Le carni in un Trentino senza belletti… Massimo Cis

Bezzecca in Valle di Ledro. Pochi kilometri a nord-est di Storo. Su quella provinciale che comincia a scoprire quel Trentino senza pecche. Con quell’odore lontano di lago, con le montagne, ancora mezze, che adombrano e aprono straordinari panorami, mamme con le carrozzine e anziani svernanti, meglio se dall’accento teutonico. Bezzecca è una di quei paesi diventati frazioni dell’unico comune di Ledro. Per ammazzare il tempo, considerando l’irrispettoso anticipo, blocco la mia lettura, cartina alla mano e macchina chiusa causa ondata di freddo di fine maggio, per colpa di un’orda di turisti misto-olandesi, fuori forma e fuori tempo massimo. Alla ricerca di qualcosa che non troveranno mai. Almeno lì.

Il prima è una strada chiusa lunga una decina di kilometri scarsi, per arrivare al rifugio che delimita asfalto e voluttà della Val di Concei, una valle laterale che della poesia s’è fatta un baffo, con le sue staccionate a dirimere le strade e le sue case in pietra fiorita. Da lì solo misteri e bosco. Così decido di tornare sui miei passi e d’improvvisare un anticipo da tempi calcolati male.

Massimo ha il disincanto di chi ha sempre sentito la favola del luogo, quel terroir unico e inestinguibile che rende il Trentino una terra promessa da bouganville bene esposta in terrazzo e da legno ad alternarsi ai colori dei fiori. M’invita a scavare, a chiedere e a cercare. L’agricoltura della Val di Non, con i suoi cinquanta trattamenti annui in pianta, le stalle senza bollo Cee utilizzate alla maniera di un macello, con avvallo di notabili e fideisti della Magna Politica, speck locale prodotto con carni non ben identificate di bestie così lontane da un pascolo da non lasciare altro che l’affumicatura, giovani agricoltori spazzati via da calunnie, consigli dei Sette Saggi e ancien regime contadino prono alla tradizione ma soprattutto ai fondi: statali, regionali, comunali…

Massimo Cis, e altri due macellai, sono gli unici in regione a certificare le proprie carni come locali. E così, anche il presidio Slow Food della Luganega, di primo acchito incomprensibile, che tutela quello che in quelle lande è definibile come salame, è una certificazione che i maiali, allevati sul territorio, provengano dall’allevamento di Armando Bronzini. Sale, pepe, aglio, un pizzico di nitrato… un prodotto semplice, stagionato una quarantina di giorni, ottima masticabilità, facile accompagnabilità… la normalità di quello che Slow Food dovrebbe dare per scontato al cospetto della serietà… In Trentino?? In quel Trentino al cui cospetto i paesi cambierebbero regione, la cui economia è così ben strutturata da non lasciare segni di decadenza se non nel pruriginoso, il cui benessere è così issato a gonfalone paradigmatico da non rilasciare che effluvi di auto nuova e portiera appena aperta?? Non mi dilungherò, ma qui si fa ancora a gara a chi ha più generazioni di macellai alle spalle. E Massimo, un po’ fa spallucce e un po’ rimane frainteso e invischiato. Qui anche le visite fiscali sono vittime dell’invidia. I vicini di casa sono i primi concorrenti e gli ultimi clienti. Ma nel giro di poche mosse ben assestate, possono diventare i primi clienti e gli ultimi concorrenti. Un po’ di finezza e un po’ di malizia. Massimo lascia fluttuare il negozio in mezzo a una clientela assente e si dedica al laboratorio e alla promozione. Così attira: ammirazioni e gelosie.

Probabilmente l’idea di portare cultura si è trasformata in un seppuku economico. L’esigenza del turista o del milanese è quella del piccolo spaccio di Madonna di Campiglio, con il trancio di (S)Peck sotto vuoto, della stessa dubbia provenienza dell’Esselunga di Viale Papiniano a Milano. Ma i numeri e il concetto di prodotto tipico tengono il sorriso degli infidi commercianti, baciati da sole e neve, allargato sui trentadue denti e sui duemila scontrini. Il lavoro di Massimo sui prodotti, sull’assenza di conservanti ed edulcoranti, sulla filiera di bestie e alimentazioni, sul rapporto diretto con il suo allevatore di Limousine, un contadino a tutti gli effetti (uno di quelli che era il motore di Casse Rurali e modi d’essere…), è un diversivo fine a se stesso o fine alla volontà, per ora ferrea, di continuare a fare le cose come si facevano e come andrebbero fatte. Ma qui, frollature, lunghe stagionature, provenienze e tagli poco nobili da animali invecchiati nel sapere non interessano. Carne magra e rosea! Questo il diktat. Fortunatamente Massimo ha ancora il piacere del colpo ad effetto, ha ancora quella competitività traslucida e notturna.

Il riassunto sul prodotto ne enuclea tre, forse quattro… assolutamente fuori dalla quotidianità… dei trentini innanzitutto. Lo speck (e qui ha cominciato a testare dei prodotti in totale assenza di nitrati…) è dolcemente affumicato nel truciolato, uno strato di grasso definito, profumato e fiorito, senza lasciti alla magrezza del cliente finale, una stagionatura di otto-nove mesi, e una straordinaria masticabilità. Il gusto si sviluppa con il tempo. È un derivato più che un impatto. Assomiglia a quello di un noto norcino alto-atesino… ahahahahaha…

La carne salada è l’assaggio che mi ha spinto fin lì. Conciata con sale e spezie, lasciata riposare in salamoia qualche settimana, retaggio dei bolliti locali e della povertà bisognosa di tempo, rosso a fuoco sullo sfondo sbiadito, con un impatto d’aglio assolutamente corroborante. Forse un filo troppo magra ma assolutamente nella parte…

I wurstel, preparati con la carne di Sergio Capaldo de La Granda, sono assolutamente straordinari. Non ci sono maestranze e nemmeno diplomi a dimostrare la bontà di una lavorazione che, sì abbisogna di un colore succulento, ma no non abbisogna della strutturazione ingredientistica data per acquisita ai più. Non c’è molto da aggiungere, anche perchè latitano paragoni…

A corredare il tutto dell’arista di maiale affumicata assolutamente inaspettata, ancorchè non perfettamente consistente. Padella, pochi secondi et voilà il fast food…

Massimo potrebbe tranquillamente uscire da un appezzamento agricolo siciliano o da un fiordo norvegese, sentimentalmente apolide, emotivamente empatico, ha una costruzione scenica da polar francese. Vuole scoperchiare il vaso, il silenzio lo attira il giusto. La sua critica è più una beffa che una razionalità. È sarcasticamente improntato alla vendita piuttosto che alla cura. Di merci, persone e luoghi comuni… Massimo è una tradizione spontanea che né la volontà né il pressapochismo potranno sradicare…

 

MACELLERIA CIS MASSIMO

VIA XXI LUGLIO 8 BEZZECCA

LEDRO (TN)

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