Cureggio è un paese in mezzo, vicino a molti luoghi e distante dalla possibilità della condivisione. Contadini, cascine e mulini, rogge inevase e un territorio che va conquistato per poi essere rivenduto. La rappresentazione è quella di una collina novarese che non funziona a partire dal nome. Questa provincia è un panorama che si guarda dal basso, è uno scorrere di fiumi in mezzo alle patate e alle cipolle. Appena la strada comincia a salire, spuntano i vigneti alla ricerca di una leggenda, mentre la pianura riprende possesso di sé, con un accenno lacustre che già si sente nell’aria, si ritorna alla normalità di un Piemonte imbastardito, senza troppe regole e senza l’atavismo fascinoso di una storia che è sempre stata gastronomia. E se il Piemonte non va da Maometto, è lo stesso Maometto che il Piemonte se lo prende, lo coltiva e lo mette a rilucere sotto il faro di una bellezza che dovrebbe essere normalità mentre richiama stupore e fatica. Raffaella Fortina e Gianluca Zanetta sono quei prevaricatori di incuria che hanno deciso di non cedere al tempo che passa.
Gianluca lavorava in un’industria tessile di Leffe, è passato da Milano ed è tornato al suo paese, Cureggio, con in testa un’idea. La cascina di suo zio era vicino all’abbandono. Così la scelta. Qualche anno di doppio lavoro e poi lentamente la ripresa di un posto. Erano i primi anni duemila, il tempo si era già fermato e così la crescita. Fare agri/turismo in Italia era già sinonimo di fregatura. Quattro piante officinali in mezzo al parcheggio et voilà. Gianluca e Raffaella, però, avevano un’altra visione. Investire sul lavoro, reinvestire i soldi guadagnati e proporre un viaggio alternativo in quella terra di fughe e sassi. Provare a fare il più intelligente agriturismo italiano, dando visibilità ad un territorio fatto di facce, di mestieri, di tipicità, di contrasti ma soprattutto di inter-esse, di quella relazione sincera e silente che si è sempre ritratta dietro i volti dei secolari osti della zona, dal Sorriso al Pinocchio, che hanno provato a raccontare una storia che non voleva cambiare e che non sarebbe mai cambiata. Così bisognava incominciare a mostrare le cantine, gli anfratti, i laboratori e quell’idea di sostenibilità sempre più simile a quella di autarchia. Raffaella come forma di accoglienza e Gianluca nel suo ritorno alle origini di quel che resta, a percorrere il mestiere aspro dell’agricolo.
Perché la bellezza delle ringhiere recuperate, della Spa in costruzione, della piscina, delle cantine di stagionatura, del ristorante da 60 coperti, della pietra a vista, del giardino e dei campi coltivati diventa il parossismo di una storia partita dalla terra e che nella terra ogni giorno trova la sua possibilità.
E così capita che qualche anno fa, dopo l’arrivo in Capuccina di una ragazza americana per una tesi di laurea in Scienze Gastronomiche a Pollenzo, che a Gianluca viene un’idea: perché non scriverla su come nasce un presidio Slow Food? Et voilà, la cipolla di Cureggio dalla riscoperta al mondo, attraverso il racconto.
Il coinvolgimento degli agricoltori è andato in crescendo, la sostenibilità ambientale è diventata il retaggio di un passato fatto di tradizione e cura. La raccolta comincia da metà luglio e la finezza si sviluppa nel tempo e anche nella conservazione. Di una dolcezza estrema. E così Gianluca ha deciso di essiccarne alcune per affinare uno dei suoi formaggi.
E qui entra in scena Aiman, un ragazzo della Valsesia che, pochi anni fa, ha trovato nella Capuccina una possibilità d’espressione. Gianluca aveva bisogno di demandare la caseificazione e così il suo gregge di capre Saanen ha trovato un nuovo custode. Caseificio lindo, quattro litri di latte al giorno scarsi, asciutta dei tre/quattro mesi invernali, fieno autoprodotto ma non del tutto, integrazione proteica, cellule somatiche perfette, stalle innovative, cagliate lattiche e cagliate presamiche. I suoi caprini cominciano, ora, dopo qualche premio e dopo una lenta conoscenza, a trovare una forma. Il latte crudo deve essere meno rapsodico, le Asl dovrebbero tornare nelle stalle del Gorgonzola per levarsi le fette di salame dagli occhi, le aromatizzazioni son contenute, le proteolisi e le mantecazioni anche (le robiole non fanno eccezione). Nelle lunghe stagionature, anche delle lattiche, Aiman trova il compatto più dello sciolto, l’ammoniaca è distante quanto l’asciuttezza, c’è pulizia, forse troppa. Le caciotte presamiche sono raffinate e un filo elastiche, la masticazione di una simil-fontina è gustosa, l’unghia si spezza e si completa nella pasta. Il naso, che rimane sedotto in quella cantina perfetta, a volte non si completa nel palato. L’estetica è straordinaria, ma d’altronde basta guardarsi intorno. Aiman e Gianluca devono andare una punta più a fondo, perfetti sulle lipolisi e sull’ircino, sulle muffe e sugli aromi devono trovare meno fermento e più contrasti.
Ma tutto verrà. Basta confidare nella loro maniera di comunicare il territorio. Ci sono trenta produttori di Ghemme? In cantina ci sono tutti. Belli e brutti, simpatici e antipatici, buoni e cattivi. È il cliente che deve decidere non l’oste. La possibilità è il rispetto accorto. E così per la Vespolina, per il Gattinara, per il Sizzano. Ci sono tutti, questo è il privilegio della conoscenza. Portare gente da tutto il mondo e stare al di qua del vanto. Ecco come si può incidere ancora in Italia con un agriturismo, come si può avere il ristorante sempre pieno, respingendo l’ultimo vezzo e rimanendo strenuamente legati alla terra e al suo abbandono da rifuggire. Raffaella e Gianluca sono l’ultimo avamposto di qualcosa di profondamente italiano…
AGRITURISMO LA CAPUCCINA
STRADA CAPUCCINA 7
CUREGGIO (NO)
Ciao
Grazie per tutto cio che hai scritto, e per l’importante servizio che hai fatto per il nostro territorio.
… emozionante
Grazie ancora
Gianluca
ciao gianluca,
scusa la tardiva risposta, ma sono tornato oggi dal Vietnam… grazie a voi di tutto
un abbraccio