Camairago. Piccolo borgo nel lodigiano. Macelleria Cipolla.
Qui lavora un norcino. Uno di quelli che non si producono più, perchè la mimesi con l’origine troverebbe sempre una beffa.
Piero Cipolla è un pazzo che inizia a lavorare alle cinque di mattina e finisce a mezzanotte. In solitaria, come il più estremo degli alpinisti. Un paio di mattine a settimana, parte per l’alto piacentino o per la bassa cremonese a caricar su le bestie con il camion. Il nome gli interessa poco, la razza ancora meno, tutta la sua attenzione di mefistofelico artigiano di foschia è rivolta sul cibo.
Il controllo diventa sapore. Questo è il suo dogma, questo è il suo modo di guardare gli altri, molto al di qua della cultura, dell’istruzione, del marketing, finanche della comunicazione. Che si presenta ostensiva e antitetica ed è condotta attraverso la contrazione dei muscoli dello stomaco, la furbizia dello sguardo, le pacche sulle spalle e quel suo modo di trascorrere la parola, attraverso l’utilizzo della terza persona, a metà strada tra la protervia di un medio calciatore di provincia e l’impossibilità di empatizzare “dospassosiana” che non permette l’emozione a ciò che è raccontato attraverso l’”egli”.
Un uomo che ti porta in giro per i suoi luoghi, facendoti annusare, assaggiare, impazzire e congelare, dandoti in comodato d’uso le mani, le braccia e il cuore.
Non puoi rifiutarti a qualunque cosa ti proponga, è come se uscisse dalla terra per portarti nel suo mondo d’artigiano, fatto di lunghi silenzi gelati ed esplosioni di senso che squarciano il cielo attraverso lampi di meraviglia, reiterazione “goebbelsiana” e istantaneo affetto.
Per Pierino, la divisione tra pubblico e privato è qualcosa che appare come vuota di significato. Casa sua è il mondo in cui lui ha creato lavoro, bellezza, artigianato, cantine, muffe, cenere, reti di protezione e odori di catoio. Mi sono trovato (tutte quelle volte che sono andato…) catapultato in un mondo, in cui la sinergia e la ricerca della maniera migliore alla comunicazione svuotavano i loro otri, per riempirsi degli odori di mastro Cipolla, un norcino come non ce ne sono più.
Piero non ha tempo di vendersi e non ha interesse a collaborare con i ristoranti.
I suoi prezzi sono molto elevati perchè molto elevato è il grado di attenzione, di solitudine e di fatica che c’è dentro un suo prodotto.
Ogni tanto, ex abrubto, arriva sua moglie che inizia a raccontare.
Ecco il “garzone”.
Giovane ragazzo che si era recato fin lì per imparare. “Dopo mezza giornata se ne è andato. Mi ha detto che mio marito era un pazzo. Che non poteva tenere quei ritmi con quella mole di lavoro”. Piero ride tra le contumelie.
– Punta di coltello: ogni tanto decide che la parte dedicata al salame, di una delle bestie macellate, la lavora tutta in questa maniera. Tessitura più grossolana, meno patinata. L’impasto ha una morbidezza quasi eccessiva, di una rarità rarefatta e una compattezza che in bocca permette di recepire il tutto come unico e indivisibile. Non schiacciando o comprimendo le fibre della carne, quello che rimane è desuetudine che cerca comprensione e ingegno. Fin troppo complesso entrare dentro il presente, si riprende la totalità del gusto nel ricordo di un assaggio estremo. Questo la fa con i Landrace o con le cinte senesi del Podere Forte.
