La quotidianità della pasta… Famiglia Vicidomini

Castel San Giorgio. In quel lembo di Agro Nocerino Sarnese senza orizzonte. Un paese di collegamento e di serenità. Quella Campania un po’ stinta, in attesa del pittoresco e del ruffiano. Il turista è lontano e l’ibridazione vicina. La gentilezza dei volti e la difficoltà a trovare una coltivazione di San Marzano restano tra le righe come quel retaggio da resa alla competitività. Tutto viene sostituito, le colture e i pastifici. L’arte bianca, in questa cerniera di terra assolutamente espressa dai profumi, è ormai rappresentata esclusivamente dal Pastificio Vicidomini: la presenzialità di un territorio di pastai, almeno nella memoria. L’attualità e la produttività hanno abbandonato i luoghi storici, come l’agro o Torre Annunziata, elevando paesi come Gragnano a tenutari di una tradizione e di una regione che nel lavoro della semola ha impiegato il suo sudore e le sue facce. Tutto, prima che Barilla, e questa non è una sineddoche ma un assolutismo monopolistico, ha costretto il grano duro al servizio del prezzo e della comunicazione. E così i formati storici sono stati affiancati dalle invenzioni dell’industriale del nord, ormai subentrati nell’immaginario e nelle tavole popolari. La gran parte dei piccoli pastifici ha chiuso e le grandi aziende, anche in Campania, sono entrate nel girone infernale della concorrenza da prezzo e da grano. Le provenienze sono le più varie, tra i grandi e tra i piccoli. A resistere sono in pochi.

Lontano dagli occhi, ad un passo dalla periferia dell’impero, la famiglia Vicidomini ha resistito, mettendo da parte la contemporaneità e la velocità, quella che ha trasformato un piatto di pasta nel surrogato di se stesso: stress, giornata lavorativa, rapidità d’esecuzione, sugo già pronto e dai cinque agli otto minuti in acqua bollente. Nemmeno il tempo di rilasciare gli amidi…

Qui il concetto di lentezza non è né un principio né una moda per creare attesa. È semplicemente una necessità.

L’idealità italica che lascia nella convinzione di essere il granaio del mondo si scontra con il mito mussoliniano-futuristico del bando della pasta. Valorizzazione del riso autoctono contro l’egemonia del frumento estero. Mussolini, però, ha perso su tutta la linea, anche quella alimentare. E l’impossibilità di sfruttare grano italiano, nella sua totalità, è diventata istanza di principio. E così meglio quelli canadesi o turchi.

I mulini si adeguano o si adeguano i pastai? Si governa la filiera e si ricerca il sapore. Senza segreti. Soprattutto, se la qualità non è una nicchia ma una quotidianità. Il prezzo rimane accessibile e la qualità, abbandonando i contadini, ritorna nelle mani degli artigiani. Una parte di semola italiana resta e si adatta. I retaggi dei vecchi molitori di mangimi e topi hanno disilluso l’Italia dalla qualità. Luigi e Mario Vicidomini, discendenti diretti di loro padre, di loro nonno, del loro bisnonno e del loro trisavolo, hanno preso un sapere dall’800 e lo hanno attualizzato al gusto contemporaneo. La pasta, nella sua fragranza, nella sua tenuta e nella sua struttura, è qualcosa di assolutamente raro. Estetico. E l’incredibile definizione non rimane avvolta in un packaging urbano, ma negli straordinari colori e nelle conturbanti forme del grano.

Semola di frumento duro di Altamura e canadese. Oltre cento formati diversi. Trafile in bronzo, per tutte le tipologie (alcune vengono attutite e uniformate con il teflon), che danno quella rudezza, un filo grossolana, che fa della pasta un unico.

Non essendo un “lurido mangia maccheroni” accoppio un po’ a casaccio sughi e formati. Dove la colpa è del cuoco, la pasta è salvifica. Una panacea di tenuta e giorno dopo. È il grano a non scuocere mai…

Da un passato di essiccazione all’aria aperta (per la felicità degli organi accertatori) si è passati alle “Celle Cirillo”. Dai tre ai cinque giorni di esposizione a varie correnti d’aria. Tutto lo fanno i formati e quella straordinaria cantina, con volte a vista, che, nel suo mistero, rende l’artigianalità profana. L’uomo non può resistere e non può carpire.

Le massaie si avvicinano agli scaffali, alla ricerca del pranzo o dell’omaggio al lutto, eccezionale spaccato di una tradizione meridionale fatta di morti, colore nero, confezioni di caffè, caramelle, pacchi di pasta e visite al capezzale. Più la scala degli affetti si allontana dall’origine, più l’omaggio diventa rituale, quasi consolatorio. Così le donne non cercano la pasta, ma cercano una pasta, a costo di uscire senza. Così le trofie non sono i cavatielli che non sono gli strozzapreti. Le candele (qualcosa di metafisico fatte con le sarde…) non sono gli ziti e le bombarde non sono i cannelloni. Ad ogni pasta il suo sugo e la sua quotidianità. Ecco l’essenza del pastificio Vicidomini. Enzo, in America tra business ed affetti, mi lascia nelle mani di suo fratello Luigi. Una persona che abbisogna di tempo: per affabulare, per convincere e per empatizzare. Un uomo dal fascino scondito, quasi grezzo. Così innamorato del suo prodotto, da non lasciare nulla per scontato, nemmeno l’onestà. E così lo lasciamo noi, con gli occhi cisposi dal poco sonno e la voglia di portarsi a casa il negozio. Storie poco urbane e poco affaccendate in un sud che, nonostante le pecche, gli errori e le normali cadute, continua a resistere… nonostante se stesso…

 

PASTIFICIO VICIDOMINI

VIA GUERRASIO 63-65

CASTEL SAN GIORGIO (SA)

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