Usmate Velate. Un paese che rappresenta perfettamente il termine della tangenziale est. Dove le corsie da due diventano una, dove s’iniziano ad intravedere le boscaglie dei ricchi imprenditori che si nascondono alle masse, dove la strada che taglia impregna tutto di locali, negozi, centri commerciali e realtà cittadina, e dove, soprattutto, non ci sono più lati della fantasia che vadano oltre le coltivazioni a bordo carreggiata e la fissità sui temi della sicurezza e della propaganda. Usmate è un paese molto più che di passaggio, ha quell’irrazionalità da campagna senza lodi di cui ne ha fatto quasi un effigie. Però qui si potrebbe fare di più, si potrebbe dare una possibilità ulteriore alla fuga, perché in questa Brianza di reticoli si rimane inevitabilmente legati ma non deve mancare il tempo per pensare a come scansare le brutture. E così, in mezzo alla crisi che chiude e non paga gli stipendi, Simona e Giovanni Samuelli hanno deciso di creare una nuova opportunità di bellezza. Così… per conoscenza…
Chimico lui e chimica lei, il gelato non è mai stato nella storia familiare ma è stato visto come un luogo dove mettere in pratica la scientificità dell’apprendere. Ma con modestia, senza strilli, senza appagamenti e, soprattutto, senza necessità di pontificare. Giovanni è entrato bene nella dialettica tra studioso e artigiano, nella possibilità di avere una perfezione, quasi manieristica, di strutture, procedimenti, macchinari, ricette e bilanciamenti, e “nell’improgettualità” artigianale/comunicativa che mette in bocca sempre un gelato diverso. Perché la materia prima si può scegliere, si può tendere ma non si può mai verificare. Rimane in quel desiderio d’eccellenza che se ne frega dell’anima delle molecole odorose. Quindi, la sintesi non è magnificata ma la natura rimane sempre con quel suo apporto in più di imperfezioni e aromi che in nessun laboratorio si può mai replicare.
Così Giovanni e Simona sono arrivati a quella semplicità di gelato che non può prescindere da un’ingredientistica condivisa con i clienti. Un neutro tra i 3 e i 5 grammi, solo guar e carrube, inulina, zuccheri riducenti e non, ingredienti miscelati a caldo in una piccola impastatrice (soprattutto per le frutte secche), in modo che le paste non vadano direttamente nel pastorizzatore, ma si omogenizzino tenendo insieme la materia. Il resto è frutto di fatica, lavori manuali ma soprattutto scelte. Quelle che hanno completato con lo sguardo verso il territorio prossimo, trovando lo zafferano (Mastri Speziali), la birra (Hibu), il panettone (Longoni), il fuori-dal-mondo-di-mezzo cioccolato di Marco Colzani, quelle che sono state vittima di fiducia con una buona tenuta (paste secche su tutti) e quelle che comportano un lavoro sul gusto e di gusto, dove la semplicità di abbinamenti tradizionali lascia spazio a visioni nutraceutiche (dove nutrizione e farmaceutica vadano di pari passo), un filo fuori palato, a semifreddi nitidi sul solco di Mastra Panciera, a qualche gusto gastronomico ma soprattutto ad una struttura fantastica, veramente nuova, pulita, senza tensioni o strappi, alveolata, tenuta a 12 gradi sotto zero ma assolutamente serbevole. Zucca e amaretto, con una punta di alcol per togliere il vegetale, è perfettamente autunnale, senza ingerenze, la frutta secca è buona ma con un’origine da rimettere in piedi, lo zafferano è straordinario così come il sorbetto con la massa di Perù C-Amaro, leggero, evanescente e intangibile in bocca, profondamente aromatico nel tempo, l’uovo è lavorato bene, lo yogurt (prodotto a partire dai fermenti) ha una tessitura molto diversa, è vivo, continua a fermentare, lavora sugli zuccheri e cambia le percezioni nel tempo, dal dolce all’acido nel giro di un’inflessione.
Così la critica è un’autonomia assurta per una mancanza di comunicazione, quella che non viene portata fuori e quella che manca dell’avvenenza. La mancanza di concorrenza, l’essere fuori dal giro gastronomico giusto delle stesse facce e delle stesse pelate col chiodo, e lo sguardo proditorio del gatto e della volpe che secondo la clava del principio d’autorità dirimono quali sofisticatori possano partecipare ai mercati terrosi e quali no – perché partecipare alle campagne amiche, con i fustagni del mattino in mezzo a galline ruspanti, aziende agricole che vendono autarchia e accenti spenti di gente poco senziente, è talmente svilente, da non potere evitare di mettersi in coda nella speranza che l’illuminato gastronomico possa versare il proprio obolo di coscienza gustativa -, devono essere una tappa e non un approdo. La supplica assente è quella di una terra operosa ma senza figli. Così, Giovanni e Simona rimangono fuori, dietro l’angolo dei gelatieri che si danno il colpetto col gomito diventando vieppiù catene e gelati standardizzati. Qui si produce un gelato superiore, annoverabile, già ora (al netto della corto-circuitazione di qualche materia prima), nel gotha di quest’arte sottovalutata e sopravvalutata. È che molte volte lo stare al proprio posto, il lavorare tutti i giorni, il non presenziare, il rimanere sempre dietro il banco per raccogliere critiche e complimenti, il non fare gruppo, il non vendere fiere e il non comprare indulgenze, sono una presenza fuori moda, quasi di attrito per una voglia di studiare che supera la reale necessità. E così, nell’assenza di ubiquità mi affido alla speranza che qualcuno alzi il culo e vada a vedere. Siamo o no la culla dell’oculocentrismo???
GELATERIA MONDO DI MEZZO
VIA ROMA 50
USMATE VELATE (MB)