Un panificatore che ha eliminato il superfluo… Damiano Fumagalli

fumagalli

Caslino d’Erba. Finalmente. La Brianza diventa una definizione priva di senso e il lago di Como non patina ancora quella verità che pende dalla roccia. Qui si allevavano capre e si producevano i caprini di Caslino, ora si allevano le capre e qualche famiglia si produce il formaggio per sé e per i propri amici, in quel retaggio carbonaro da parola d’ordine e scambio del latticino dietro l’angolo tra il lattaio e il fabbro. Cascate in città, acqua limpidissima, un gruppo di anziani squadranti che non diminuiscono la soglia d’attenzione verso il forestiero almeno dal 1957, sensi unici e molta pietra. Caslino è un piccolo gioiello medievale prestato al secolo lungo senza dissensi e senza dissidi, perché qui le persone non hanno ancora scoperto la brevità del tempo. Così, quando Damiano Fumagalli, ormai qualche anno addietro, si è messo a cercare un forno a legna per produrre il proprio pane, ha visto in Caslino il posto giusto dove “crederci” senza sforzi.

Abbandonato il lavoro di “informatico degli albori rivoluzionari” da garage e occhiali nerd, e imparato il mestiere, o quello che può essere un approccio gandhiano al mestiere, da Frank Metzger (panificatore semi-autarchico di Capiago Intimiano), ha deciso di aprire il suo forno a legna e di lavorare in solitudine, convertendosi da subito al biologico e cercando di portare il suo approccio a metà strada tra il solipsismo e il professionismo.

Una finestra, un’impastatrice, un ferma-lieviti, un magazzino e un forno a legna. Niente altro. Il tutto scavato mirabilmente all’interno di un pie’ di monte senza nessun tipo di garanzia per il futuro. Damiano ha deciso per tre/quattro infornate giornaliere, cinque giorni a settimana (con la variabile del sabato), poco più di un quintale di pane al giorno e qualche panettone sotto Natale. La scelta è stata quella di avere un lavoro e di avere una famiglia. L’aut-aut è stata una decisione senza crisi. Così ha cominciato con le farine di Renzo Sobrino, unendo qualcosa del Mulino Rosso e qualche farina-anticonvenzionale, tipo una segale dolcissima, di qualche azienda che del biologico ha fatto un vessillo, rimanendo un po’ al palo sui nomi, le abbreviazioni e gli acronimi di luoghi più che di volti.

Il lavoro sulla legna passa anche attraverso l’accetta, i boscaioli lariani portano giù di tutto. Lui divide, pulisce, inforna, ripulisce, niente fascine e molto fascino. Un luogo dove lavorare e infornare le quantità giuste senza strappare e senza fare infornate consecutive che possono portare a pani bruciati o poco cotti. Le temperature con la legna mancano di stabilità, si bruciano e si volatilizzano. Così, il pane di Damiano è passato attraverso un superamento del biscotto casalingo (o siciliano o di tutti quei posti dove il forno a legna viene elevato a fine e non a mezzo…) e si è attestato su un ottimo livello che del domestico ha mantenuto i profumi e che del mestiere ha preso il bilanciamento. Bassa idratazione, mollica un po’ chiusa, crosta definita e fragranze notevoli. Il pane ha un senso etico e ha un senso economico. La solitudine è una decrescita consapevole di un mestiere non diventato una professione abitudinaria. Il suo orizzonte sono i negozi biologici di gente seria e di ecotipi isolani da necro-festival dell’ecologia, i mercatini e quelle fiere che hanno ancora un senso a livello territoriale. La vendita al paesano è limitata e limitante, la vendita diretta ruba tempo e garanzie, quello che resta è preparare un prodotto che sia serbevole e che non vada al di là di una spiegazione temporale. Il resto lo devono fare i sensi, anche in quei negozi dove l’odore di cartone incensato ruba tutta la poesia.

Damiano è una persona tenue, senza stravaganze, con una deontologia chiara ma senza dogmatismo. Rispetta la chiacchiera ma rispetta molto di più il suo lavoro, i tempi e la ricerca. Così, la stessa comunicazione è un filo di passa parola e una speranza d’incontro. È tutto gusto, manualità, messa in forma, rispetto dei tempi, calore, neve che scende e rumore dell’acqua. Qui a Caslino non c’è da sperare, è veramente tutto lì, anti-programmatico, da prendere in prestito, utilizzare e richiudere. Peccato che la cultura dell’artigiano debba sempre passare dalla tasca del professore. Così il galoppino locale continuerà a mangiare pane all’alcol etilico per quell’assenza di libertà che l’ermetismo porta sempre con sé. Fantastica la nicchia ma che meraviglia sarebbe se la shampista ti consigliasse la tumminia di Filippo Drago???

 

LA FORNERIA DI DAMIANO

VIA GARIBALDI 10

CASLINO D’ERBA (CO)

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