Borgata Superiore. Marmora. 1530 metri. Estate e case aperte. Una decina di famiglie rilassate si godono il passeggio di esploratori e refrattari metropolitani alla ricerca del selvaggio. Si abbandonano le macchine, si beve acqua di sorgente, s’inala l’odor del fieno e ci s’imbatte in borgate e cimiteri che determinano ancora colori, che mostrano affreschi, che non hanno sostituito il compensato al legno e che si trovano desiderosi al di fuori delle curve, in quell’immaginazione che si nutre continuamente della scoperta. Questo d’estate. Poi cambiano le stagioni, arrivano le nuvole, il Monviso si fodera, le giornate si accorciano e il freddo comincia col lambire per finire col coprire. Iniziano le nevicate e le gelate, le strade s’imbiancano, le borgate si svuotano e qui su, tutto l’anno, rimane solo la famiglia Serra. Sei/sette persone in tutto. Tre giovani, due studenti che vanno avanti e indietro con la corriera e uno sciatore di fondo, Sergio, sua moglie Valentina, suo fratello e sua madre. Il risicato resto sono qualche decina di vacche Piemontesi al pascolo e un ricovero per il grande freddo. Continue reading Iconoclasta solitario irriverente allevatore… Sergio Serra
Categoria: Artigiani del gusto
Lou Bià: agricoltura di montagna… Monica Colombero
Borgata Torello. 1400 metri. Le frazioni di Marmora sono poche meno rispetto ai residenti invernali, un Piemonte valligiano che è sempre fedele a se stesso, comuni sparsi ed espansi dove l’eco è l’unica forma di relazione. Le case abbandonate si sovrappongono ai campi di ombrellifere, i boschi diventano cupi nelle diramazioni, i cimiteri, nella loro irraggiungibilità, sono viaggi di settimane tra lo spirito e la neve. E quando arriva la grandine, è meglio trovare un riparo. Qui la natura non scherza, non prende le misure, non le interessa il piacevole e il ritorno, nelle borgate di Marmora l’affezione è una conquista, gli affreschi abbelliscono le case e l’invito a rimanere ogni tanto si trasforma in un obbligo. Quando le nuvole si addensano e il Monviso scompare in lontananza, il fuoco, anche ad agosto, diventa il desiderio prima della chiacchiera. Per caso, sfioro soltanto la sventura e mi trovo seduto a Lou Bià, agriturismo rurale gestito da Monica Colombero, una donna che ha reso l’isolamento più impercettibile. Continue reading Lou Bià: agricoltura di montagna… Monica Colombero
Alpeggi al femminile in Alpi Cozie senza fine… Roberta Colombero
Alpe Valanghe. Valle Maira. 2100 metri nel territorio di Marmora. Dolomiti piemontesi al confine con la Val Grana e la Valle Stura. Molta roccia, ciclismo eroico e vie d’arrampicata. Qui non ci si arriva per caso. Soprattutto se la partenza è l’altra parte del mondo. È una missione conoscitiva che mira all’intimità, a quel contatto tra uomo, roccia, cielo e cibo che solo determinati alpeggi trasformano in dono. Quindici kilometri dalle ultime borgate per inerpicarsi tra asfalti dondolanti, sterrati, vacche al pascolo in mezzo ai ruscelli, grandinate fisiologiche, profumi di sottobosco, abeti inquieti e tutta una serie di rumori silenziosi che potrebbero addormentarti in un attimo. Qui bisogna abbandonare la meta e la rincorsa verso l’ottenimento. Nonostante la stanchezza e il dolore alle braccia per le centinaia di curve, la sveglia impastata e la solitudine da ruota bucata sempre dietro l’angolo, è necessario lasciar da parte la logica discutibile del dover trovare a tutto una definizione. Tornare un po’ meno uomo e avvicinarsi ad un senso comune che lo sguardo di due occhi acquamarina mettono a soqquadro per un’intera mattinata. Roberta Colombero ha 28 anni e alpeggia da quando è nata. Continue reading Alpeggi al femminile in Alpi Cozie senza fine… Roberta Colombero
Maestri in pratica… Adriano Del Mastro
Monza al calare dell’estate ha una somiglianza meno netta, una borghesia meno manifesta, una simmetria che ogni tanto si perde. E così possono uscire anche le ombre periferiche, quei reietti che sfruttano la vacanza per scrostare un po’ di impavido e tirar fuori una bruschezza di città che, qui, non si percepisce quasi mai. Da queste parti il revisionismo borghese non ha mai fatto una piega, si è sempre confuso in quella medietà modaiola che dall’abbronzatura e dalla suola bianca non ha mai spostato la propria tronfiezza, comprando le medesime maschere in un tempo che si è sempre mantenuto al di sotto. Delle autostrade, della barbarie, dei locali nati tardi e di quelle improvvisazioni umane che nel ghetto e nelle aree agricole hanno rigettato l’idea di Brianza, mai accettata e ancor meno compresa. È come se fosse tutto ovattato, anche il Lambro e le sue fabbriche, anche i conventi e le loro birre, anche gli spacciatori e i loro cantanti, in quel sopito che è sempre stato reazione. Continue reading Maestri in pratica… Adriano Del Mastro
Alimento: fermentazioni contemporanee… Cesare Rizzini e Michele Valotti
