Monale fa parte di quel Monferrato sereno che ha smesso di concorrere e di fare gare. Qualche noccioleto, qualche vigneto, tanti boschi e molto silenzio. La pace è il filo rosso che lega tutti i movimenti di uomini e animali. Non c’è fretta e non c’è patina, manca quell’urgenza di rimostranza e di dimostrazione così facile in certe colline italiane. Sono luoghi come questi che ti s’incidono dentro, non lasciando scampo alla prigionia. L’amore è un finestrino abbassato in mezzo al selvatico e una sosta in cui ascoltarsi, spiando agri fruscii e vite terminate in lande dissepolte dove la fuga è stata per anni il modo di essere delle barbe lunghe e degli strumenti d’ottone. Queste dispersioni non hanno ottenuto raggiungimenti di benessere, ma sono rimasti per poter procedere al loro tempo, con quei ritmi naturali che son sempre stati sbeffeggiati dai colti metropolitani dalla gita con la tovaglia a quadri. Al di là dei fuggiaschi, questa rimane una terra di crescita e di singolarità, e così è capitato che un titolare di una ditta di impianti elettrici e sua moglie abbiano deciso di trasferirsi da Torino per far crescere i propri figli in mezzo al verde, senza filosofie indiane e senza dogmatismi di credo, ma nella semplicità dell’evidenza. E tutto questo è successo in una strada senza uscita di Monale, in fondo al bosco, qualche decina di anni fa.
Raffaele Denk ha continuato il lavoro del padre, prendendo esempio dalla natura. Poi quella stessa natura ha deciso di trasformarla. Attraverso un allevamento di capre e di vacche da latte e attraverso manzette Piemontesi messe a dimora da un vecchio allevatore lì vicino che, nella noia, si è trovato uno stato brado al posto delle vecchie stalle, piccole, strette e buie tipiche di questa zona di Piemonte.
Già fassone e pascolo non si vedono spesso insieme, poi in queste terre di coltivazioni e confini ben segnati, men che meno. E così, presa la decisione della cooperazione, coinvolgendo artigiani del territorio e aprendo una piccola bottega ad Asti, ha provato a mettere in comune anche l’allevamento. Ma siamo in Italia. Il naufragio dietro l’angolo ha costretto tutti a ritornare verso l’individualismo. Raffaele ha venduto anche le vacche da latte e ha continuato con il solo allevamento di capre camosciate delle Alpi e con qualche maiale per trasformazione e siero. In maniera raffinatissima. Pascolo tutto l’anno. Terreno verdeggiante su colline panoramiche e la decisione di lasciare gli animali alla propria autogestione. Mungitura meccanizzata e caseificio sotto casa. A vista, in quella cascina splendidamente restaurata sempre più difficile da trovare nella congerie mentale di molti allevatori.
Ha resistito alle intemperie, ha deciso di non fare mercati e di concentrarsi su una produzione che deve essere sempre rinnovamento. Il formaggio di capra in Italia, soprattutto le cagliate lattiche, non hanno una storia a cui appellarsi e quindi bisogna sempre trovare il sorprendente.
Così Raffaele, grazie all’associazionismo, ha viaggiato molto attraverso la Francia, facendo corsi, imparando le coagulazioni e tornando con un bagaglio da portare dentro il suo caseificio. Latte crudo, proteolisi e ammoniache controllate, miele di castagno ad unire alcune paste per ridare indietro strepitosi contrasti dolce/amaro, freschi aromatizzati all’erba cipollina, tome di vacca assolutamente concilianti, caciotte presamiche da stagionare maggiormente, spurghi di siero ondivaghi, robiole in stile Roccaverano particolarmente lattiche, geotrichum imperante e poi lui, quel formaggio iconico, quella tripla composizione, con il gessoso coagulato simil Castelmagno al cuore, un unghia elastica e tendente alla mantecatura, e una crosta erbacea: la sua rappresentazione più urgente, un sapore unico mai trovato altrove. Al di là del buono o del cattivo, delle erborinature o delle grotte che magari in futuro arriveranno, su questo formaggio si può tranquillamente creare un’epopea, un lungo lavoro su consistenze, temperature e dosature.
Sguardo semplice e raffinato, Raffaele ha un modo concreto di guardare il mondo che mette l’altro al centro di un interesse. E così il dialogo può emergere nella sua realtà boschiva e contingente…
CASCINA ARIS
VIA ARIS 5
MONALE (AT)