La ricerca dei Sé… Luca Ori

Parma è una città che mi lascia mediamente indifferente. Tanti studenti, tanti monumenti, tanta borghesia, nei vestiti e nei nasi. Abbastanza voglia di chiacchiera e ancora di più di botteghe gastronomiche. Gli stranieri felici, con il prosciutto di Langhirano e un Parmigiano equamente invecchiato e sopravvalutato, prendono possesso dei ciottoli e del caldo diluente, lasciando ai cittadini i parchi e qualche quartiere pittoresco, al di là del centro e dell’impossibile decriptazione dei parcheggi. La bellezza è tutto ciò che resta. Forse è tanto e forse è poco. Quelle zone d’ombra, fatte di umori e vicissitudini, si perdono tra i viali alberati e le costruzioni ducali, si perdono nella definizione di provincia. Parma è l’epitome della città di provincia. In questo risiede la sua grandezza.

In una delle strade che portano dalle piazze verso le diramazioni, senza baldanza, appare un piccolo locale antitetico all’italica eccellenza. Una lunga e stretta pasticceria che del cognome del titolare ne ha fatto un vezzo. Nero e oro. Soffitto basso, forma che richiama i sottomarini o le onde di Pipeline. Attesa godibile che ammazzo, osservando le richieste e le gentilezze delle ragazze al bancone. Di solito tralascio, ma qui spezzo: informali e appassionate con, oltre la voce, anche occhi ed orecchie.

Luca Ori arriva e si congeda subito con garbo… assiste ai preparativi di un matrimonio etnico, con richieste morigerate e un po’ di confusione sulle definizioni da dare. La “progettazione-di-torte” ormai è parte della quotidianità del benessere. Il cake-designer va sfidato sul suo terreno, partendo dalle stesse coordinate e stravolgendo la struttura di “torta” dall’interno: quello che fecero i poeti della Negritude e quello che fece Jean Genet contro il linguaggio dei Giusti. Utilizzare il significante, svuotandolo di significato. Il pasticcere, costretto ad utilizzare gli stilemi del designer, per adempiere al desiderio indotto del cliente, deve fare esplodere dall’interno sapori e saperi. E così anche Luca si è adeguato e ha ricostruito.

Da due settimane è tornato in sella alla sua struttura. Due mesi di aspettativa per capire dove e perchè. Alzarsi tutti i giorni alle quattro di mattina, creare dolci, intrattenere senza contemplare. Capire la natura e poi deciderne se farne parte. Dopo il distacco, il silenzio e l’astinenza da dolce, è arrivato il momento mistico, forse “fantastico”. Il Cammino di Assisi. Quelle due settimane, tra boschi, conventi e rifugi per provare a pensare, a staccare e a ripensare. All’artigianato, alla pasticceria, ai motivi forti e alle markette convenzionali. Momenti di silenzio da una volta nella vita. Et voilà di nuovo il pasticcere.

Pasticceria di livello nel centro di una città italiana? Ecco l’eccezione che mi mancava. Quell’imprenditore, senza una storia centennale alle spalle, fatta di ricette polverose ed eredità familiari, che è anche pasticcere e che, dopo i primi anni a combattere per lo spazio tra bottega e laboratorio, ha deciso che era ora di accogliere quel po’ di Mitteleuropa che insegna a dosare, a determinare e a razionalizzare. Laboratorio di oltre 400 metri quadri in un capannone ai margini della città e a ridosso delle autostrade e negozio piccolo, funzionale e decorativo ad arrichire quel centro di Parma, adornato con botteghe storiche e con lustrini di una secolare tradizione gastronomica che, letteralmente, è finita nel girone dei morti e dei sepolti.

Il suo peccato è quello del tempo. C’è ancora l’offerta invernale perchè quell’estiva è nella sua fase d’elaborazione conclusiva. La mia casualità la sfiora solamente. Così dovrò accontentarmi…

Colazione parmense: zabaione e cannoncino (allo zabaione o alla crema pasticcera). Nella fugacità di un pensiero di trasferimento, mi accorgo di come i cannoncini siano separati dal resto dei mignon e allineati, su un palco di legno, insieme agli altri lievitati della mattina. Ripreso dalla confusione, mi accorgo dello zabaione venduto in bicchieri. L’abitudine è un segno di rispetto. E così la cremosità dell’impasto si fonde con la sfoglia, rilasciando convivialità. Sfoglia strutturata, croccante ma non friabile. Zabaione licenzioso ma crema pasticcera sublime. Poca vaniglia e pienezza dell’uovo. Questa la base. Così nella millefoglie, poco estetica, ma corretta, e nella pasticceria mignon: le frolle sono “frolle” (poco strutturate, ben equilibrate, assuefacenti ai denti, come da definizione, ancorchè le materie prime riscontrino i difetti di buona parte delle grandi pasticcerie… prima o poi qualcuno riuscirà a rilasciare un’”organolettia” diversa, nei lievitati, nelle sfoglie e nelle frolle… prima o poi qualcuno proverà a cercare e a testarsi… per ora siamo ancora ai panel test dove sa tutto di burro…) e i bignè ben areati, sono resistenti e friabili, perfetti contenitori per creme equilibrate e ben fatte. Interessante utilizzo del caffè come stratificazione. Meno interessanti le monoporzioni. Standardizzate dall’assenza, riflettono i problemi della pasticceria italiana: non rischiare se non sui precursori. Molto francesi, senza gusti troppo definiti, eccezion fatta per un buon cremoso di cacao e per l’unico contrasto trovato: un lampone che dà acidità laddove il dolce è dolce. L’esotismo della frutta è da mono-morso…

Luca è un pasticcere con velleità molto precise, anche nei dubbi. Dentro e fuori d’Accademia. Pasticcere senza tempo. Nato così, con la voluttà del dolce, fine a se stesso e fine agli altri. Luigi Biasetto gli ha preso la testa e l’ha trasformata: a livello imprenditoriale, organizzativo e dolciario. Anche le dimensioni del laboratorio hanno qualcosa di molto vicino al nuovo sentire. Ordinato, semplice e ampio. Il lievito madre, custodito e rinfrescato giornalmente, in croissant mattutini e perversioni salate, assolutamente adeguate alla pausa pranzo (veramente ben delineata, con infusi di tè, panini e tramezzini che centellinano la qualità…), è conservato in bagno d’acqua (la legatura è un antico ricordo), perchè, a parer suo, mantiene e ridà una dolcezza più marcata. Lattico. Il resto è l’immagine di una dimora lavorativa di un pasticcere che nella fragilità ha deciso di sottrarsi alla tracotanza. Quello che passa è dell’umiltà piacevole, molto distante dalla prosopopea boriosa di chef e accademici. Luca è una bella persona, molto limpida, molto rilassante. Specchio della sua pasticceria, non lascia mezze parole o bocche spalancate… è un ascolto profondo, di consigli e di complimenti… senza mezze misure e probabilmente anche senza giusto mezzo. Luca Ori è un pasticcere molto prima della sua pasticceria… e se fosse lui a provare la rivoluzione? A dare un volto umano alla téchne…?

 

LE DELIZIE DI ORI

STARDA FARINI 19/A

PARMA (PR)

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