Lograto. Un territorio di granoturco e condomini da riposo notturno, dove il fulgore di una scelta è stato soggiogato dalla quotidianità dei bambini e della natura, dove le costruzioni sono il peggiore degli orpelli e dove la crescita sana, fuori da vicoli pericolosi e lontano dalle inquietudini formative, diventa la sublimazione della borghesia. In queste pianure dal pezzo storico onnicomprensivo, la bassa bresciana esprime perfettamente la sua voglia di lavoro, di esserci, di considerare il mondo soltanto attraverso la lente della produttività, della fugacità del weekend e della giovinetta da non trasformare in una gigolette da bordello adiacente. Sguardo fiero e parlata sicura, il bresciano nebbioso ha imparato alla perfezione a dimostrare, a definire e a confinare, ora ha bisogno di qualcuno che gli riconduca il tempo per imparare ad attendere e a godere di quell’attesa. Enrico Pisoni ha portato in provincia un’idea rivoluzionaria dopo trent’anni di lavoro nella gran parte dei laboratori padani. Dulciarius è la realizzazione di un progetto bello, studiato e sostenibile. Continue reading Dulciarius: un lievitista che ha capito quasi tutto… Enrico Pisoni
Mese: luglio 2016
Una Fontina rimasta nell’ombra… Elio Quendoz
Jovencan. Un luogo senza risalto, in quella bellezza di fondo valle che fonde stili e passaggi e rimane sempre strenuamente legata all’agricoltura, nume tutelare di un posto che non lascia nulla al senso dell’appartenenza. C’è il paese più dedito alle mele, quello più portato alla viticoltura, la frazione abbarbicata dove si allevano bovini valdostani, ma il comun denominatore rimane sempre la coerente difesa di un territorio da portare avanti compatto, da mostrare al mondo come una forma di equilibrio perfetto, per poi abbandonarsi nei mesi morti a faide burocratiche e interne, dove le giurisdizioni e le legislazioni diventano sempre una messa in discussione e quel lato oscuro in cui il vicino di casa ha avuto di più pur producendo di meno. La corsa al numero è tenuta nascosta ma è il fanatismo di terre estetiche ed estatiche dove tutto sembra andare meglio di un orologio svizzero. Continue reading Una Fontina rimasta nell’ombra… Elio Quendoz
Apparizioni: formaggio di pecora in Valle d’Aosta… Daniele Morzenti
Aymavilles. Tra la terra e il cielo, i castelli s’innalzano, i vigneti degradano e i meleti avvolgono quel bordo di Valle che è ovunque, sempre e comunque. Qui si è sempre vissuto in mezzo e attraverso la terra, gli sguardi facoltosi e quelli proletari si sono sempre incrociati, seduti insieme e rimasti nel lato della coscienza. Questa è una terra di storie e di persone che senza abbandono vivono in una foschia profonda, in un sentore comune che è tutto e per tutti. Qui la comunità si è sempre consorziata e si è sempre nascosta. Pochi nomi e tante bestie. Si guardano le montagne e si vedono i malgari e i ricchi dall’alpeggio facile. La Fontina è una forma comune che, pur non accontentando nessuno, ha plasmato una regione a sua immagine e somiglianza. E così il dissidente rimane al gelo, nell’incoerenza di essere diverso, di restare imprigionato all’acqua, alla corteccia e ai fieni. E scegliere di lasciare da parte le vacche per provare la strada del latte di pecora, a queste latitudini, ha significati impronunciabili, quasi beffardi. Continue reading Apparizioni: formaggio di pecora in Valle d’Aosta… Daniele Morzenti
Spiriti selvaggi in mezzo alle montagne… Silvia Vuillermin
Champoluc. Fuori stagione, fuori da quei tornanti che portano metropolitani e riportano pelli arse al sole, neve sporca e imprese da raccontare in ufficio. L’alta val d’Ayas in tutta la sua tranquillità e indifferenza, in quella forma di codardia deposta che succede sempre ad un’ondata turistica o precede un’estate di passeggiate. Bastano gli occhi, lo sguardo alzato verso le nuvole che coprono il Monte Rosa per rendersi conto di stare bene, di dare respiro a quelle noncuranze che ci siamo portati dietro fino a lì, fino ai venticinque kilometri di salita, fino all’imborghesito bolso che porta a casa tre kili di Fontina con il sorriso lercio di chi l’ha provato a far rilucere a forza di ringiovanimenti. La val d’Ayas però è altro, va oltre gli impianti, rimane in quell’apertura che, dallo scuro umido dell’autostrada verso Courmayeur, si apre in un verde erba misto tra il trifoglio e il muschio dei fiumi che scorrono impetuosi, nascondendosi dietro un’opacità di roccia. Il pungente ti stringe la pelle dentro la camicia, ti si pianta in faccia come ad un bambino in una giornata di sole, è una panacea per qualunque ammissione di pensiero. Continue reading Spiriti selvaggi in mezzo alle montagne… Silvia Vuillermin
