Jancarossa: archeologia del limone siracusano… Monica Fiumara

fiumara

Siracusa s’immerge in una continua stratificazione di non-sense, stupori, punti di vista e coercizioni. Ma soprattutto è un luogo di contrade dove l’archeologia si è declinata nelle forme dell’avversione. E così si è smesso di raccontare. L’itticoltura è rimasta uno sguardo sulla baia di Ortigia e le colture orientali, qui, han preferito l’adattamento all’abbandono. Eccezione fatta per il riso, ormai scomparso, la nobiltà era un fatto di architettura e di irrigazione. Tutti guardavano Siracusa come la Silicon Valley del mondo antico. Anzi molto oltre. Ancora riecheggiano, nelle leggende raccontate sul castello Eurialo, in mezzo a stoppe, centri commerciali e vedute del petrol-chimico, le astuzie, i trabocchetti, la sapienza e l’immane paura di essere defraudati dei tiranni locali. Da Gelone a Dionigi fino ad Archimede, questa è terra di geni e di paranoidi. Invenzioni, naumachia e agricoltura, i siracusani hanno creato un parco giochi di colonie, hanno sconfitto tutti e sono stati conquistati da tutti. Così sono arrivati ad oggi nella lamentela di un disagio e di una burocrazia che ha reso indietro un fazzoletto straordinario e del resto ha lasciato un’impossibilità…

Qui in mezzo, il femminello siracusano.

Monica Fiumara è l’antitesi rappresentativa del prodotto tipico, è l’immagine più lontana e iconoclasta che possa mai fantasticare, è l’emblema di una lotta poco integrata alla privazione terriera. Qui, nella limonaia d’Europa, trovare la schiettezza di un’assenza è una beneficiata senza ombra di smentite. Qui, dove ti spaccerebbero come locale pure la neve se avessero una faccia dietro cui nascondersi, Monica paga la totale assenza di limone siracusano, almeno fino a marzo 2016. Pochissimo prodotto convenzionale ancora disponibile e attesa per il marzo a venire. Con dovizia d’immaginazione è riuscita a tirar giù dalla pianta dieci verdelli. Una serietà che di locale ha giusto una parte d’accento…

Padre coltivatore-proprietario terriero e madre milanese con cadenza mai persa. Decisa a rimanere in Sicilia, sola con una figlia, ha dato credito al lavoro di famiglia con quel poco di nebbiosa burocrazia che la sua tempra non poteva nascondere. Così è una delle fautrici dell’Igp del limone siracusano, del consorzio di tutela e l’antitesi di quella strada che sua figlia Monica aveva deciso di intraprendere. Qualche studio milanese e rientro a casa.

1994. Agli albori del biologico, in una terra dove l’espressione non è mai uguale all’esecuzione, è stata dissacratrice, colta e “incazzusa” quanto basta. C’è molta ragione nel rapportarsi a lei, la caduta ironica è già una penitenza. E così il mio approccio deve sobbalzare sempre sulla provocazione. Archeologica, grande conoscitrice dell’agricoltura e della sua città. Amata dietro il velo. Ha deciso di sporcarsi le mani e di coltivare limoni, arance Valencia, avocado e olivi. Se l’anno è quello giusto, se le piogge rispettano le piogge e il caldo il caldo, le sue piante possono avere sei fioriture in un anno. Gli spagnoli, in viaggio d’istruzione, sono rimasti sbalorditi. Ma se l’anno è come quello passato, non c’è speranza. Primofiore, bianchetto e verdello rimangono in letargo e la vendita con loro. Ecco cosa vuol dire fare agricoltura seriamente su dodici ettari di terreno.

Coratina, Carolea, Zaituna e Nocellara del Belice. L’olio è pulito, acidità inesistente, polifenoli alti, verde, leggero, frutta e carciofi il giusto, con una piccantezza fuori dal comune. Molto buono anche ad un anno di distanza. Non ha mai visto vetro ma solo latta. Ma l’assenza di ossidazione non interessa più alle guide… l’importante è una degustazione coesa, insieme ad una giuria di giurati giuranti che giurano di aver percepito un retrogusto di carciofo spinoso di Menfi.

Il femminello sinuosamente si riempie e tende i suoi rami verso terra e, da ottobre a settembre, si raccoglie a ciclo continuo. Il verdello, quello che trovo e quello che ha creato la leggenda grazie alla sua buccia e alla bilanciata acidità del suo succo, è perfetto, schietto, senza amarezze. Bisogna solo saperlo trasformare e così Monica ha trovato un manipolo di estimatori che, dal gelato alla birra, dal cioccolato alla crema fino alla granita, cercano di sublimarlo in quelle espressioni più melliflue dei due limoni al giorno spremuti, dieta giornaliera anti-crisi di Monica e di sua madre.

Contrada Jancarossa è un luogo inesausto, naturale, con quell’abbandono da latrato che appare in mezzo a mandorli bruciati e muretti a secco. Il tempo è un luogo di principio dove arrivare ad un’azienda agricola che è anche cooperazione. Perché Monica sta cercando di tirar fuori dalle secche agricoltori siracusani e agricoltori siciliani, provando, attraverso la comunicazione, a rendere la vendita un fattore culturale. E lì c’è quello scontro con l’icona e con il simbolo di questa terra. La realtà è un ozio molto al di là di qualunque critica e così la terra non si salvaguarda sola. Qui in mezzo si gioca la battaglia per la civiltà… ci sono prime linee, retroguardie e codardie… “a ciascuno il suo”…

AZIENDA AGRICOLA JANCAROSSA

CONTRADA JANCAROSSA 17

SIRACUSA

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *