La storia del re dei formaggi italiani è la storia di una controversia. Di un modo di fare, di vendere e di promuovere il formaggio che non mi convince fino in fondo, di qualcosa che rimane al di là dell’indubitabile bontà di un prodotto unico, o quantomeno raro e di una vallata incantata in un trivio di culture, popoli e tradizioni millenarie. Questa è una storia di come, ogni tanto, l’oro torni ad essere un semplice metallo, senza recuperare quell’effluvio di fanciullezza e senza perdere quell’aurea di intoccabilità.
Settembre. Val Formazza. Tra Crodo e Premia si sviluppano una serie di strade che portano ad una serie di Alpeggi, per l’esattezza sette, che danno il nome ai vari cru del Bettelmatt.
Faccio un paio di chiamate. Non sono convinto. Riesco a parlare con Roberto Pennati dell’Alpeggio Vannino. Mi piace e pare disposto a farmi visitare le sue cantine e a raccontarmi qualcosa.
Premia. Azienda agricola dei fratelli Pennati. Hanno appena recuperato gli ultimi malgari. Le mucche sono rientrate tutte. La produzione del Bettelmatt è terminata.
Dopo 50 giorni dalla data riportata sulla pelure, avviene la marchiatura (la prima della stagione è stata fatta pochi giorni prima) e i formaggi vengono portati alla Latteria Antigoriana di Crodo per essere commercializzati.
Dall’erba mottolina, alla cultura centenaria dei Walser, alla storia dell’Alpe Bettelmatt fino all’ossessione per la lavorazione a latte crudo, l’attenzione si è trasferita, nel giro di pochi anni, a marchi registrati, ad aste milanesi, a un decalogo per la tutela del formaggio, ad una vendita obbligata di forme troppo giovani e a prezzi folli per questo tipo di lavorazione e per questo tipo di formaggio.
Che cosa è successo?
20. 31. 40. 55. Questi sono gli euro che bisogna spendere per comprare un kilo di Bettelmatt in quattro luoghi differenti:
– da Roberto Pennati, senza la marchiatura, e ancora troppo giovane. Minimo una forma…
– alla Latteria Antigoriana di Crodo (della quale sono soci tutti i produttori ad eccezione di un paio…), dove le forme, marchiate tre giorni prima, senza nemmeno due mesi di stagionatura, vengono portate direttamente dai casari che percorrono dai 5 ai 15 kilometri in macchina…
– da Eataly, già tagliato, preconfezionato, senza una definizione di provenienza e abbastanza giovane…
– da un noto affinatore della zona (ma in molte boutique del gusto è così…), dopo uno o due anni di stagionatura… dopo, cioè, “avergli dato una seconda vita”, definizione sua, tanto icastica quanto agghiacciante…
– Dialogo: Roberto Pennati (che si è rivelato tutto sommato una persona disponibile, ma verso cui il mio trasporto è tiepido, visto tutte le logiche commerciali che lo sovrastrutturano) sembra avere imparato un discorso a memoria, del quale si è, lentamente, convinto: “non posso fare i prezzi delle altre tome ossolane (tra gli 8 e i 10 euro al kilo…ndr), il mio prodotto è diverso. 20 euro è comunque troppo poco”.
– A parte: E.R., famoso critico gastronomico, è stato colui che ha permesso la scoperta di questo formaggio, a livello globale, e che gli ha dato lustro, portando chef famosi, critici amici (il Massobrio, sul suo Golosario, dice di ricordare ancora quando è salito su uno degli alpeggi, dove gli afrori dell’erba mottolina si spandevano nelle cantine e dove quel sapore unico di formaggio lo deliziò e lo sconvolse…domanda, senza risposta: ma che formaggio ha mangiato in alpeggio?… dato che prima di 50 giorni, cioè ad alpeggio concluso, il Bettelmatt non è ancora pronto… Tuttavia può essere che ricordi male…) e televisioni, a conoscere un luogo a lui “caro” (pare che passi in zona le sue vacanze…) e a trasformarlo in un mondo di immagini patinate di vita agreste e pascoli unici, pronte per essere condivise, conosciute, finanche amate.
E quindi a Palermo trovi il Bettelmatt (chissà di che alpeggio…) ma non trovi la capra girgentana…
– Fuori campo: gli Affinatori.
Vedono il Bettelmatt come la pietra filosofale, autoriflessiva, dei formaggi. Non utile a trasformare i metalli in oro, ma “propenso” e arrendevole a trasformarsi in tutto quello che loro desiderano.
(Roberto Pennati, uno dei sette produttori, non il primo pirla passato per la valle, mi ha confidato che il Bettelmatt, per mantenere proprietà organolettiche ortodosse, non deve superare l’anno di stagionatura. A scapito della sua cremosità e dei suoi sentori.
Ecco. A Milano, in una nota boutique del gusto, nel 2010, vendevano quello che veniva definito il formaggio italiano più raro, un bettelmatt del 2002… a cifre astronomiche).
Perchè, domanda pleonastica, continuare a chiamarlo Bettelmatt?
Stagiona bene, ha appeal ed è un ottimo formaggio. Tanto basta ad una relazione esclusiva per mettere radici.
E poi nessuno, oltre i sette paladini, potrà mai apporre l’ottavo sigillo dell’Apocalisse. L’inaccesibilità ne garantirà l’unicità e, nello stesso tempo, il possesso…
Detto ciò, e detto anche della sua bontà, rimane pur sempre un formaggio di vacca (sia di razza frisona che bruno alpina), d’alpeggio… una toma ossolana, insomma… uno di quei formaggi che si collegano ad una tradizione e ad un bisogno piuttosto che alla forma mentis di un genio…
…ma se anche la regina Elisabetta lo adora… allora bisogna sparare alto… trasformando una storia di malgari, erba mottolina, pascoli, vallate e paesaggi fiabeschi in una storia di ingerenze…
ALPEGGIO VANNINO
VIA CASE BENEVOLI, 8
PREMIA (VB)