La cosa importante è che non importa…
Quando è giunto il tempo, quando le sue luganeghe, rapprese dalla naturalezza del trattamento, confondono i propri odori con la cenere sottostante che ne controlla l’umidità, lui apre le celle. La sua tenuta è un labirinto di cantine, temperature, enormi buchi neri, umidità e zone dedicate all’invecchiamento. La magia rimane in quei salumi, impregnati di muffa e budelli cuciti a mano, che penzolano dalle volte di una struttura sotterranea. Ogni volta che Piero varca quella linea, inizia a fendere l’aria con un coltello, come fosse un derviscio, brandendo il suo eloquio e scagliandolo contro le nuove generazioni che non hanno più valori e che continuano, imperterrite, a mangiare “il chimico”. Ecco il suo più grande nemico, quella nemesi che ogni tanto rientra dagli spifferi delle finestre e che continua a tenerlo inquieto (e forse vivo…), regalandogli la possibilità di percepire una differenza come La Differenza.
Ho assaggiato dei prodotti definiti che non definirei mai sempre i soliti. Perchè il loro essere vivi, in quel budello che dona sensazioni sempre cangianti e a contatto con quelle muffe che esalano ed esondano saperi, notti invernali e nebbia, facilita la sensazione della diversità all’interno di una continuità netta e profonda.
Non ho mai trovato il medesimo sapore e nemmeno il medesimo stupore, la magia è stata refrattaria e frammentata, rimandando, per esempio quando il salame non era nella giusta stagionatura, il momento della degustazione.
Coppa, pancetta, salsicce, luganeghe, cotechini e salami. Questi sono stati i miei assaggi, ancorchè lui macelli anche bovini e oche (su tutte, quelle che ha trovato da due “grassone”, disperse in una tenuta tra Emilia e Liguria. In compagnia di un “pretino” che le teneva a bada, Pierino si è appropinquato a vedere la meraviglia dell’oca che veniva nutrita a fichi, in una delle storie più divertenti mai sentite…) con cui, per pochissimi eletti, ha dato vita ad un foie gras che, icasticamente, nel suo racconto stava appena sotto l’Altissimo.
– Pancetta: spruzzata con il cognac, rilascia dapprima sentori dolci, per poi accomodarsi su note più selvatiche, quasi di sottobosco. Il grasso viene spazzolato dalla lingua con un solo movimento.
– Salsicce: al parmigiano reggiano, al finocchio sardo, al finocchio siciliano, all’aglio e semplici. Difficilmente ricordo qualcosa di meglio. Ognuna con i suoi aromi e i suoi sapori. Rilasciano, nella mia memoria, il sorriso compiaciuto di Piero che osserva mentre le mangi, come a dirti “dai! dai!”. Quella all’aglio sfiora il parossismo di quello che, per me, significa “mi piace”. Niente altro da aggiungere.
– Luganega: rugosa e piegata, cucinata a tegamino, ha quel sapore di terra che il sale, quello così importante per tenere lontano l’afa e l’insolazione, toglie, non insaporendo ma ottenebrando…
– Lardo: Piero arriva a farne un celestiale strato tutto spatolato, grammo per grammo, finché il grasso non arriva ad assomigliare ad una crema che si scioglie ovunque, rilasciando aromi e sapori che elettrizzano e incantano, nello stesso tempo. Corteccia.
– Salame: eccoci allo scontro. Un gigante, uno dei due migliori che io abbia mai trovato, probabilmente a partire dal concetto. Mancandogli quell’aroma forte di umidità, accentua quello di cantina e pietra bagnata. Messo in bocca, raggiunta la temperatura giusta, inizia a lacrimare, rilasciando al mondo un’esperienza sensoriale di difficile spiegazione. È un assaggio di quello che non ci sarà più…
Se potesse, mentre racconta, mi ingloberebbe nelle sue viscere, tanto è genuinamente enfatica la sua narrazione. Artigiani così andrebbero presi e salvaguardati, perchè non hanno tempo e non sono in grado di tutelarsi. Invece alle convention, ai meeting e alle soirée, si vedono sempre le stesse facce, le stesse barbe, gli stessi papillon e gli stessi chef che si citano, in una dialettica autoreferenziale, proditoria e mugnifica…
Lunga vita al sciur Pierino!
MACELLERIA CIPOLLA
VIA DE GASPERI, 3
CAMAIRAGO (LO)