Visignano di Navacchio. Piccolo borgo industrializzato alle porte di Pisa. La bellezza si nasconde sapientemente. Gli alberi sono radi, l’asfalto ha una territorialità insita nell’umore delle persone del paese e i capannoni sono cresciuti in una dismisura molto nordica, troppo nordica. Con loro sono aumentate le nuove rotonde, quelle con il verde curato dalla Società di Consulenza Americana per redimere la propria coscienza corrotta dal catrame. In mezzo a questi prefabbricati color inerzia, all’interno di un cancello, alla cui guardia c’è Luna, un cane pelo corto, caciarone ma senza inganni, lavora un artigiano del gusto, olandese di nascita, italiano di adozione, anarchico di privilegio: Paul De Bondt (Pol, come lo pronunciamo noi esterofili, Paul con la pronuncia toscana di Sergio Falaschi).
Maglione beige, jeans, capello biondo e scarmigliato, tiene in mano la sicurezza di un’invenzione. Lui ha creato dove gli altri sono stati in grado solo di ripetere.
Quella che, inizialmente, mi è sembrata diffidenza, si è trasformata, nel corso di una comunicazione (resa limpida dall’impossibilità di padroneggiare e nascondere la lingua…) in cui il dubbio si è trasformato in bellezza, nell’immagine stessa del suo prodotto: una sperimentale e perdurante ricerca.
Ecco Paul De Bondt, un esploratore del gusto. Prende una mia provocazione senza rispondere. Gira la testa ed esce dalla stanza. Per spiegarmi il perchè una definizione possa essere associata al suo nome, prende la strada più larga, quella del racconto. Non sul perchè abbia scelto il cioccolato, al posto della poesia estemporanea o della nobile arte della vendita di aspirapolveri, ma sul perchè la sua vita si sia concretizzata in un peperoncino habanero o in uno zenzerino dei monaci di Siloe. A partire dalla cabosside della sua esistenza.
Dall’Olanda a Viareggio, nelle cucine di un albergo, come cuoco pasticcere. Lì conosce Cecilia. L’affinità si trasforma in cooperazione. Lei è una designer con un gusto sotteso, che si nasconde all’ombra del barocchismo, quasi a voler aspettare che sia la partita ad arrivare a lei e non lei a prendersela in mano. E così nei disegni che stanno dietro all’universo di Paul. Quelle confezioni, così diverse dall’ortodossia del cioccolato fino ai primi anni ’90, non hanno vestito le loro tavolette in maniera inglese e sartoriale (sarebbero andati fuori budget) ma si sono trovate all’uopo delle fantasie di una creativa che, per sovrammercato, ha segnato una strada.
Il resto è dato dalla collaborazione più passionale, quella che unisce l’idea con l’emozione e che permette di creare nuovi disegni e un sito internet in sintonia con tutto ciò che richiama prepotentemente la forza della funzionalità. È un mondo artistico all’interno di ben delineate mura.
Quando nasce l’idea del cioccolato De Bondt, ad inizio anni ’90, dalla parte dell’artigianato c’è solo Catinari e poco altro, dall’altra c’è la grande distribuzione e la serialità, sia nel gusto che nell’incartamento della tavoletta. I mostri da combattere sono sempre gli stessi: l’ignoranza e le cattive abitudini. Perugina e Nestlè la fanno da padrone, il cioccolato è vieppiù un alimento destinato comunicativamente ai bambini e le decorazioni son qualcosa che puzzano di naftalina, maglioni rossi di lana grezza, canzoni natalizie tratte dall’ultima musicassetta di Christian e alberi di Natale addobbati da denti sbiancati dall’ultima pubblicità. C’era davvero bisogno di una rottura…
La provvidenza si manifesta sotto le sembianze di Chantal Coady (autrice dell’enciclopedico “The Chocolate Companion”) che, dopo aver assaggaito le loro creazioni all’Eurochocolate, li inserisce da subito tra i primi quindici cioccolatieri al mondo. Paul esce ma non cambia le sue abitudini di iconoclasta della ricerca.
Mentre parla, mi passa per la mente l’immagine di un racconto di Allen Ginsberg, della volta in cui, insieme a William Burroughs, andarono a casa di Louis Ferdinand Celine. Mentre Burroughs continuava a fare domande sui vari scrittori contemporanei e sul loro valore, l’immenso Destouches muoveva la mano nel segno del “passa oltre”, come a voler sottolineare la vanità di tutti questi pesci in quello stagno chiamato letteratura… Paul mi ha bloccato lì, sul continuo e fatuo elencare e su una storiella di un gruppo di “suvvisti”, incancreniti dalle camicie rosa e dalle Hogan col tacco, in un chocolate tour della Toscana. “ Mi hanno chiamato… La prima domanda che mi hanno fatto (e qui la “colpa” cade sull’amico Pistocchi e la sua comunicazione sui celiaci e sulle intolleranze) è se ci fosse la farina? Questo è il livello… Una ganache con la farina!”.
Non ho potuto fare altro che continuare a modellare il mio registro sulle sue visioni.
Poi, e qui m’incenso, ho iniziato a capire…
Non sono i trenta cioccolati diversi (che non vuole elencare…) e nemmeno il fatto di partire dal temperaggio e neanche l’analisi sul maggiore o minore tempo di concaggio, il fatto è che lui è uno chef e, se fosse possibile affibiargli una ragione univoca, quella sarebbe la definizione: la sua ricerca è sull’accostamento dei sapori, sul peso specifico di uno o dell’altro e sulla materia prima vista sotto il profilo dell’esaltazione.
– Cioccolato al latte, cacao puro e cristalli di fior di sale: il fatto che gli ingredienti non siano mescolati tra loro, permette al palato degli step più chiari e recisi. La dolcezza, la punta acida e la sapidità del sale che, a differenza del classico cioccolatino salato, arriva alla fine non confondendo il gusto.
– Habanero candito: a differenza dei peperoncini italiani, la piccantezza è molto più potente, ma con una particolarità, si concentra fin da subito sul palato, e le sue propaggini non arrivano allo spiacevole senso di gola bruciata. Qualcosa di leggendario.
– Rosa: molto elegante ma un filo lezioso. Sicuramente profumato ma c’è qualcosa che mi ha lasciato interdetto. Alla lunga può stufare.
– Trittico agli agrumi: gioca sulle coppie, arancia/mandarino, bergamotto/limone e limetta/limone e anche sul cacao, dal Trinitario al Criollo, con percentuali bilanciate a cercare il giusto mezzo. Tra canditure e olii essenziali, si ha sempre la percezione di un divertissement, di un alchimia sempre cercata… e sempre trovata. Mi deliziano nel ricordo del suo viso guascone…
– Zenzerino dei Monaci di Siloe: è un peperoncino declinato nel dilaetto toscano. Paul lo combina con fondente e caramello. È quasi commovente. C’è di tutto. Un gusto di rara austerità e di estrema anarchia…
Giochi di specchi, di prove, di enigmatiche sinfonie, ibridazioni complesse, come quando Donnafugata gli ha proposto di cercare un cioccolatino col passito che lui proprio non riusciva ad abbinare con sapienza (ancorchè nella difficoltà di trovare una soluzione, ha portato a casa il risultato) e studio del territorio (con la sua linea ai pinoli)… ma su tutto, si continua a scorgere la punta dell’iceberg del percorso di un “primitivo” che non può proprio smettere di guardare al futuro…
DE BONDT
VIA SANT’ANTIOCO, 31
VISIGNANO – NAVACCHIO (PI)
NEGOZIO DE BONDT
LUNGARNO PACINOTTI, 5
PISA (PI)