Alle Radici di quel che resta… Famiglia Ruiu/Gaddi
Alpe Blessagno, sopra San Fedele d’Intelvi. Dieci kilometri dalla mondanità, da quel Lario che non è altro che approdi, curve, silenzi e misteri. Le prime curve si snodano, poi comincia il bosco senza pascolo, qui le bestie hanno preso la compulsione dei loro padroni. Stalle piene e verde scuro, così le valli lombarde continuano ad adombrare se stesse, tenendo lontano quel turismo da foto ricordo e indelebile ricerca della bellezza. Qui si chiude tutto, i bar non sono azzimati, gli alberghi sono scaduti insieme ad un viandante preso da posti più preziosi. Le colonie non bastano più, i divertimenti sopra i duemila metri non sono di queste valli e così le malghe romite alla ricerca della pace. La vista che resta è verso montagne di altre regioni e di altre nazioni, in quel fluire di confine che ha trasformato le tradizioni in rughe senza un desiderio, senza una brama di modernità e di visi sbarbati. Sui manifesti campeggiano ancora divisioni post-belliche tra fascisti e comunisti, qui si parla alla gente seguendo i problemi reali, scendendo in piazza perché tanto ci si conosce tutti. E così per trovare ancora un po’ di realismo bisogna percorrere un kilometro di strada dissestata, meglio se accompagnati, per giungere in una radura riconciliante, di fatica prima che di poesia. Continue reading Alle Radici di quel che resta… Famiglia Ruiu/Gaddi
Le Golose Imperfezioni di una storia riscritta… Alessandra Abordi
Como. La raffinatezza di un tetto mogano e di una facciata pastello, l’incombenza di una necessità di accoglienza ormai poco condivisa e assolutamente prepotente in quel modo di aderire ad un progetto che non è mai stato esplicitato ed è naturalmente chiaro a tutti e a tutto. Una missione che è già costrizione a non rimanere, a rendere la città un passaggio e un passato, ad adombrarsi con le stagioni, chiudendosi in un misterioso borghesismo sinistro e imprenditoriale. Una ricchezza diffusa ha sempre mostrato Como come una puzza sotto il naso senza altri retaggi, schiava di una rappresentazione di sé attraverso la distanza e la supponenza. E qui in mezzo non ci sono altri modi se non il confine e il confino, quello dove si sono ritirati gli artigiani e gli artisti pedissequi. Lacustre sempre un po’ impenetrabile, sguardi di circostanza e mani che al massimo si stringono, questi vicoli, che tengono dietro la domanda per arrivare da qualche parte, ogni tanto, fanno breccia all’interno di un mondo che ha bisogno di un approccio. Alessandra Abrodi, insieme ai suoi soci, Marco e Francesco, ha deciso di ridefinire l’artigianato per sottrazione. Continue reading Le Golose Imperfezioni di una storia riscritta… Alessandra Abordi
Il critico gastronomico è mai esistito?
“Divertirsi significa essere d’accordo. Divertirsi significa ogni volta: non doverci pensare, dimenticare il dolore (la fatica ndr) anche là dove viene esposto e messo in mostra”
Anonimato, anonimato, anonimato. Chi ha voglia di anonimato? In pochi ormai. Il riconoscimento del sapere nascosto, dell’azione sottesa, dei François-Joseph Le Clerc du Tremblay di questo mondo e di un mondo che non c’è più, non sono più imparzialmente interessanti, mancano ormai di quel meccanismo per cui la vanità è una qualcosa per illuminati, per notti senza sonno e per dialoghi intimi prima del bicchiere. E così bisogna andare a riempire la saccoccia, dando credibilità attraverso il proprio nome a delle mezze vie che rischierebbero di finire in periferia. E invece c’è lui, il (fu mai) critico, la persona che può tirarti fuori dalle secche della popolarità dandoti un bordo gastronomico. Si fanno eventi, si crea aspettativa, si chiama a rapporto i blogger, si fa scrivere, si invitano gli chef, si prende l’assegno e si continua a cortocircuitare un mondo dove non bastano più gli editori (ormai diventati larve pedisseque di mangiatori instabili) ma servono altre entrate. I piccoli artigiani arrivano a mala pena a fine mese, sono vittime inconsapevoli di giornalistucoli redazionali dalla questua sempre pronta, e così si va in quel mondo che non è ancora industria e che mai è stato artigianato, dove i fatturati frullano bene oltre i cinque milioni annui (che non vuol dire molto ma non importa…). È la vittoria del pubblicitario (che se ammettesse la propria funzione nessuno avrebbe da dargli indietro se non una mano sudata di complimenti) e la morte del critico. Che qui diventa Mercenario. Continue reading Il critico gastronomico è mai esistito?