Zogno. Una Val Brembana idroelettrica e fascinosa si è trasformata, per colpa di qualche rotonda raccomandata dai raccomandati, in una coda senza fine di persone e macchine che si destreggiano tra i benzinai e le piste da sci, prese dal qualunquismo di non rendersi conto che continuare a costruire aumenta il pregio, togliendo il lusso di avere un posto ancora selvatico, dove le foreste ghiacciate rimangono orlate di stalattiti e immersioni in film natalizi e dove gli orridi che cadono sopra i fiumi, di massi e acqua, rimangono di una lucentezza folgorante. Luoghi compromessi dove l’archeologia industriale dallo stile imprevedibile ma inconfondibile regnava sovrana e che ha dovuto cedere lo scettro del tempo alle case basse, alla poca neve e all’uniformità dei climi e degli sguardi. Un paese di passaggio non può e non deve mai rimanere solo un paese di passaggio. Deve cingersi e imbellettarsi, magari attraverso gli artigiani. Perché provarci in solitudine è come continuare a dare la precedenza alle rotonde. Cesare Ruffoni sarebbe stato un’opportunità ma è rimasto per troppo pochi.
Le origini sono ad Ornica, in altissima valle, dove sono restati i fratelli a gestire una panetteria, poche anime vive molte di più quelle morte. Il tempo lo ha fatto scendere, la possibilità della pasticceria lo ha fatto stabilire a Zogno, poco meno di una ventina d’anni fa. Il classicismo dei semi-lavorati si è trasformata nel classicismo di dolci senza nome, qualche omaggio alle mezzelune di San Pellegrino, lavori tradizionali su frolle e sfoglie e una pasticceria rivoluzionaria a causa del proprio ieri. Poi l’incontro con un giovane pasticciere, e indirettamente quello con Rolando Morandin, lievito madre in acqua e via con i panettoni. Qualche farina meno raffinata e una produzione necessitata dalle dimensioni del forno. Quindi Galup e non tappo di champagne, panettone basso, buono sviluppo, aromi a posto, discreta ricerca sulle materie prime e bilanciamento un pochino sbilanciato.
Cesare ricorda quei pasticcieri che hanno abitato il proprio quotidiano all’interno di laboratori che sono diventati un’ossessione, che han reso l’Italia fiera dei propri dolci e che hanno deciso, o sono stati costretti dalla perseveranza al solito, di non cambiare mai. Ma non so se li ricorda o li fa immaginare solo più vicini. Perché poi guardi gli occhi delle ragazze che lavorano per lui (di fianco alla pasticceria da poco tempo ha aperto una caffetteria ndr), l’apprensione per il tempo e la fatica, l’empatia di una persona che si fa in mille ogni giorno, l’umiltà di un lavoro che mantiene sempre la schiena dritta, la preoccupazione di garantire l’affetto ricevuto, e ti accorgi di come la gioventù realmente sia un fatto che con l’anagrafe non ha nulla da spartire.
Cesare è la gioventù, è il rilancio ed è la possibilità. La nostra dolceria è molto più questa che quella che si vede a specchio in televisione o nei visi imberbi dei giovani illusionisti del concorso sempre da dimostrare. Ecco i suo bignè, la sua delizia, la millefoglie, il cannoncino e la modernità come gioco di ruolo a cui bisogna partecipare per trovare un tono di beffa più che di sbalordimento.
Non è il nonno che tutti vorrebbero avere ma è il pasticciere che è ancora in grado di comunicare grazie alla dedizione e non attraverso la perversione dell’immagine. E così la bontà dei suoi prodotti sono sempre uno stimolo, per lui ma anche per noi, a non richiudersi nella vecchiaia e nel tempo che non fu, ma ad aprirsi all’insegnamento e alla voglia di una missione che non è mai diventata sottomissione. La Pasticceria Ruffoni non si merita le rotonde e le file dal benzinaio, non si merita una Val Brembana dedita al copia incolla e ai formaggi che non si sa come difendere, si merita di rimanere intatta e grata, con quella maniera di occuparsi del prossimo che è voce flebile e cura dei particolari…
PASTICCERIA RUFFONI
VIA MAZZINI 61
ZOGNO (BG)