Formaggi, gelosie e Appennino… Stefano Fogacci

Monteombraro. Il comune di Zocca si sente nelle curve, nelle braccia e nei cartelli che lo segnalano, a destra, a sinistra, in centro e a terra. Le strade si dissestano. Le arterie secondarie, quelle che tranciano frazioni definite da poche e rade case, da qualche albero di ciliegio che sale verso l’Appennino e dalla nostalgia di non aver mai pensato a come sarebbe l’indifferenza di Monteorsello se ce ne fosse un cantore, sono devastate dalle nevicate invernali e da passaggi rarefatti. Districandosi tra strade provinciali, crolli improvvisi e anziani coltivatori di princìpi ai bordi delle strade, ritrovo l’orientamento su una stradina che diventa una mulattiera, che costeggia degli alberi di antiche varietà di ciliegie di Vignola (poco produttive e assolutamente rapsodiche…) che sembrano querce da quanto sono imponenti. Niente filari, niente serialità, nessuna patina. Mi addentro senza sapere che ad attendermi ci sono due ore, un agriturismo ai confini del mondo e un uomo tanto estinto quanto rivoluzionario, per il suo incedere senza traguardi e senza ragguardi.

Stefano Fogacci, sua madre, un insolito studente francese con un libro di cucina emiliana tra le mani e il racconto vissuto di chi non dà troppo per scontato, una quindicina di vacche bianche modenesi (Il Motivo), qualche capra, qualche pavone, qualche anatra, alcuni avventurieri e dei fantasmi nemmeno troppo immaginati, ecco le pedine di un racconto che del sensazionale si fa un baffo.

Capelli fulvi e barba dello stesso colore, occhi blu polvere, sdruccioli di dialetto frignanese, frammisto ad accento e italiano sparso. Un vichingo o uno scozzese senza voce. E il primo approccio è sulla genetica delle sue bestie. La Nemesi è sempre in agguato.

Apre la stalla e inizia a spalare la merda, a mettere il fieno e la paglia, a pulire le cuccette e a riempire i secchi d’acqua. La radio accesa, la parola sepolta in domande mai poste (il mio fare è tra l’intrinseco e il deferente). Non c’è nulla di poetico in quei gesti, in quella rituale abitudine rispettosa e distante. È un mestiere e anche tra i più duri. Anche perchè, alla fine del mio voyuerismo e del suo lavoro, la merda rimane merda. Puzza, infesta e pervade le narici. Poi inizia a mostrarmi la fisiognomica delle vacche: a differenza del meticciato contemporaneo, le sue si distinguono l’una dall’altra. Nel muso che forma una V rovesciata, nelle corna che sfumano tra le varie tonalità del giallognolo, nel mantello bianco (ad eccezione di un vitello con mantello rossiccio, scherzo genetico da qualche antenato di razza reggiana…) e nel posteriore. Il replicante Roy Batty prende le sembianze di Stefano e inizia a dissertare di passato, quando c’erano le vere frisone, le vere brune alpine, quando le vacche erano qualcosa di domestico e non di produttivo, quando il parmigiano reggiano sapeva di Parmigiano Reggiano, quando la vacca Modenese era l’emblema di popoli e vallate. Poi è arrivata la benzina. La globalizzazione ha rapito valichi, razze e mestieri. Ecco la nostalgia di Stefano, uno straordinario allevatore contemporaneo.

Il posto è rustico, ma senza la controparte di smancerie, per radical chic cittadini, hipster alla ricerca del sollazzo e transumanti del fine settimana. È come se fosse troppo vero, troppo sincero. L’impatto è senza filtri, quasi disturbante. Stefano mi prende sotto la pioggia e iniziamo a camminare. Parla sempre con l’impressione di un interlocutore assente, forse impreparato, sicuramente lontano dal suo sentire. Così come Slow Food, quell’associazione in cui ha creduto, che lo sfodera nei convegni Internazionali, come “agité du bocal”, come il grande uomo di terra che ha estremizzato tutti i gesti per arrivare a qualcosa che fosse realmente genuino e che non può fare a meno di sputare contro gli specchi. E l’Agenzia si prende tranquillamente i suoi sputi e i suoi gesti ribelli, come un Principe di Salina con ancora meno volontà di cambiare. Stefano ne è conscio ma la parola è un mantra senza cui non potrebbe esistere. Vulcanico, lavoratore, egocentrico, vanesio, buono, geloso, generoso, solitario e solo. È una persona che ti chiama l’abbraccio se non altro perchè ti ha messo nudo a cospetto del tuo passato, delle scelte non fatte e delle abitudini alla condiscendenza.

Quando ci sediamo, mi mostra i video su Youtube dove può mostrare la sua istanza ad esistere, ad esserci, ad essere una voce fuori dal coro, che non abbassa mai la guardia di fronte alla facilità. Gli occhi fanno il resto.

Così, il gradino diventa un piano e l’obbligo a rimanere, sedermi e assaggiare diventa complicità.

Salumi di vacca con grasso di Mora Romagnola di Ca’ Lumaco…

Una sorta di ventricina di bianca modenese: ritagli di carne grassa fatti a mano… stagionatura un filo indietro, masticabilità metafisica. Un momento di silenzioso sollazzo. Eccezionale.

Carne salata: una bresaola profonda e stagionata. Un filo sopra nel controllo della concia ma comunque introvabile…

L’intermezzo, prima dei formaggi, è uno spassoso pezzo di stracotto modenese: si potrebbe finire tranquillamente qui… articolo, degustazioni e critiche… mi ha tolto la poesia di cercare ancora… incredibile, grasso, filamentoso, sapido, morbido… di tutto…

I formaggi sono il suo mistero. Li produce in cucina insieme a sua madre e non li vende… pentoloni, caglio, sale, latte e fermenti. La stagionatura è casalinga, la proteolisi casuale, le stagionature rapsodiche. Non c’è una linea, c’è solo una traccia. Le erbe, al pascolo per buona parte dell’anno, fanno il resto. Campo, fiori, amarezza, dolcezza, gusto. I colori vanno dal giallo al bianco, così come le stagionature. In bocca rimane una connotazione forte di una persona, di un prato e di una stalla. Forti, decisi, con una personalità incredibile. Ognuno, nella sua assenza di sofisticazione, è una botta alla sincerità e al caseificio da pulizia forzata e puzza sotto vuoto…

Stefano trae la forza dalla sua gelosia, dalla sua brama di farsi conoscere e dalla necessità di dovere essere solo per apparire diverso… e così, insieme al suo ragù (fantastico) e al suo patè, definisce la sua commercializzazione (scarsa…) e il suo isolamento… ed effettivamente non sono riuscito realmente a venir via… è una perdurante immagine che non riesco a sfocare…

 

AGRITURISMO TIZZANO

VIA LAMIZZE 1197

MONTEOMBRARO DI ZOCCA (MO)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *