno abbandonato i campi per andare alla Ferrero, di venditori di nocciola in guscio, di presente limitato e senza un futuro, né auspicabile né paventato. Trecento abitanti e spicci, una fetta di collina, una campagna che non ha accenti stranieri a cui vendere e una bellezza depressa sempre ottenebrata dal luogo d’elezione. Una letteratura spiccia, molto coerente, fatta di nuvole basse, verde insostenibile, rugiade, piogge sporche, crinali sospesi, affacci marini, una quantità incontrollabile di coltivazioni, di possibilità di coltivazioni e di aborti di coltivazioni, cascine diroccate, cascine dismesse e cascine riprese. L’Alta Langa è un luogo dove tutto è concesso, perché non è più “Langa”, non è ancora Liguria e i ristoranti sono ancora bar-trattorie. In questo luogo da pagina sbiadita e da Olivetti 22, l’accettazione della modernità è qualcosa di familiare dai tempi biblici. Continue reading La nocciola e la sua trasformazione… Cascina Azii
Famiglie Artigiane
Andando verso sud e ritornando verso nord. Esiste una linea in mezzo, esiste un luogo dove tutto si trasforma, dove la concezione di artigianato, di produzione, di gastronomia, di ricchezza e di povertà cambia radicalmente. C’è un luogo dove l’abbandono prende il posto della coercizione famigliare. Oppure c’è una zona d’ombra dove tutto comincia a sfumare, le certezze iniziano a sfaldarsi, i figli ad essere cacciati di casa, i maestri a trasformarsi da barbe paterne ad una forma di cortesia allocutiva. E così anche i giovani crescono con la mitologia della deferenza e non della fregatura. Continue reading Famiglie Artigiane
Dei profumi assolutamente inaspettati… Alessandro Bignamini
Melegnano non è altro che un casello autostradale. In questo nome flessuoso, non c’è nient’altro che un pedaggio da pagare, file da decomporre e un rientro dalle vacanze che rilascia solo nostalgia. Eppure ci sono delle persone che qui vi abitano, che qui lavorano e che qui passeggiano. Esiste un centro, delle rotonde, delle enclave di migliorabilità, uno snodo tranviario, un palazzo comunale, i giardini del castello e un acciottolato che, al di là di tutto, lo rende più piacevole di qualunque svincolo. Eppure, rimane sempre un punto di passaggio, tra l’Emilia e la Lombardia, su quel fiume Lambro che non lascia nient’altro che campi di granoturco e di soia, rogge e strade troppo strette. Così, in una via anonima, di luoghi dove i lavoratori si sono sempre succeduti, almeno fino alla crisi, la famiglia Bignamini-Bellomi, negli anni ’80, dopo aver visto, in un racconto tra il surreale e l’avanguardistico, l’insegna “Amico”, l’ha importata apponendola al proprio panificio.
A monte di una comunicazione anacronistica… Continue reading Dei profumi assolutamente inaspettati… Alessandro Bignamini
Turchia – Parte Seconda
La Turchia è una deformazione di rocce e terra. È l’incredibile travertino di Pamukkale ma è anche il suo sviluppo edilizio delinquenziale, da piscine rubate alle stanze pur di affascinare. Aprire un hotel è affare di tutti i giorni. Il rapporto qualità/prezzo è straordinario. Le città iniziano a puzzare a kilometri di distanza e i bus notturni non lasciano scampo né al sonno né alla morigeratezza. Sveglie nel cuore della notte in questi autogrill formato gigante, con l’altoparlante a scandire i passi delle pisciate in una Las Vegas notturna, che vendono tutto e in qualsiasi colore. Gli Otogar sono avanguardistiche stazioni monolitiche. Come cadute dal cielo, rispetto alla decadenza circostante, tolgono familiarità dando sicurezza e quel po’ di aggressività da venditore di biglietti, accecato dalla folle concorrenza, che porta fuori la modernità. Continue reading Turchia – Parte Seconda
Turchia – Parte Prima
La Turchia non è Istanbul e non mi ricorda nemmeno istintivamente Istanbul. È un viaggio all’interno di luoghi e culture estremamente differenti. L’islamismo, il cattolicesimo, il bizantinismo e la memoria. Un paese controllato dalla propaganda e dalla voglia di modernità. La ricchezza non è mai bilanciata dalla povertà. I luoghi di culto e di storia tracimano sudore e miseria, il resto è un passaggio con il pullman notturno, un tramonto stupefacente sui camini delle fate o le località sul Mar Egeo/Mediterraneo, dove la sindrome di arretratezza ha portato del futurismo praticato. Il livello medio della percezione di benessere è un mondo inesplorato. La gastronomia ci passa dentro, senza reti di sicurezza. Così può capitare di trovarsi in mezzo a quaranta kilometri ininterrotti di piantagioni di fragole, accorgersene e far accorgere i vicini di casa di sempre, quelli che ormai non hanno l’occhio che per