Arnad. Paese di lardo e paese di inverni, freddi, gelidi quasi sepolti. Qui si coltivano le noci, le annate che vanno bene, e si nascondono i maiali, tutti gli altri anni. I lardifici hanno preso gli sguardi attraverso l’autostrada, i vigneti sonnecchiano tra rupi e forti e la montagna è un pensiero coperto d’ombra per buona parte della giornata. Qui si fa Fontina, si mangia Fontina e si vende Fontina. Le bovine valdostane si cibano di fieno valdostano e fanno formaggio valdostano. Qui consorziare è significato tirarsi fuori dall’autarchia, quella che ti faceva allevare tutto e ti faceva vendere un manzo da carne con cui coprirsi di surplus. Tetti in ardesia e case in pietra, la vecchiaia è l’unico motivo di ammirazione, qui sono riusciti a tenersi stretti i tavolini da briscola in quattro e il fascino della notte calata al di sopra di ubbie e patois. Qui, una ragazza poco più che ventenne, sta provando ad attualizzare una rivoluzione mai fatta.
La famiglia Challancin alleva vacche da latte da una vita. La fruizione è sempre stata quella del conferimento, la crescita della cooperativa e una Fontina consorziata che portasse vantaggi a tutti. Il Caseificio Evancon è il regno in cui Carlo, il papà di Rita, ha portato il suo sapere e la sua storia. Graziella, la madre, viene dalla Val d’Ayas e dagli alpeggi. I Challancin vivevano la malga fino a una decina di anni fa, poi la decisione di restare a fondo valle e di sfruttare pascoli redditizi e meno impegnativi. Hanno continuato sulla strada della sostenibilità, facendosi allevare i maiali per preparare il lardo di Arnad alla loro maniera, erbaceo e reale, coltivando granoturco e qualche albero da frutta, si son sempre auto-prodotti tutto il fieno e han lasciato che Rita portasse qualcosa di assolutamente rivoluzionario: l’allevamento di capre perlopiù Saanen.
Il patois riporta al Francese, guarda verso le valli provenzali e verso il Monte Bianco, i legami sono più fascinosi che reali, i formaggi rimangono sul crinale. E così Rita, Graziella e Carlo hanno deciso di lasciar perdere croste fiorite, mantecature e cagliate lattiche proteolizzate, e di lasciar da parte il penicillium e i fermenti, abbandonando anche tutte quelle particolarità non direttamente connesse ad una tradizione. Caciotte, cagliate presamiche, una ricotta scolata almeno 24 ore, una cagliata acida fresca e nient’altro. Nessun innesto ma soprattutto nessun fermento, la stabilità del formaggio la decide la natura e non l’uomo. Una cella con assi di legno e poco altro. Una ricotta piena, particolarmente pulita, da capre munte ancora a mano (rarità), la presamica è elastica, stagiona bene, il gusto è lattico, uno di quei formaggi che ha bisogno di essere mangiato più volte per averne indietro percezioni. Nitori e retrogusti raffinati.
E così Rita si porta a spasso la sua età senza soverchiare la raccomandazione, rimanendo integerrima e legata ad una tradizione da cui non si vuol discostare. Vuole fare un formaggio che abbia ancora del pascolo, del fieno e del fermento totalmente prodotti in azienda. Il latte è una cosa seria e con settanta capre non si cambia la struttura economica di un’autarchia. Perché gli ovini, nella visione del mondo di Carlo, possono e devono essere un surplus. Non possono bastare ad un sostentamento, non siamo in Francia e in queste valli i punti di vista sulle cose non sono una discussione sul merito. Qui si fanno pochi e semplici formaggi, mantenendo intatto quella trasparenza categorica che il freddo ha contribuito a rendere indissolubile. Qui si perseguono abitudini fatte bene in mezzo ad una rivoluzione silenziosa, che non ha limiti ma ha dei confini oltremodo chiari. Rita Challancin si muove attutita in un recinto…
AZIENDA AGRICOLA CHALLANCIN
LOCALITA’ CHEZ FORNELLE 16
ARNAD (AO)