La Borgogna del Sud e le Charolaise al pascolo

charolaise

Saona e Loira. Macon, capoluogo senza isterismo dove la tipicità francese si spoglia di raffinatezza per addossarsi le colpe di un meridione sapido e fascinoso, è una città che nel fiume lava tutta il suo multi-culturalismo. Viali larghi e poche persone, le pasticcerie sono l’ultima traccia di un rapimento tenue che in mezzo al verde non ha dilapidato le proprie ricchezze.Il cioccolato di Bernard Dufoux è di una bellezza quotidiana, da paese di ogni giorno, in modo che ogni angolo abbia la sua bottega, gusti pedissequi e la solita necessità di contrasto, la pasticceria di Joel Noyerie è fucsia, caotica e piena. Le monoporzioni sono raffinate e accatastate. Dacquoise perfette e l’Ideal Maconnais (dolce rappresentativo) ricco di una crema un filo troppo cotta. La città è l’ultima delle circostanze per trovare ancora legami e punti fissi, per riportare alla luce quella Borgogna fatta di filari millenari, di leggende assurde, di prezzi fuori dal mondo e di un’estetica assolutamente pulita e riguardosa. Qui, nella Borgogna del Sud, i vigneti sono meno catturati, i luoghi di confine che vanno verso il vino novello poco interessanti, i castelli chiusi, le rocche estreme unzioni turistiche e le stradine l’anima di una collina che lentamente inizia a farsi bosco e letame. I paesi hanno mantenuto intatti i colori della terra. Il rosa diventa marrone e le sfumature non sforzano mai, nemmeno nelle persiane o dentro i vasi. Appaiono meno e ovunque. Le cantine rimangono quasi stilizzate. Non c’è più una volontà se non quella della pioggia. Continue reading La Borgogna del Sud e le Charolaise al pascolo

Inverno Siciliano

sicilia

La neve non si vedeva da anni, da decenni addirittura, e la neve, si sa, rende le tradizioni più semplici: da credere, da tramandare e da ringraziare. La Sicilia, per questo, è sempre stata più evasione che credenza, con quella necessità mite di dover perseguire dei riti e dei miti. In inverno il cibo ha sempre cambiato forma e colore, ma la gente ha sempre continuato a fare la fila fuori dalle gelaterie.

Almeno fino alla neve…. Continue reading Inverno Siciliano

Val Pusteria, Valle Aurina e Lago di Braies in 2 giorni

aurina2

PRIMO GIORNO

Campo Tures: uova straordinarie e resort per galline: Mairhof di Reinhard Innerhofer

Selva dei Molini: la famiglia Steiner (Eggemoa) produce formaggi di vacca con un sapore definito al di là delle tipicità…

Selva dei Molini: il Graukase (formaggio grigio a coagulazione acida) di Agnes Laner

San Giovanni in Valle Aurina: Helmut Großgasteiger e i suoi caprini Continue reading Val Pusteria, Valle Aurina e Lago di Braies in 2 giorni

Bassa Padovana, Padova e Colli Euganei

euganei

La Bassa Padovana è un territorio dalla storia poco agiata. Una trentina di comuni, centomila abitanti e una superficie di cinquecento kilometri quadrati. Il territorio, come buona parte della pianura Padana, è stato bonificato totalmente nei primi decenni del Novecento. L’economia ha sempre guardato all’agricoltura come una fonte di salvezza prima che di reddito. Latifondisti pochi, contadini molti. Il paesaggio composito passa attraverso le sue aree naturalistiche verdeggianti, i campi di granoturco, gli alberi di giuggiole, le eleganti ville, tra cui Villa Pisani Scalabrin a Vescovana e Villa Miari de Cumani a Sant’Elena, ma soprattutto quell’unica meraviglia architettonica, Este, con i suoi angoli pittoreschi e i suoi squarci più caratteristici. A Vighizzolo, pochi kilometri a sud-ovest, in mezzo a rogge e campagne, Molino Quaglia ha la sua sede, avanguardista e contemporanea, dove riunisce grandi panificatori e grandi pizzaioli in perenne dissidio con l’assuefazione al demone del profitto. Continue reading Bassa Padovana, Padova e Colli Euganei