Brescia. Una città che non dovrebbe richiamare ma che rimane faro, insieme ad una provincia straordinaria, dell’eccellenza artigianale lombarda, se ne esiste una. Con una fierezza a volte eccessiva. Qui, appena sotto alla collina e tra le vie di un centro squadrato e attraente solo per chi ha il tempo di non guadagnare, gli autonomi pensatori non hanno il timore di provarci, guardano il territorio, non indugiano troppo nei luoghi del format e in quelli del marketing, e s’inerpicano su sequenzialità poco ovvie. Un turismo meno determinato non lascia troppo spazio al tanto al kilo, in città si deve lavorare con le stesse facce del lunedì, del mercoledì e del sabato. Accontentarsi e non accontentarle è una forma di riflessione non richiesta per riutilizzare il futuro. E così chi decide che accenti più stretti possano andare comunque bene, si è trovato in una sfumatura dove il lievito ha preso il posto dello spiedo e la fermentazione quello del tondino. Qui Cesare Rizzini ha deciso di far esplodere il suo passato… Continue reading Alimento: fermentazioni contemporanee… Cesare Rizzini e Michele Valotti
Armonia Verde o follia biologica?… Andrea Tessadrelli e Elisa Bonatti
Pozzolengo è uno di quei luoghi della provincia bresciana che riesce ancora a stupire nonostante la produzione. Qui le fabbriche sono diventate vigneti e relais per i riposi lavorativi, i frutteti appaiono dietro accenti teutonici e lo zafferano si è trasformato, andando oltre la comunicazione altezzosa, in coltura simbolo di queste latitudini. Nonostante gli sforzi per levare la patina, nonostante retaggi relazionali non proprio entusiasmanti e nonostante la vigna come forma naturale mi abbia sempre entusiasmato zero, trovare un difetto estetico a Pozzolengo è roba per palati ghibellini… qui veramente la Lombardia perde le sue chiazze e acquista un’armonia, cominciano le colline, le strade si stringono, le aziende agricole iniziano a fare vendita diretta e il paese dei pozzi e delle torbiere mostra se stesso molto oltre il Garda, il castello, il Lugana e il benessere. Mettere in opera zone così, al di là delle piscine e delle camicie bianche, attiene alla persuasione e alla perversione. E così un sabato mattina, fuori da uno di quei palloni pressostatici che solitamente ospitano i campi da tennis al chiuso, trovo Elisa, una sensibilità antica, un’umanità debordante, l’anima gentile che molti auspicherebbero… Continue reading Armonia Verde o follia biologica?… Andrea Tessadrelli e Elisa Bonatti
Il pane è un retaggio polveroso… Aristide Sbardellotto
Vigevano è una città pedissequa eccezionalmente evidenziata nel rinascimentale di piazza Ducale, in quella passeggiata, sempre uguale a se stessa, che attira ancora il fuori porta e incide sul sentimento locale sotto forma di fama in giro per la penisola. Il tutto lì della pavimentazione e dei ciottoli non porta altro che dintorni, pianura, risaie e distanza da Milano. Quella voglia di fuggire intransigente che si mostra sotto forma di motorini, di treni e di lavori. Chi può evitare il “va e vieni”, mostra la piazza nelle foto con orgoglio, ma la mancanza è un sentimento nostalgico post ubriacatura caricaturale. Origini altisonanti, industrializzazioni precoci, patria dei calzaturifici, prima in Lombardia insignita del titolo di città, declinata tra merlature, opifici e ciminiere, Vigevano mostra i segni di un tempo che non è mai diventato scalpore. Qui tutto scorre placido, anche la lamentela. E così, appena terminata la natura, ci si ritrova in quelle zone artigianali dove i soviet produttivi sono diventati lentamente piccole attività imprenditoriali, posti in cui l’uomo ha dovuto mostrare senza cautela la sua funzionalità. Pena la segregazione. Affrancato dalla catena, l’artigiano ha cominciato a mostrare muscoli e cervello, a creare e a salvaguardare. Aristide Sbardellotto è l’emblema di un retaggio polveroso e lontano… Continue reading Il pane è un retaggio polveroso… Aristide Sbardellotto
L’Oca di Sant’Albino è radicata in un ritorno… Davide Gallina
Casoni Sant’Albino. Mortara. Una Lomellina di concetto e di fruizione, dove i cimiteri sono ancora strutture da glorificare, le cascine comprese da un presente che non le ha rese dormitorio, le case tipiche strutturate ad elle rimangono nel decadimento delle facciate e in famiglie che rispettano ancora i tempi del lavoro e del riposo, e le piantagioni di bambù estemporanee non tolgono nulla al fascino di orti dove la vite e il fico fanno ombra a piccole coltivazioni per contadini rugosi che dell’oltre non hanno mai annusato l’esistenza. Queste frazioni, che si dividono tra i fossi delle nutrie e le fioriture della camomilla, passano inosservate perché fuori dalla produzione al di qua del desiderio. Qui c’è una congerie di personaggi che arrivano e se ne vanno, si siedono su sedie di plastica, prendono seghetti per intagliare il legno e passano per vedere se quel qualcuno che c’è sempre stato continua ad esserci. Davide Gallina non poteva che definirsi qui. Continue reading L’Oca di Sant’Albino è radicata in un ritorno… Davide Gallina