Graglia. Dove l’acqua si fa nuvole basse e tempesta, dove sgorgano le migliori fonti del mondo, i torrenti diventano fiumi e le montagne rimangono un enorme cespuglio di sottobosco senza nessuna speranza per la vista e per la roccia. Qui l’orizzonte rimane chiuso e perverso, i boschi si fanno strada e curva e gli occhi degli anziani sono abituati a guardare verso il basso l’incedere di piazze e di fughe. Paese silenzioso di artigiani rifugiati, Graglia è un appena fuori rinsavito all’ombra della gita domenicale. C’è chi nella Valle dell’Elvo si perde, chi caccia caprioli, chi crea comunità e chi sfrutta pedissequamente un ambiente che friziona su se stesso, sdrucciolando verso il fondo. Qui il cielo rimarrà sempre bianco e la coltre non potrà mai mostrare un reale interesse verso la vendita e la mostrazione di sé. Le strutture turistiche, se esistono, sono ben rapprese nella schiena di un dover a tutti i costi fermarsi, i santuari mariani mettono addosso lo stupore del presagio e così la macchina non è costretta a proseguire. Resistono gli artigiani di tradizione e quelli di scelta, quelli che si sono chiusi e quelli che non hanno mai sospettato che potesse esistere, là fuori, qualcosa che non assomigliasse ad una fregatura.
Cascina Montefino è un luogo con una vista, con della bellezza da mettere in opera e con un retaggio da mercato contadino da rimettere in circolo e provare a ricomprendere.
Andrea e Federico, giovani, fratelli, con dei lasciti circostanziati alla realtà casearia e contadina, hanno preso in mano le redini familiari cercando la passione al di là della tradizione. Hanno sviluppato molto bene l’allevamento, lasciando alle proprie consorti l’onere del caseificio. Le cantine di stagionatura, così, rimangono a metà strada, in quel inatteso che può portare in superficie meraviglie oppure abbandonarsi a domande senza risposte che non siano appendici visionarie.
Brune alpine, fieni autoprodotti, tanto pascolo e un linguaggio candido precognitivo, prima dell’urbanizzazione gastronomica, in quel disorientamento che non porta sempre a cogliere le sue necessità. Federico è l’anima più produttiva, Andrea quella comunicativa, in quella divisione di ruoli che li porta fuori una decina di volte a settimana per mercati in mezzo alle piazze più antitetiche. L’erba, d’inverno, viene sfalciata, caricata e portata direttamente in stalla. Una ventina di litri di latte al giorno cadauna, manze da carne in alpeggio e in caseificazione l’idea di portare quei due formaggi localmente acquisiti e localmente accettati: toma e maccagno. Senza nomi, con gradi di scrematura differenti e frammentarie aromatiche.
Il maccagno deve stagionare di più, ha occhiature allungate e una pasta elastica. Profumi corroboranti di fermentazione e retrogusti un filo piatti, da rimettere insieme coi tempi, le proteolisi, i composti azotati e l’ammoniacale. La toma a latte intero è particolarmente buona, ha stagionato abbastanza, soprattutto nelle forme più contenute, permettendo al tempo di fare il proprio lavoro enzimatico. La masticazione è perfetta, il resto vien da sé. Poi ci sono caprini presamici e simil fontine da rendere sicuramente più omogenee. Mancano un po’ di tempo ma il gusto del cliente non può essere intralciato. Se deve essere spontaneità, che spontaneità sia!
E così in questo tempo così distante dalla discussione e dall’inflazione, il luogo continua a portarsi dietro volti e presagi. Anime terrene rimaste sulla terra per lavorare la terra, senza inutili intingoli e senza sovrastrutture. Così bisogna tenerli lontani dalla fregatura e dalla sofisticazione, perché l’assuefazione è sempre un’arma a doppio taglio e il pendio del fare le cose per bene è sempre instabile…
CASCINA MONTEFINO
VIA REGIONE TAGLIA’ 1
GRAGLIA (BI)