Turchia – Parte Seconda

cesme

La Turchia è una deformazione di rocce e terra. È l’incredibile travertino di Pamukkale ma è anche il suo sviluppo edilizio delinquenziale, da piscine rubate alle stanze pur di affascinare. Aprire un hotel è affare di tutti i giorni. Il rapporto qualità/prezzo è straordinario. Le città iniziano a puzzare a kilometri di distanza e i bus notturni non lasciano scampo né al sonno né alla morigeratezza. Sveglie nel cuore della notte in questi autogrill formato gigante, con l’altoparlante a scandire i passi delle pisciate in una Las Vegas notturna, che vendono tutto e in qualsiasi colore. Gli Otogar sono avanguardistiche stazioni monolitiche. Come cadute dal cielo, rispetto alla decadenza circostante, tolgono familiarità dando sicurezza e quel po’ di aggressività da venditore di biglietti, accecato dalla folle concorrenza, che porta fuori la modernità. Continue reading Turchia – Parte Seconda

Turchia – Parte Prima

kapadokya

La Turchia non è Istanbul e non mi ricorda nemmeno istintivamente Istanbul. È un viaggio all’interno di luoghi e culture estremamente differenti. L’islamismo, il cattolicesimo, il bizantinismo e la memoria. Un paese controllato dalla propaganda e dalla voglia di modernità. La ricchezza non è mai bilanciata dalla povertà. I luoghi di culto e di storia tracimano sudore e miseria, il resto è un passaggio con il pullman notturno, un tramonto stupefacente sui camini delle fate o le località sul Mar Egeo/Mediterraneo, dove la sindrome di arretratezza ha portato del futurismo praticato. Il livello medio della percezione di benessere è un mondo inesplorato. La gastronomia ci passa dentro, senza reti di sicurezza. Così può capitare di trovarsi in mezzo a quaranta kilometri ininterrotti di piantagioni di fragole, accorgersene e far accorgere i vicini di casa di sempre, quelli che ormai non hanno l’occhio che per l’Occidente, perché il resto è regresso e inettitudine. Le culture sono un prodotto tipico e una zona di appartenenza. Il tè di Rize, le fragole e l’uva della Cappadocia, le nocciole del Mar Nero, le albicocche di Malatya, il Dondurma di Kahramanmaras, i pistacchi e il baklava di Gaziantep, le mandorle di Datca, lo zafferano di Safranbolu, i formaggi di Kars o di Konya, il pastirma di Kayseri, i fichi di Izmir e i meloni di ovunque. Esistono molte zone di provenienza e pochissimi volti. Una terra di prodotti tipici dalle potenzialità infinite e dalle bellezze senza riguardo e senza conoscenza. Nessun limite e nessuna possibilità. LaTurchia, se esplorata senza essere esplorati dai continui controlli, dalle continue telecamere e dal continuo prendere nota, sarebbe la terra di conquista perfetta della definizione di futuro e di artigiano. Continue reading Turchia – Parte Prima