l’Occidente, perché il resto è regresso e inettitudine. Le culture sono un prodotto tipico e una zona di appartenenza. Il tè di Rize, le fragole e l’uva della Cappadocia, le nocciole del Mar Nero, le albicocche di Malatya, il Dondurma di Kahramanmaras, i pistacchi e il baklava di Gaziantep, le mandorle di Datca, lo zafferano di Safranbolu, i formaggi di Kars o di Konya, il pastirma di Kayseri, i fichi di Izmir e i meloni di ovunque. Esistono molte zone di provenienza e pochissimi volti. Una terra di prodotti tipici dalle potenzialità infinite e dalle bellezze senza riguardo e senza conoscenza. Nessun limite e nessuna possibilità. LaTurchia, se esplorata senza essere esplorati dai continui controlli, dalle continue telecamere e dal continuo prendere nota, sarebbe la terra di conquista perfetta della definizione di futuro e di artigiano. Continue reading Turchia – Parte Prima
Istanbul: tra profumi, sviluppo edilizio, spezie, commercianti e disperazione
Istanbul è una metropoli a cui ormai è sfuggito totalmente di mano il senso di città. Ha una costruzione caotica, una bellezza disarmante, dei volti scolpiti per sempre in altri volti, dei tassisti che vivono nell’improvvisazione del momento, uno sviluppo culturale che va di pari passo con quello edilizio, delle salite che sono dei passaggi senza tempo verso la povertà e verso la tenerezza, dei canali inquinati, delle viste millenarie, dei venditori di panini con il pesce, dei pisciatori di strada, dei bambini abbarbicati al padre con una sofferenza disumana negli occhi, con quell’empatia senza grado che non è possibile perché non è più civiltà, dei muezzin salmodianti, dei minareti nascosti tra i vicoli dei bazar, dei venditori e dei compratori di qualunque cosa, dei business senza alcun senso, dalle pannocchie ai fazzoletti fino all’acqua scongelata, delle moschee al tramonto, delle ceramiche di Iznik che della mediterraneità han fatto un vessillo, dei sultani visionari e dei sultani sanguinari, pugnali rubati dai film di Dassin e smeraldi più grossi di uno specchio, delle maniere poco cerimoniose, dei massaggiatori da hammam – esperienza strettamente culturale, senza manicheismo, senza codardia ma soprattutto senza estetismo da resort con le palme -, delle forme innaturali di kebab, sempre più grossi e sempre più turistici, degli afrori delle spezie, del tempo da dare al tempo del caffè senza giochi di fondo, la laicità del lahmacun all’aglio, dei borseggiatori, delle file davanti ai musei, la puzza di piedi estenuante dei tappeti della Moschea Blu, la solidarietà religiosa, il regime, la propaganda universitaria, l’occhio vigile del Grande Fratello sempre acceso, dei pescatori improvvisati sul ponte di Galata, dei rimandi innocenti alle mode mitteleuropee, delle stiliste all’avanguardia, l’hipsterismo di Beyoglu, le pasticcerie di Kadikoy e le riproposizioni della baklava in tutte le varianti che l’umano palato può divergere e comprendere, l’assenza di un volto da associare ad un artigiano, il prodotto tipico sopra qualunque perplessità, la bandiera turca sventolante ovunque, il volto di Ataturk che diventa, senza soluzione di continuità, quello di Erdogan, delle spremute d’arancia in mezzo alla strada, la settorialità delle zone del commercio della città, dei lavatoi per i piedi, una comunità che ruota attorno al rituale del kebab, le pennichelle sull’erba in qualunque posizione, in qualunque ora del giorno e in qualunque luogo della città, delle orde di banchetti tramontanti il ramadan, un senso della pasta lievitata, della territorialità e della stagionalità delle verdure, dei meze (i loro antipasti) scenograficamente portati a tavola per la scelta, dei luoghi gourmet, dei buttadentro, una quanto mai lasca voglia di trattare il prezzo, la loro perdita di ritualità e del decadere dei costumi, delle facce preganti, delle facce sudate, delle scarpe rotte e dei macchinoni da puttana infedele, delle sigarette sempre accese, l’incapacità occidentale di rapportarsi ai loro autobus, la mal riposta speranza di trovare salumi e formaggi, in una terra dove la cultura del trasformatore è ad un passo da quella circostanza, riassumibile sotto il volto dell’autarchia, che tutto si porterà via, dei pistacchi sempre e solo salati, il cardamomo bianco con quel balsamico che mette il pino dentro ad un limone, la delicatezza del pepe rosso, la loro miscellanea di spezie per ogni piatto e per ogni contesto, lo zafferano iraniano ritenuto unanimemente superiore a quello locale, il tè nero di Rize e il tè che ri-forma i fiori… Continue reading Istanbul: tra profumi, sviluppo edilizio, spezie, commercianti e disperazione