Frazione Clusio. Malles Venosta. I confini dell’impero sono lì ad un passo, in un trivio altoatesino, dove Italia, Svizzera ed Austria si scambiano i ruoli, le lingue, le culture finanche le tradizioni. Un’enclave senza appartenenza, precristiana, rituale, legata visceralmente alla natura, alle montagne e alla loro immagine. Quel che c’è di proditorio, è scacciato in un’ideale di bellezza che non può che sopraffare ogni volta che si aprono gli occhi e ogni volta che si chiudono gli occhi. Manco fossimo in un romanzo di Morand, qui il Sud Tirol, con quelle contraddizioni da landa deferente e dirompente, si riappropria della terra, definendo orizzonte, cielo e confini. Tutto è più chiaro, soprattutto in una giornata di sole, con quel monastero che si lascia catturare come fosse un sanatorio (dove senti apparire, dietro le finestre appannate, il fantasma di Hans Castorp), con quei tornanti che portano al Passo di Resia, col suo lago ghiacciato, il campanile a mezz’aria e le Alpi Retiche da sfondo, e con quell’orizzonte che spazia verso la Svizzera e lo Stelvio, prefigurando libertà, fuga, astrazione ma soprattutto illusione. Perchè il sole non è il compagno di sempre e perchè la neve che si scioglie non è che l’incosistenza di giornate qua e là. La regola è fatta di molto candore e di troppa immaginazione…
Qui, poco prima di un ponticello in legno e molto oltre l’invidia, ha conciliato desideri e bisogni Alexander Agethle, un apolide allevatore contemporaneo.
Englhorn è la sua fattoria. Una stradina nascosta, una casa diroccata a fianco e una trattoria, più tradimento che tradizione, innanzi, ad interdire il parcheggio ai viandanti. Una ventina di mucche, contate per eccesso, che fanno pennichella e passeggiata post-prandiale, tutti i giorni dell’anno (eccezion fatta per l’alpeggio), in un prato adiacente la struttura. Quando rientrano, si sistemano nella stalla costruita, accucciata, al di sotto dell’abitazione di famiglia.
Due grigie alpine, timide, da poco arrivate e a breve partenti (non per mancata integrazione o per qualità del latte, ma perchè ad Alexander interessano le brune… la sua passione mette mano al portafoglio in viaggi sperimentali, tra il Canton Grigioni e le Ande…). Quattro brune originali e il resto composto da Brown Swiss (incroci produttivi svizzeri-americani), lascito del padre allevatore e vincitore di concorsi e mostre: campanacci in bella vista e oltre sessant’anni di amore e di vanità.
Ma il padre non era un trasformatore e nemmeno uno strenuo cercatore. Così, Alexander si è formato accademicamente a Firenze e lavorativamente a Garmisch, rientrando a Malles per perseguire un sogno (per noi instabili metropolitani, in perenne fuga da stress e quotidianità) o un’illusione (per i valligiani dediti alla consegna del latte alla Mila di Bolzano): tornare all’origine degli insediamenti bovini sull’arco alpino, Brune e ricerca del seme originario e originale. Prezzi d’acquisto tendenti al lussurioso e inizio di un percorso in biologico. Dai novanta quintali di latte all’anno del padre ai cinquanta/cinquantacinque dell’odierno incedere.
La squadra è un pentateuco para-familiare. I suoi genitori, saggezza e ricordo, la moglie Sonja, cuoca contadina dalla mano raffinatissima già raffigurata su libri gastro-atesini, lo stesso Alexander, l’allevatore e l’innovatore, e Max, amico e casaro.
Basi solide e pochi fronzoli, lavoro intensivo e cura maniacale di stanze e caseificio, pulizia certosina, tutto acciaio con il rame abbandonato per costi troppo elevati. Le linee guida sono quelle di Alexander, nell’approccio e sicuramente nei formaggi. Il resto è merito di Max e della sua serietà. Le sperimentazioni sono graduali, mai eccessive. Le cagliate lattiche e le croste fiorite non sono di queste lande. Le trasformazioni finali da sei o sette sono diventate tre, oltre una ricotta sporadica e un burro (di rara bontà), per affioramento, quelle volte che si decide di scremare. I tre caci sono a latte chiaramente crudo, lavorato da più mungiture, a volte su più giorni (questo è uno dei nodi di perfettibilità… se solo i ventisette allevatori, proprietari dello stabile dirimpetto, vecchia latteria sociale ormai in disuso, si mettessero d’accordo per la vendita… il futuro di un formaggio giornaliero e di una quantità di vacche più consona sarebbero realtà…), a temperature più basse della media casearia: una pasta molle, Arunda, una pasta semidura, Tella, e una pasta dura, Rims. I nomi, stilizzati in un bellissimo catalogo di presentazione, prendono forma da tra vette sovrastanti Malles.
L’Arunda è qualcosa di assolutamente unico. Uno dei migliori formaggi mai assaggiato. Al dente arriva come taleggio. Crosta lavata poco disturbante senza accenni a sapori estranei. La pasta, bianco virginale, affonda al calore, sciogliendosi in profumi di pascolo, montagna e fiori, fino all’allibito finale, composto da retrogusto amarognolo con note e bocca di noci. Il Tella è un prodotto in potenza. Ha un futuro, bisogna solo trovargli la strada. Parzialmente scremato, stile da “caciotta”, un paio di mesi di stagionatura, pasta burrosa giallo paglierino, estremamente versatile in trasformazioni gastronomiche, meno nella solitudine. Si accennano fragranze e sapori, ma non arrivano a compimento. Epochè. Il Rims ha la struttura dei gruviera svizzeri e dei comtè francesi, la dolcezza all’impatto, la compattezza della pasta e il lavorio dei denti nella comprensione. Un anno di stagionatura, aromi spogli quasi bruciati, gusto indefinibile e indefinito. La storia, la tradizione e il silenzio commistionano ed implodono in un attimo lontano. Eccezionale.
Alexander è conscio dei suoi successi, delle capacità di Max e delle sue, produce uno dei migliori formaggi dell’Alto Adige, e probabilmente d’Italia, ha la timidezza del secondo piano, come quelle mail incentrate a decantare artigiani amici e bravi, piuttosto che tese alla mostrazione di sé, della sua dialettica e della sua famiglia.
Epitome:
un luogo ameno, dove l’adozione delle mucche, come metodo di sostentamento e di abbandono della moneta, sarà solo l’ennesimo passo verso la vetta e verso l’anonimato, un luogo affrancato da faciloneria e reticenza verso l’Italiano, un luogo dove Alexander, quell’apolide allevatore contemporaneo, diventa straordinario e declama, a suo piacimento e desiderio, un decalogo di sopravvivenza alla bruttura e all’ingenuità apparente di un Alto Adige, anche lui vittima di predatori e menzogneri…
CASEIFICIO ENGLHORN
FRAZ. CLUSIO 8
MALLES VENOSTA (BZ)