Gofri: commerciare una familiarità… Marzia Jourdan

Pinerolo. Un punto di transito tra le valli Valdesi e la pianura, un luogo di industriosità borghese e di aristocrazia appannata, l’ennesimo retaggio torinese con i suoi porticati, l’acciottolato morfologico, le piazze chiare e il cielo opaco dai colori sbiaditi dove la notte è lunga e il risplendente è sempre una compromissione con l’uggia degli abitanti. Poche parole, molti riguardi, scenografia algida di luoghi che, appena voltate le spalle, rimarranno intatti nel pensiero ma decostruiti come emozioni. Sono luoghi poco empatici, dove s’inventano cagliate lattiche, gianduia e panettoni bassi e dove si cerca la città nonostante le dimensioni e il benessere di avere le Alpi a portata di macchina. Qui i colori pastello hanno ceduto il passo agli stabili di tre piani, funzione alogica di un Italia che ha accettato e ha provato a ricostruire, stipando le proprie risorse umane in una facile combinazione televisore-divano. In mezzo, insieme all’artigiano indeciso, quello che rientra dalla montagna o quello a cui manca il coraggio di esplorarla, l’incedere geografico dei gofri.

Marzia Jourdan, qualche anno addietro, ha deciso di investire sulla tradizione (insieme all’amica Erica Lazzarini da poco fuoriuscita dal progetto), su quel surrogato minore del pane che in Val Chisone, e probabilmente solo lì, ha mantenuto il tempo della partecipazione e della famiglia.

Le micche si cuocevano poche volte all’anno e duravano il tempo di un inverno, all’inizio della primavera arrivavano retaggi seccati e così, all’uopo, un impasto tradizionale, di acqua, farina e lievito, procrastinava il bisogno. Con l’aggiunta di latte e uova, Marzia lo ha proposto, prima nella Gofrimobile (food truck all’antica) e da qualche anno nel negozio in centro a Pinerolo, unica tra gli unici, ad avventori, locali e turisti.

Una base neutra che vira maggiormente verso il salato, il dolce è una sedicente imposizione. Il nido d’ape tipico del gofri (gaufre in francese) viene dato dalla piastratura che questo impasto, più liquido rispetto a quello del pane, subisce dopo una passata di lardo ad ungere i piani di cottura. L’origine medievale è quella francese dei dolci-salati, dei venditori di oublies, delle cialde come forma di accompagnamento povero e condizionato. Le padelle di ghisa sono un lascito clericale di metodologie di cottura dirette e senza fronzoli. Tre/quattro minuti e il croccante contestuale è pronto. Con abbinamenti popolari e ricerche più minuziose, come sui salumi di Silvio Brarda e Luca Gandione, i risultati sono piacevoli, difficili da immaginare fuori da qui, da queste valli e da questi palati. Noi continuiamo a mangiare le nostre nonne, in quell’insipienza borghese che difficilmente ci permette la sobrietà. E così rimango interdetto, Marzia è lì, con una passione un po’ scemante, una necessità di mantenimento e un gofri inusitato fuori da questi portici. La globalizzazione ha lasciato delle sacche, bisognerebbe, ogni tanto, provare a chiuderle…

LA GOFRERIA

VIA SAOIA 27

PINEROLO (TO)

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