Giaveno. Nessuna avanguardia culturale e nemmeno artistica. Un piccolo laboratorio nel retro di una tranquilla e solita palazzina di provincia. La zona antistante è occupata da trenta metri quadri dedicati alla vendita diretta, con un paio di scaffali, un paio di frigoriferi, qualche sacco di nocciola, ma soprattutto, accatastati uno sull’altro, sacchi da 60 kg di fave di cacao. Strette da una juta color cachi, resistente e con un pizzico di poetica, levano, da subito, la patina che si è creata attorno al mondo del cioccolato negli ultimi anni: prezzi elevati, giacche e cravatte, presentazioni minimaliste e strutture fiabesche.
Guido inizia a raccontare la sua storia: la pasticceria che aveva intrapreso si trovava, a metà strada, tra la sua reale passione e una maglia troppo stretta. C’era qualcosa che macerava, probabilmente qualcosa che non bastava più….
Torino, il cioccolato… e la magia.
Questa città aveva una tradizione, una cultura ruotava intorno al mondo della pasticceria e a quello della cioccolateria. Il solco abissale interpostosi con tutto il resto d’Italia, però, incominciava a sbiadire e a gettare fuori delle insane propaggini. Fantasmi cominciavano a risalire in superficie, abbandonando la notte e iniziando a trovare le ombre con un buco di luce filtrata.
Nessuno, a parte l’industria, lavorava il cioccolato, partendo dalla fava di cacao.
Alcuni dal concaggio, altri dal temperaggio… le partenze erano sfalsate, i prodotti sempre più standardizzati… e il gusto della clientela si appiattiva in una parabola dove Barry Callebaut, la multinazionale delle piantagioni, dominava (e domina…) il mercato, confondendo al palato “Barolo per Tavernello”.
Ecco lì Monsieur Castagna, all’origine del gusto… che non è altro che l’origine del processo. Solo lì ci può essere un autore e un produttore. L’unione crea l’artigianato, quello vero, quello dalle dita sporche, gonfie e sbucciate…
Guido, infatti, nel dialogo, continua a definirsi come produttore. Il fatto di partire dalla fava di cacao (probabilmente l’unico in Italia, tra i pasticceri) gli permette una definizione che è, nello stesso tempo, una caduta di significato e un’espansione di senso. Si perde il pensiero e si guadagna la mano…
– Selezione della fava (via la mucillagine e le pietre che possono trovarsi a seguito del raccolto)…
– Torrefazione: tostatura di mezz’ora a 120/130 gradi in modo che gli oli essenziali possano essere rilasciati, esaltando la parte aromatica…
– Rottura della fava: separazione tra la parte legnosa e il frutto vero e proprio…
– Pre raffinazione: Guido ha due diverse macchine: una con il fascino del tempo e della campagna, composta da una macina in pietra, l’altra a cilindri (più rapida, efficiente e spoetizzante). La fava passa dalla polvere alla crema e inizia a prendere le sembianze del cioccolato. Si aggiungono zucchero, latte e nocciole, ove necessario…
– Raffinazione: fatta con un mulino a sfere. Il maestro si sofferma, guarda e, probabilmente, si rimira. Nell’aria si inizia a respirare la differenza. La parte più importante. Quello che deve arrivarmi. È come se il cioccolato, come lui lo intende, nasca qui…
Ecco quello che in Italia, sostanzialmente (tranne rarissime eccezioni da dimostrare…) non fa più nessuno. “La cosa principale è mostrare il laboratorio. Se non lo mostri e inizi a raccontare…”. Ecco perchè Guido Castagna fa paura. Ha smosso le fondamenta ed ha iniziato a costruire. Partendo per il Sudamerica (era da poco tornato da una consulenza in Venezuela dove il concetto di “stato brado” si è manifestato nell’incapacità di tradurre il kilometro zero in buon cioccolato), cercando le piantagioni, investendo centinaia di migliaia di euro in macchinari e partendo da un concetto, poco persuasivo o sofisticato, come quello di “principio”.
