Il critico gastronomico è mai esistito?

critico

“Divertirsi significa essere d’accordo. Divertirsi significa ogni volta: non doverci pensare, dimenticare il dolore (la fatica ndr) anche là dove viene esposto e messo in mostra”

Anonimato, anonimato, anonimato. Chi ha voglia di anonimato? In pochi ormai. Il riconoscimento del sapere nascosto, dell’azione sottesa, dei François-Joseph Le Clerc du Tremblay di questo mondo e di un mondo che non c’è più, non sono più imparzialmente interessanti, mancano ormai di quel meccanismo per cui la vanità è una qualcosa per illuminati, per notti senza sonno e per dialoghi intimi prima del bicchiere. E così bisogna andare a riempire la saccoccia, dando credibilità attraverso il proprio nome a delle mezze vie che rischierebbero di finire in periferia. E invece c’è lui, il (fu mai) critico, la persona che può tirarti fuori dalle secche della popolarità dandoti un bordo gastronomico. Si fanno eventi, si crea aspettativa, si chiama a rapporto i blogger, si fa scrivere, si invitano gli chef, si prende l’assegno e si continua a cortocircuitare un mondo dove non bastano più gli editori (ormai diventati larve pedisseque di mangiatori instabili) ma servono altre entrate. I piccoli artigiani arrivano a mala pena a fine mese, sono vittime inconsapevoli di giornalistucoli redazionali dalla questua sempre pronta, e così si va in quel mondo che non è ancora industria e che mai è stato artigianato, dove i fatturati frullano bene oltre i cinque milioni annui (che non vuol dire molto ma non importa…). È la vittoria del pubblicitario (che se ammettesse la propria funzione nessuno avrebbe da dargli indietro se non una mano sudata di complimenti) e la morte del critico. Che qui diventa Mercenario. Continue reading Il critico gastronomico è mai esistito?

La conoscenza del territorio è diventata riconoscimento del sé…

idolo

«Se ognuno di noi confessasse il suo desiderio più segreto, quello che ispira tutti i suoi progetti e tutte le sue azioni, direbbe: “Voglio essere elogiato”» Emil Cioran

Sono finito nel mezzo del riconoscimento di una riconoscenza. Una riflessione senza coscienza che ha scambiato la gratitudine per qualcosa di ultra terreno, quasi di spirituale. Sono finito nel mezzo di un congresso di chef celebrità dove l’autoreferenzialità è rimasta l’unica cifra interpretativa. E così mi sono fermato e ho provato a capire, a guardare le facce, a camminare su di me e a sostenere lo sguardo dei salivanti. E lì ho inteso un passaggio, un cortocircuito etimologico, nato nel tempo, che caratterizza varie contemporaneità. Continue reading La conoscenza del territorio è diventata riconoscimento del sé…

La Prevenzione della Provenienza

provenienza

A che punto siamo?

A un punto morto.

Una risposta indefinita che continua a guardarsi indietro, a cercare l’origine, a riportare l’ingrediente ad un enigmatico retaggio. La tracciabilità, epopea di un passato grasso senza troppe domande dove si mangiava senza colpe, è diventata un algido contenitore usato perlopiù come clava e come convinzione.

Perché siamo in Italia baby!!! E qui non si scherza. Non ci fanno fessi le multinazionali con le loro conniventi etichettature degli ingredienti e quella non necessità di stabilire lo stabilimento di provenienza della produzione. Non ci fanno fessi i compratori di cagliata congelata dalla Germania, di tritato di maiale da luoghi imprecisati e di semi-lavorati imparentati con i controllori sanitari che prevengono senza provenire. Lì sì che è una lotta continua contro i mulini a vento!

Qui, (invece) nelle botteghe artigianali, si compra il nome, il panettone del pasticciere di grido e il gelato del gelatiere azotato. Continue reading La Prevenzione della Provenienza

La Non classifica dei Panettoni 2015

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Presupposto: mi sono rotto di leggere classifiche sui panettoni fatte da esperti che si divertono a mischiare le pere con le mele, sulla base di prodotti inviati in redazione e magicamente assurti al livello dei migliori panettoni d’Italia. Cioè, cazzo, se ti fai spedire 15 panettoni è ovvio che sarà la classifica dei migliori 15 panettoni inviati in redazione o assaggiati a Re Panettone o trovati per caso ad una fiera. Questa gente nelle botteghe artigiane, oltre leccare il culo, non ha mai leccato altro… Quindi, al di là di facili obiezioni e classifiche prive di senso, scriverò una riga per ogni panettone degno* e indegno da me assaggiato con calma in questo 2015 (e solo nel 2015)…

