Alpeggi sopra Magasa. Frazione di Denai. Stalla e abitazione di Germano Eggiolini.
Una delle estreme propaggini della provincia di Brescia. Così ardua da raggiungere da sembrare sperduta e faticosa anche nel ricordo e nella scrittura.
L’associazione subitanea è quella con un posto lontano. La mia memoria richiama al presente un vecchio libro di domande. Si chiedeva quale fosse il luogo abitato più remoto al mondo. La risposta era Tristan da Cunha, un gruppo di isole nell’Oceano Atlantico meridionale distante oltre duemila kilometri dal luogo abitato più vicino.
Ecco, Germano Eggiolini è una persona molto lontana, letteralmente e metaforicamente. Il suo biotipo, interazione parossistica tra le sue caratteristiche e le condizioni ambientali in cui è nato e cresciuto, lo caratterizza come il solo e l’ultimo.
L’ultimo (tranne pochissimi coraggiosi che però non marchiano…) produttore di Tombea. Un formaggio che, nell’eccezionalità di un sapore, racchiude tutta la storia di un artigiano impercettibile, che accudisce le sue trenta mucche come fossero l’unico contatto con il commercio, con la mondanità e con il secolo.
Germano è una persona schiva, probabilmente per dovere nei confronti del suo dovere. Il lavoro riempie le sue giornate e quelle della sua famiglia. Una moglie e due figlie (ma forse un figlio e una figlia), la prima delle quali, nata quattro anni fa, ha rappresentato la prima nascita, nella frazione di Denai, e forse nell’intera comunità di Magasa, da quasi quarant’anni.
Trovare lui e la sua stalla è stato complesso e ricco di viandanti. Una via lattea, un po’ bunueliana, un po’ cristiana.
I quattro “bravi ragazzi del paese”, seduti su una panda, due davanti e due dietro, che mi hanno indicato quattro direzioni diverse. Poi si sono guardati, hanno dialettato cinque secondi e sono giunti ad un’unica indicazione. Di là con la testa e di qua col dito. Decido di seguire il dito, il declivio mi attrae.
La coppia di francesi che hanno preso casa nell’eremo dei sette nani con solo il comignolo a fare la punta oltre la strada che, alla parola Germano Eggiolini e Tombea, mi rispondono “Sentito” e mi indicano con la mano tutto il comprensorio di vallate verdi “Da queste parti”. Benissimo.
Ultimo incontro. La ragazza in topless. Su una sedia sdraio in mezzo all’erba a dedicarsi al sole e all’orizzonte sconfinato. Mi dice che lassù qualcuno produce il formaggio. Mi dirigo.
Germano Eggiolini.
Mi fa entrare dalla parte della stalla. Vari animali e la sua trentina di vacche di razza bruna alpina, chiamate con i nomi dei giocatori dell’Inter. Eccolo lì il contatto con il mondo, quell’appiglio per sentirsi meno solo.
Poche forme di Tombea, qualche formaggella e un burro (ancorchè prodotto per affioramento della crema di latte utilizzata per il Tombea e non per centrifugazione…) strepitoso, di una forza visiva e olfattoria da stendere un bue.
Questa è la sua produzione e il motivo che mi ha condotto fin lì. La fortuna non mi assiste del tutto. Quasi tutte le forme del suo gioiello sono già prenotate.
Quelle che può farmi assaggiare non arrivano ai quattro mesi di stagionatura. Il prodotto è pronto ma è lontano di almeno sei mesi dalla giusta consistenza e sapidità. È qualcosa d’altro. Fortunatamente alla Trattoria La Madia di Brione (davanti a cui mi levo sempre il cappello per lo straordinario lavoro che mette in opera sul territorio e con gli artigiani) rimedio e assaggio l’anno e mezzo (o giù di lì) di stagionatura.
– Tombea giovane: la crosta del formaggio è tendente al paglierino e non al marrone, abbastanza pieghevole ancorchè soda. La pasta è giallo acceso con occhiature anche abbastanza ampie, disarticolate e rapsodiche. Molto elastica e con un sapore deciso di latte e accennato di erba e pascoli. Niente di memorabile, ma per essere un bambino in fasce, inizio a strabuzzare gli occhi nel pensiero di Guernica.
– Tombea invecchiato: le occhiature scompaiano per lasciar spazio ad una pasta granulosa che qui sì, simile al bagoss (e non nell’aggiunta dello zafferano alla rottura della cagliata, come sottolinea Slow Food ma come smentisce Germano), rilascia un sottile strato oleoso. L’aroma di erbe diventa più accentuato e anche quello di carne e spezie. Crosta color terra di Siena e pasta di un giallo meno acceso ma più profondo. Straordinaria alternativa al Bagoss, con meno sapidità e più piccantezza.
Questa produzione, divisa a metà tra lui e sua moglie, ragazza di origine albanese che ha capito molto bene la rarità di quello che suo marito stava cercando di portare oltre, spartana, isolata e solitaria, riporta guance arrossate, parlata dialettale, pantaloni di fustagno e stivaloni verde militare. Le parole diventano solo ed esclusivamente risposte. Per le domande c’è il tempo della strada, quello dell’assaggio e quello della contemplazione.
EGGIOLINI GERMANO
VIA DENAI
MAGASA (BS)
merita tanta ammirazione una coppia di giovani su QUELLA e tramandata scelta di vita… vorrei vedere quanti farebbero lo stesso. 365 giorni all’anno senza tregua. complimenti a GERMANO e MOGLIE che hanno anche 2 bimbe da educare.