– Concaggio: la temperatura a 50 gradi permette due cose fondamentali sulla strada della realizzazione, l’abbassamento dell’acidità e un lento affinamento in modo da dare fluidità al prodotto…
Quello che resta sono panetti di circa 2 kg che devono maturare almeno due mesi…
Ecco quello che fa qualcuno.
– Temperaggio: il cioccolato, attraverso il controllo della temperatura, viene fuso nuovamente in modo da dargli la lucidità desiderata…
– Incartamento: manuale per tutte le tipologie (una rarità), ad eccezione del gianduiotto per cui utilizza una macchina apposita.
Ecco quello che fanno quasi tutti.
Guido è una persona comunicativa, che guarda la domanda prima di porla e aspetta la risposta prima di controbatterla. Ama la natura e le cose pulite, non ha sovrastrutture, né imposte né affettate. Nel suo dibattersi nel mondo, ha una chiarezza timida e quell’allure di chi non ha mai smesso né di studiare né di imparare. La sua sensibilità, che pretenderebbe una bombetta e un filo di nebbia, si fa beffe della maniera. Sfiora sua moglie e guarda suo figlio.
Non può ingannare, ma non perchè dica in faccia tutto quello che pensa, ma perchè quello che pensa è come se trasparisse (anche nelle critiche. Mai all’uomo ma sempre al prodotto, ma non per piaggeria o per convenienza, ma perchè il suo sguardo non spia ma fantastica e dirada) al di là delle nuvole.
– Appare e porge un giandujotto…
Dissolvenza in nero. Lacerante bontà. Cacao rosso criollo venezuelano Chuao e nocciola delle Langhe (che in laboratorio subisce la stessa lavorazione della fava di cacao… a cominciare dalla tostatura) al 42%. Solo palato e lingua che s’impregnano di marrone e pasta e iniziano a baciarsi e leccarsi… dieci secondi di gentilezza e attrazione.
– tavoletta Madagascar e granella di fava: togliendo l’acidità, spariscono le certezze, gli snap e la ricerca di sapore ai lati della lingua. La prima è un cerchio nero senza appigli. Acidula con del fruttato e poco amara, si esprime bene e lascia tutta la granulosità della fava nel finale. Un tocco grezzo all’interno di quell’”armonia” che appiattisce tutte le tavolette verso uno standard. Quella con granella di fava è il suo prodotto che ho gustato con meno sapore e con meno sapere. Una miscela con un’aggiunta… forse troppo lontano da quelle stesse fave (Barlovento del Venezuela), tostate e ricoperte di cioccolato fondente, che vanno a comporre delle dragees, al sapore di cacao, di bontà infinita… L’attesa non è stata ripagata, probabilmente non avrei dovuto cercare…
– tartufi: di varie tipologie, con granella, amaretto, cacao o maraschino. Non importa quale e nemmeno quando, ma ognuno di loro è qualcosa che rimarrà indelebile molto oltre la memoria, creando un solco di pregiudizio e una pietra di paragone. L’andare e tornare cancellerà per sempre la ricerca in questo campo. In quelli al maraschino stupisce l’arrivo dell’amaretto come a voler dissuadere la dolcezza, mantenendo un equilibrio. Esaustivi e solitari.
– E poi c’è la spalmabile +55, con il 68% di nocciola, che non necessita di ulteriori delucidazioni che non supportino uno stato emotivo confuso e alterato.
Quando me ne vado, lì non rimane nessuno, ad eccezione della neve che inizia a scendere copiosa. È tutto molto sfumato… Come le tracce di un volto che non ricordo neppure sforzandomi, come i nomi delle ragazze che incartano e i colori delle macchine che macinano e tostano… come quelle volte che si pensa alla persona amata che il tempo ha rapito nel volto, lasciandole i pregi, le sicurezze e i tratti più lascivi… ecco la storia di un cioccolato memorabile…
GUIDO CASTAGNA CIOCCOLATO
VIA TORINO, 54
GIAVENO (TO)
VIA MARIA VITTORIA, 27/C
TORINO