Milano. Via Montepulciano. Macelleria Pregiate Carni Piemontesi. Quello che fu il posto di lavoro di un mito dell’artigianato milanese: Ercole Villa. Uno dei primi, in Italia, a guardare verso il Piemonte e a quelle bestie così bianche e così tenere che, come dice Bruno “si mangiano dal muso alle zampe”.
Bruno Rebuffi e Mauro Brun sono gli eredi, con sangue poco nobile, di un grande Maestro che, prescindendo da parentele e discendenze, ha fatto una scelta, cedendo loro tutto quello che poteva cedere: conoscenze, fornitori, dipendenti e finanche il negozio.
Sabato mattina non è il momento migliore. Il piccolo negozietto è pieno. Mi infilo. Osservo. Mi faccio superare da tutti e mi tengo per ultimo. Bruno accontenta i clienti. Taglia ossibuchi e fiorentine senza molte parole ma con qualche sorriso. Saluta quasi tutti per nome.
Arrivano le 13. Il negozio deve chiudere. La cassiera va a casa e anche i quattro dipendenti. Lui rimane. Mi squadra. Poco abituato, mi interroga. Poi si rilassa. Chiude bottega e inizia a raccontare.
Piccoli allevatori, disseminati per il Piemonte. Nessun rapporto con il presidio della Granda. Fassona e bue grasso. Qualcosa di maiale, coniglio di Carmagnola, polli certificati bio. Qualche foto alle pareti che mostra famiglie intere al lavoro per mantenere alta la qualità. Sotto, un po’ nascosto, un decalogo del cibo permesso alle proprie bestie. Coltelli bene affilati e il concetto di “prova” sempre ben presente.
Ancorchè la mia fiducia sia totale, Bruno si sente comunque in discussione.
– Passato.
Anni di diffidenza e scetticismo. Viene da una famiglia numerosa. Periferia milanese. Non molta voglia (e probabilmente meno possibilità) di studiare. Ha iniziato a lavorare in bottega a quattordici anni. Ha imparato la professione. Ha cominciato a guardare, con malcelato orgoglio, quelli che si sono persi. Lui aveva un obiettivo. Non fare cazzate. Rimanere se stesso. Andare a dormire presto dopo il lavoro e continuare a macellare. Ercole Villa, prima che un modello e un sogno, è stato un obiettivo. Andava corteggiato e conquistato. E così è stato.
I primi tempi sono passati attraverso una clientela con l’immaginario del macellaio dalle mani callose, dalla barba sfatta e dal viso rugoso causa di passati insonni in mezzo a mattatoi, fieno e fattorie.
Il suo viso (e quello del suo socio Mauro) giovane, con lo sguardo da rock star e la parlata a sfiorare la modernità, non convincevano i clienti. La diffidenza era all’apice. Nessuna spiegazione razionale, solo una questione di fiducia. La volta che ha lavorato con loro un anziano collaboratore, tutta la clientela si è rivolta a lui, convinta fosse la reincarnazione di Ercole Villa, l’unico a poter benedire un rapporto immobile, attraversato da anni di cene, calici di cristallo, panettoni e da quel sapore di carne che nel tempo non è mai cambiato, soprattutto nel solco del ricordo.
Ma Bruno e Mauro sono testardi. Non hanno cambiato pelle ma hanno rivoluzionato la clientela. Senza trucchi o stravaganze, ma lasciando parlare la carne, l’unica cartina di tornasole che mette le rughe e fa tornare la nebbia.
– Presente.
– Mi fa assaggiare un pezzo di fettina di fassone cruda: pochi giorni di frollatura (questo è il marchio di fabbrica di quasi tutte le loro carni, accanto all’idea che le bestie debbano muoversi il meno possibile, per mantenere, non solo un sapore sopraffino, ma una morbidezza senza eguali), colore rosso veneziano, accompagnata a pepe e sale di Maldon: un odore assuafacente che obnubila e fa dimenticare i peccati, non lasciando nemmeno spazio al sapore. Ti lascia secco e io mi son fermato lì con lui.
– Fiorentina di bue grasso: qui gli chiedo della Chianina. Mi risponde che permette solo un taglio e che vive di leggende. Il resto (essendo una razza prettamente lavorativa…) si presta male. Troppo dura. Lui rimane ligio ai suoi animali. Filetto e controfiletto meno marmorizzato (anche se delle adeguate infiltrazioni rimangono) rispetto ad una Chianina, con uno strato di grassi insaturi sul bordo a proteggerla, renderla morbida e insaporirla. Colore rosso chiaro brillante. Di una morbidezza da auto tagliarsi. Gusto sapido e mellifluo, con i succhi perfettamente distribuiti (dopo un adeguato riposo) e colore rosa caldo.
E poi la culatta di bue (fatta arrosto, con pochi aromi e meno aggiunte, rilascia in bocca l’attimo di un ricordo), il coniglio ripieno, la scottona, il gran bollito misto e tutto il resto. Senza arroganza, senza sicurezze eccessive. Con quel modo di fare signorile che ha capito che ogni cliente ha le sue inclinazioni e che ogni rapporto comincia, dove finisce l’intimità che l’altro mantiene di fronte ai propri bisogni e ai propri desideri.
E così Bruno rappresenta un dubbio in un mondo di certezza apodittiche. Potrebbe avere un palco, ma si accontenta di una timida bottega… e questo lo fa sembrare lontano, cavalleresco e gentile…
PREGIATE CARNI PIEMONTESI
VIA MONTEPULCIANO 8
e
VIA DELL’ANNUNCIATA 10
MILANO (MI)