Istanbul: tra profumi, sviluppo edilizio, spezie, commercianti e disperazione

istanbul

Istanbul è una metropoli a cui ormai è sfuggito totalmente di mano il senso di città. Ha una costruzione caotica, una bellezza disarmante, dei volti scolpiti per sempre in altri volti, dei tassisti che vivono nell’improvvisazione del momento, uno sviluppo culturale che va di pari passo con quello edilizio, delle salite che sono dei passaggi senza tempo verso la povertà e verso la tenerezza, dei canali inquinati, delle viste millenarie, dei venditori di panini con il pesce, dei pisciatori di strada, dei bambini abbarbicati al padre con una sofferenza disumana negli occhi, con quell’empatia senza grado che non è possibile perché non è più civiltà, dei muezzin salmodianti, dei minareti nascosti tra i vicoli dei bazar, dei venditori e dei compratori di qualunque cosa, dei business senza alcun senso, dalle pannocchie ai fazzoletti fino all’acqua scongelata, delle moschee al tramonto, delle ceramiche di Iznik che della mediterraneità han fatto un vessillo, dei sultani visionari e dei sultani sanguinari, pugnali rubati dai film di Dassin e smeraldi più grossi di uno specchio, delle maniere poco cerimoniose, dei massaggiatori da hammam – esperienza strettamente culturale, senza manicheismo, senza codardia ma soprattutto senza estetismo da resort con le palme -, delle forme innaturali di kebab, sempre più grossi e sempre più turistici, degli afrori delle spezie, del tempo da dare al tempo del caffè senza giochi di fondo, la laicità del lahmacun all’aglio, dei borseggiatori, delle file davanti ai musei, la puzza di piedi estenuante dei tappeti della Moschea Blu, la solidarietà religiosa, il regime, la propaganda universitaria, l’occhio vigile del Grande Fratello sempre acceso, dei pescatori improvvisati sul ponte di Galata, dei rimandi innocenti alle mode mitteleuropee, delle stiliste all’avanguardia, l’hipsterismo di Beyoglu, le pasticcerie di Kadikoy e le riproposizioni della baklava in tutte le varianti che l’umano palato può divergere e comprendere, l’assenza di un volto da associare ad un artigiano, il prodotto tipico sopra qualunque perplessità, la bandiera turca sventolante ovunque, il volto di Ataturk che diventa, senza soluzione di continuità, quello di Erdogan, delle spremute d’arancia in mezzo alla strada, la settorialità delle zone del commercio della città, dei lavatoi per i piedi, una comunità che ruota attorno al rituale del kebab, le pennichelle sull’erba in qualunque posizione, in qualunque ora del giorno e in qualunque luogo della città, delle orde di banchetti tramontanti il ramadan, un senso della pasta lievitata, della territorialità e della stagionalità delle verdure, dei meze (i loro antipasti) scenograficamente portati a tavola per la scelta, dei luoghi gourmet, dei buttadentro, una quanto mai lasca voglia di trattare il prezzo, la loro perdita di ritualità e del decadere dei costumi, delle facce preganti, delle facce sudate, delle scarpe rotte e dei macchinoni da puttana infedele, delle sigarette sempre accese, l’incapacità occidentale di rapportarsi ai loro autobus, la mal riposta speranza di trovare salumi e formaggi, in una terra dove la cultura del trasformatore è ad un passo da quella circostanza, riassumibile sotto il volto dell’autarchia, che tutto si porterà via, dei pistacchi sempre e solo salati, il cardamomo bianco con quel balsamico che mette il pino dentro ad un limone, la delicatezza del pepe rosso, la loro miscellanea di spezie per ogni piatto e per ogni contesto, lo zafferano iraniano ritenuto unanimemente superiore a quello locale, il tè nero di Rize e il tè che ri-forma i fiori… Continue reading Istanbul: tra profumi, sviluppo edilizio, spezie, commercianti e disperazione

Langhe in 2 giorni

langhe

Scusate il pressappochismo, è che le Langhe hanno una quantità di produttori fuori da ogni logica, molti sofisticatori e molti artigiani seri…
PRIMO GIORNO

La Morra: farine e grani del Mugnaio per antonomasia Renzo Sobrino

Alba: gli straordinari tajarin di Mauro Musso (grani antichi e ricerca ossessiva)

Lequio Berrria: nocciole di Langa di Josè Noè (Papa dei Boschi)

Borgomale: formaggi e pecore delle Langhe di Silvio Pistone, uno dei più bravi di tutti… Continue reading Langhe in 2 giorni