Borgo Santa Massenza. Comune di Vezzano. Valle dei Laghi. Provincia di Trento. In quei luoghi del Trentino poco conosciuto e ancora meno turistico. Centocinquanta abitanti “di sera” come enfatizza Mauro. Il resto è una centrale elettrica post bellica, una rocca protettiva alle spalle e una coltre di verde. Le declinazioni sono quelle della vite e, sorprendentemente, dell’ulivo. In mezzo tra il 46° e il 47° parallelo, si parla di un olio estremo, probabilmente il più a nord d’Italia, se non d’Europa.
In questo lembo di terra, dove i terreni non sono mai adiacenti e dove non esistono distese di terra e soprattutto distese di terra incolta, ha creato il suo angolo di bellezza, Giulio Poli, seguito, in discendenza diretta, da Mauro, figlio e legame con il mondo.
La porta in legno si apre su una cantina che, fin da subito, non può sottrarsi al fascino dello stupore. Soffitti alti, quasi medievali, con quegli spifferi che hanno lo spazio di diventare rumori, tenui scricchiolii e sentori di legno bagnato. La stanza deputata alla degustazione, con tavoli di legno e muratura irregolare ricoperta da un bianco tranciante, riporta alacremente ad una stanza delle torture dal fascino estenuante. Straordinari esemplari di attrezzi e accessori del “tempo che nessuno visse” si mostrano alle pareti, senza soffocarle, ma togliendo claustrofobia e portando serenità.
Eccola la parola, finalmente. Dopo ore e ore di viaggio, curve, chiacchiere e pochi silenzi, l’incontro con quella bellezza, improvvisa (a causa della calata delle tenebre e di una vista che si era gettata senza requie nell’apprendimento della natura), riporta un’immagine di un Trentino che non ti aspetti. Una persona, Mauro, senza fretta e senza flemma, che si apre con naturalezza e che, nell’ordine dei racconti, alla mia accattivante provocazione sulla madre acetica, cincischia e poi dice andiamo.
Andiamo dove? Non è finito tutto lì? C’è un’altra idea ad attendermi?… perchè l’aceto ha bisogno di caldo, perchè l’aceto è una nuova produzione e perchè l’aceto… prende le chiavi… si stupisce anche il mio anfitrione Peter Brunel (istintiva capacità di cogliere il nocciolo della mia ricerca…) mentre ruota vorticosamente con un avanguardistico iPad-macchina fotografica che, torvamente, non sfigurerebbe alla parete tra gli strumenti di tortura… e ci indirizziamo.
Sarà la stanchezza, saranno quelle terre, sarà il buio o il fatto che ci si muova a piedi, sarà quella mancanza di chiarore artificiale o quella luna maupassantiana che, al posto di illuminare, diventa complice di una relazione, sarà una miscelarsi di tutti questi istanti, ma è intercorso qualcosa di profondamente innocente durante quella passeggiata. Finisce l’asfalto, inizia un breve sterrato. Il paese finisce. Rimangono solo gli alberi, un filo di notte e una casa disabitata con pietra viva e una piccola porta d’ingresso. Ecco la nostra meta.
Una decina di botti e lo stesso uomo, Mauro Poli, che passa dal realismo e dall’ironia della provocazione allo sbalordimento dei miei occhi. Si tira su una manica del maglione e inizia la ricerca della madre all’interno delle botti. Non essendo un aceto tradizionale, né di uva né di vino, il fallimento è conclamato in partenza. Ma lui ci prova lo stesso. Magari si è formata durante la fermentazione. Ma nulla. I lieviti sono aggiunti, il processo è più simile al balsamico di Modena che all’acetificazione tradizionale. Uva Schiava e Sauvignon. Caldaie di rame. Botti di rovere. Bicchiere stretto dalla mano sincera di Mauro. “Secondo me è un prodotto straordinario”.
Il sapore è quello della cugnà piemontese, con l’acido ad esaltare l’amaro della cottura. Non ha bisogno di verdure, di riduzioni, di uova e nemmeno di formaggi. É qualcosa di eccezionale nel suo essere all’interno di quella stanza, a quell’ora della sera, con quel buio e quella casa (a metà tra un horror del primo Avati e l’incanto del mio vicino Totoro di Myazaki nei laghi di Sampei). Prima di essere un gusto, è un ricordo indelebile di un moto a luogo emozionale.
Da lì, lo spostamento è breve. Non mi asppetto null’altro. Disconosco e sono fiacco. Si apre una porta di fronte a me e appare quella che lui definisce “l’antica distilleria artigianale”. Ricca di fascino, come definizione, riportrebbe alla banalità di una fotografia. Questo alambicco è molto di più. È inutile sulla strada della modernità e della serialità, ma sarebbe quell’ideale di artigianalità, utile al “Devoto Oli per immagini 2099”, nel caso decidesse di raccogliere, in un solo istante regalato allo sguardo, le immagini del secolo trascorso, del suo legame col passato e con il tempo dell’uomo. Piccolo, rame, legno e mani. Tutto lì.
Poi, ovviamente, c’è il resoconto di anni di lavorazioni. Testa, coda e cuore del distillato. Rettificazioni. Vinacce. Legno di pino o larice. Fuoco lento. Vapori e aromi. Refrigerazione e condensazione. Diluizione del tenore alcolico. Acqua distillata. Grappa finale. Di schiava, di moscato, di cabernet sauvignon e di nosiola. Affinata con i lamponi o con la liquirizia. Ognuna con i suoi profumi, dal delicato al netto fino al sottile. Ognuna con i suoi sapori, dal secco al fruttato. Ma soprattutto, tutte, nella complessità o nella facilità, molto armoniche e palatabili. Senza discrasie o impervie salite.
Quella di Nosiola è starordinaria a partire dall’olfatto. E Mauro lo sa bene… la mostra e la nasconde a seconda dei nostri sguardi. È come cercasse il vezzo per farcela accarezzare…
Microclima, l’Ora del Garda che combatte l’umidità portando un influsso benefico, varietà autoctona Casaliva, olivi più a Nord d’Italia, un ettaro di terreno recuperato dalla comunità di Don Gelmini, olio franto mediante procedimenti meccanici a freddo.
Questa è la sinossi di una rarità compendiata in un migliaio di bottiglie annue. Tutto il resto rimane nel palato. Tra il cardo e il carciofo. Ma questa è facile. Nessuna piccantezza e nemmeno bruciore. Lungo nella sua delicatezza di olio che tocca, senza connotare in profondità e senza stravolgere il senso del contesto. La leggerezza, che l’ignoranza svaluta a favore di un peperoncino liquido e unto, raggiunge un equilibrio tra profumo e gusto. Mosca bianca.
E per sovrammercato, ci sarebbe anche la produzione principale, il vino, che la mia stanchezza decide di riservarsi per il prossimo viaggio.
Il tutto, sottomesso alla gentilezza di Mauro, feudatario di un mondo e di un modo tenue, quasi diafano… quasi disperato nella sua poesia che, come le sfumature del cielo, scompare e riappare e, come quelle degli alberi, si nasconde e declama…
Essendoci, non bisognerebbe perderselo… per nessun motivo al mondo…
AGRICOLA SAROS
PIAZZA SAN VIGILIO, 4
SANTA MASSENZA DI VEZZANO (TN)