*Per degno intendo lavorato in maniera pulita, senza sovrastrutture, aiutini, mix, emulsionanti o aromi panettoni (pericolo da cui nessuno è al sicuro…) Continue reading La Non classifica dei Panettoni 2015

Manifesto: gastronomiche strade, gastronomici sbagli e gastronomiche manie

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Sano, buono, stagionale, a filiera corta, pulito, giusto, sostenibile, prodotto, produttori, sprechi. Parole svuotate di senso. Approccio etico (prima via) ad un cibo che della visione organolettica (seconda via) si è vieppiù dimenticata, abbandonandola in quelle derive edonistiche/intellettuali/catatonicamente morte degli assaggiatori industriali e dei fruitori di TV-spazzatura-gourmet. Poi c’è la terza via, quella d’accatto, del cibo vissuto come un passatempo, come qualcosa di assolutamente tangenziale alla giornata, un approccio necessario, di sostentamento.

Ideologia, dogma e qualunquismo. Continue reading Manifesto: gastronomiche strade, gastronomici sbagli e gastronomiche manie

La profonda disparità dell’alpeggio…

alpeggio

Ecco il nostro sogno del pascolo vagante. Un’immagine dai contorni poco delineati, fumosi, assolutamente pre-giudicati. Perché l’alpeggio è un versante talmente candido che a volte non si chiede più contezza della bontà. Il formaggio è definito dal luogo in cui viene prodotto e i palati iniziano a sentire sinfonie estive di erbe e fiori. Lì c’è una storia che andrebbe letta per paragrafi prosaici o per antitetici menestrelli.

Si parte 3500 anni prima di Cristo… Continue reading La profonda disparità dell’alpeggio…

Slow Food e Salone del Gusto 2014

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Torino, c’era una volta oppure c’era una volta Torino. Una terra di conquista, un luogo dove l’imprenditoria contemporanea del minimalismo gastronomico ha fondato il proprio impero di saperi congestionati da anni di subordinazione. Finalmente il piemontese ha potuto rialzare il bavero, mettendosi sulla mappa di una rivoluzione morale, estetica e cultuale, trasfondendo quell’immagine dell’artigianato, sempre legata nel tempo alla sua riproducibilità tecnica, all’interno di un principio idolatrico, distante tanto dal bisogno quanto dal nutrimento, e portandola vieppiù verso un’autenticità ed un’origine molto al di là degli spaghetti, del prodotto tipico, della pizza e del mangiar bene. C’è stata una “cortocircuitazione” tra arte /riproducibilità e artigianato/originalità. Benjamin è stato preso dalla teoretica piemontese e di nuovo rimesso in circolo. Così, gli anni ’90 sono stati quel tempo in cui il “mondo” ha cominciato ad accorgersi della biodiversità, dei prodotti diversi, dei produttori eroici e delle resistenze all’omologazione. Continue reading Slow Food e Salone del Gusto 2014

Artigianato e professionismo (o L’elogio dell’errore)

professionismo

Il paradosso della téchne ha vinto. David Foster Wallace e Philip Dick avevano preconizzato quasi tutto. Se un esito destinale doveva essere, al di là dell’esistenzialismo e del nostro passaggio sulla Terra, è stato. Se gli oggetti, e qui Heidegger ci ha portato fuori e nessuno ci potrà più far rientrare, esistono, esistono come uso prima che come valore. L’utilizzabilità ha creato il bisogno, allontanando il “fine per il fine” e dando al “mezzo per il fine” l’ultima spendibilità di maniera. L’orizzonte è stato oscurato da una massa di formatori di portata eccezionale. E così l’era del benessere si è trasformata nell’era delle continue domande e delle continue risposte, nell’inadeguatezza al sapere totalizzante e nel sofismo come prima forma d’essere. Così, la poesia della natura si è riadattata nella certificazione biologica, nel preparato 500 dinamizzato, nella difesa degli alberi, nell’indignazione per gli orsi uccisi, nel veganismo dilagante, nella lotta alle emissioni di anidride carbonica e a quello che fu l’allargamento del buco dell’ozono, nel benessere animale impossibile, nella vecchiaia come unica forma di morte giusta e nel rispetto verso colui che il rispetto non lo può mai contraccambiare visto che ne è privo: un’elemosina figlia dei tempi e del fatto di dover trovare per forza una fede alternativa al Cristianesimo. L’anima della bestia è hobbesiana non gandhiana. E cazzo, l’animale non è perfettibile, non è migliorato, non ha letto Marcuse e non ha deciso di trasferirsi in città dalla Marsica, lamentandosi poi dell’inquinamento. Non ha mai “imparato” una tecnica per produrre qualcosa. Continue reading Artigianato e professionismo (o L’elogio dell’errore)