Bergamo, anche sotto la pioggia. Una di quelle città da boulevard e da decoro, dove mostrarsi, tra gli acciottolati del centro, diventa sempre l’immagine di qualcosa di passato. Ci sono le vetrine ma c’è una cultura, soprattutto nella diversità: in primis, dalla sua provincia, a volte rozza, a volte poetica, in seconda battuta dal classico capoluogo nebbioso. È come se Bergamo ridesse indietro la nobiltà di fare quattro passi, di innamorarsi e di vedere le cose per la prima volta. Non è questione di bellezza, di città alta e di città bassa o di eleganza, è questione di persone che invitano a rimanere, sia perchè non deprezzano la città, rendendola turistica o universitaria, sia perchè non la sovrapprezzano (manco fosse un formaggio serbo da latte d’asina…). Quelle colonne tozze che conferiscono forma a portici bassi, rendendola una città cantuccio, ridanno la passeggiata in quanto passeggiata. I colori pastello delle persiane straniscono perchè non te le aspetti. Anche in una giornata di pioggia che, nonostante sporchi, parte con l’apparenza di un fiore immaginato e di un tavolino preso in prestito ad Arles e mai restituito… Ecco Piazza Pontida.
L’Art Caffè è un gioiello di concretezza che parte da lontano.
Brescia-Bergamo-Milano. Un asse facile, molto industriale e molto rievocativo, almeno per un tempo libero che non c’è più.
Fine anni ’80-inizio anni’90, Milano era nel fermento degli aperitivisti, degli yuppie, degli affaristi e degli uomini che avevano abbandonato il giornale per più consolatorie guepiere astratte da stacchetti televisivi. Erminia e Tullio gestivano un locale in via Bligny, il fulcro del “rampantismo”. L’Università Bocconi a due passi e qualcosa che assomigliava ad una somministrazione di qualità come appariscenza. Selezione di tè, un paio-tre di miscele da servire al banco, prodotti ricercati, rapporto diretto con il caffè Bonomi e un progetto che poteva essere esportato.
Le drogherie, come le botteghe, come i negozi di vicinato, in quegli anni, iniziarono le loro difficoltà (ora è un retaggio culturale da libro di usi e costumi…). Con Bonomi e con la Coloniale (viva, vegeta e sempre più enoica…), e forse anche con la Centrale del Latte, si era studiato un rilancio: vecchie latterie in procinto di chiudere, con proprietari anziani e dove il latte, come unica fonte di reddito, aveva espresso tutta la sua potenzialità, avrebbero ceduto a giovani con nuove capacità imprenditoriali da far ruotare intorno al caffè e al suo servizio. Artigiani-imprenditori. Ma il progetto naufraga per divergenze di idee. Loro si ritrovano con conoscenze e un ticchio nella testa: il caffè. Tullio decide di andare oltre, si affida ad un maestro e inizia a girare. La contrapposizione, appena agli albori, tra grandi e piccoli (ma non quelli tipici da centro cittadino, affiliati a qualche casa, con miscele già pronte…) torrefattori di qualità aveva determinato, nella possibilità di scelta, due strade perseguibili. Illy che, per distanziarsi dai competitor dei tempi che furono, disse “sempre arabica e mai robusta” e Gianni Frasi che, per staccarsi da colleghi e colossi, disse “monorigini altro che miscele”. Tra queste strade, segnate in indelebile, Tullio si è dovuto muovere: con ardore ed equilibrio.
In mezzo: miscele con i propri segreti, arabiche, Presidi Slow Food e robuste. Senza il vezzo della piantagione o dell’ossessione, ma con una linea comune e chiara: bevibilità e ricerca.
Caffè Terre alte di Huehuetenango (Guatemala presidiato): di solito è un caffè che non mi convince, ha in sé qualcosa di rancido e di sporco che molti torrefattori non sanno trattare. Qui è l’anticamera della meraviglia. Espresso. Si ferma in bocca, la gola non viene toccata. Tostatura forte che si sviluppa nel retrogusto con alcune “classiche” note di cioccolato. Impatto acido e pultissimo. Veramente buono. Tullio lo guarda con soddisfazione ma, ogni tanto, ci vorrebbe uno specchio…
Tutto il resto, dal cappuccino alla cioccolata (tentativo di Erminia di mettere da parte gli addensanti…), ha un perchè, chiaro e intuitivo… ma dopo quell’espresso, è come se andasse a sporcare il foglio…
Tullio lavora in due direzioni: la tostatura e l’estrazione. Caffè verdi, gradazioni mirate e una macchina che si porta dietro dall’inizio (da alcuni test milanesi in mezzo a condomini riluttanti e olezzo di città…). Non crede ai dogmi e alle basse temperature come pietra filosofale dell’aroma. Crede alla scale: ad ogni momento del chicco corrisponde una sua temperatura. E con l’amore verso l’unicità, anche nella macchina dell’espresso ha trovato un differenziatore di miscele: temperature/pressioni diverse, per origini così lontane. Così i suoi Sidamo, i suoi Santos, le sue Plantation, le miscele di arabica (con la moka ridanno un blend aromatico e dolcissimo…) e le loro cru hanno e ridonano qualcosa di originario e di originale, senza forzature. E anche quando un po’ di demagogia e un po’ di progressismo fanno capolino, quel legame, molto terreno, con l’imprenditoria torna con tutta la sua forza…
… il caffè è una bevanda popolare e così deve essere… sia nei prezzi che nella facilità degustativa… “L’artigianalità come proposta di cambiamento nel mondo del lavoro”. Formatori, divulgatori, artigiani e imprenditori…
Erminia ha una sicurezza che, allo stesso tempo, m’impaurisce e mi stupisce. Il suo lavoro sembra più una missione che un desiderio, con tutto quello che comporta in termini di solitudine, ascesi e ostracismo. Piccoli in un mondo di direttori commerciali in giacca scura… e i clienti? i gastronomi? gli chef?… fascino da alto bordo travestito attorno ad un palo…
ART CAFFE’
NEGOZIO:
PIAZZA PONTIDA 27/A
BERGAMO (BG)
TORREFAZIONE:
VIA DELLE INDUSTRIE 4
FORNOVO SAN GIOVANNI (BG)