Saint Vincent. Pasticceria Morandin. Ore 17.30.
Ci accoglie Barbara, moglie di Mauro e ci conduce per quasi tre ore all’interno del suo regno, dei suoi segreti e della filosofia di una pasticceria assurta a simbolo di una certa resistenza: quella che ripulisce la superficie dai modelli.
Barbara è la comunicazione e i modi di fare. Una straniera della pasticceria che per amore ha completato quello che il tempo, i sogni e la passione avrebbero tolto a Mauro in termini di bellezza e armonia.
Loro due sono fuori da tutto. Sono usciti dai circoli intellettuali-gastronomici, dalle Accademie, dalle scuole, dalle consulenze. Hanno portato avanti due idee: la genuinità prima della bontà e l’educazione prima dell’arte. E così è stato.
Hanno eliminato totalmente le sovrastrutture concettuali e pratiche che avrebbero facilitato un percorso alla ricerca dell’esclamazione del “foormidabileee!” e sono rimasti spogli e nudi di fronte ad una morale pauperistica e in qualche modo propiziatoria. Quella che dà modo al tempo di avere ragione.
E così è stato…
… conseguenziale c’è il prodotto, che è sempre un passo indietro all’uomo, alle mani dell’artigiano e a quella capacità di conferire sapore ai sogni e sicurezze agli incubi… crea assuefazione, stupore e meraviglia… il tutto, senza passare attraverso gli occhi.
Il laboratorio di Mauro e Barbara Morandin mi è parso a tutti gli effetti un luogo dove non si educa il gusto ma lo si crea, partendo da un unico e dogmatico imperativo: formazione.
… prima di Mauro, però, sono arrivati gli assaggi e la facilità della parola è sparita, lasciando spazio ad una Babele aromatica che dall’incomprensibile, si è spostata verso la foschia, si è adagiata nel chiarore aurorale di occhi incispati e vista soffusa ed è terminata allo zenit di una comprensione sempre diversa da quella del suo creatore, allenato e vaccinato alle novità…
…la ragione, l’espressione e l’emozione hanno lasciato spazio allo smarrimento e ai tempi lunghi (quelli che il padre di Mauro, Rolando, ha insegnato, ha pensato e ha sognato in anni di notti passate con il lievito naturale sotto il cuscino e con la lentezza come armatura…).
Quando l’innovazione si invera in maniera così sincera nella tradizione, lo shock spezza il fiato:
– Panettone: è altro. La frutta è candita all’interno del laboratorio (per dirlo con le parole di Mauro “Non c’è nulla di strano… tutte le pasticcerie torinesi sono strutturate in questa maniera…”) e, abbandonando il glucosio e il rapporto con la plastica, dimostra di avere un odore molto prima di un sapore. E ne impregna il panettone. Qualcosa di unico. Incredibile. Manca di quell’umidità che non fa parte della ricetta originaria ma che ha obbligato i pasticceri ad incontrare l’esigenza dei clienti, appagati ma mai educati.
La farina (Mulino Quaglia ndr…) sopra tutto, sopra il lievito (di tradizione veneta, con una madre di più di ottant’anni e bagnato continuativamente in acqua…) e sopra il burro. La naturalezza di qualcosa che non ho capito e che ha bisogno di tempi, disagi e fratture col passato. Epoché ammirata.
– Panettone con marroni canditi: odore forte di nocciola e di burro, sapore vellutato di lievito, colore giallo paglierino, contatto tra i denti e le castagne di piacere senza uguali. Occhiature accentuate e profonde. Strutturalmente è molto più vicino all’idea di un panettone tradizionale. Uno dei dolci più buoni della mia vita.
– Pasta di mandorla: agrumata e perfetta. Mia moglie l’ha messa nell’Olimpo, in rarefatta compagnia, con quella di Massari.
– Cioccolato: si potrebbe scrivere un’enciclopedia. Mauro è la materia prima, l’operaio, l’ingegnere e l’artista. E’ tutto in una persona sola. Parte dalle fave di cacao (con il sogno mai sopito di poterne avere dalle sue piantagioni…) di almeno sette origini differenti. Dal trinitario, al Ghana. E’ insoddisfatto dei mono origine, lavora i blend perchè gli danno quella soddisfazione che i cru, autoriflessivi e narcisi, pretenderebbero solo per sé.
Gli toglie l’acidità, perché la sua visione gliela mostra come un difetto, rilasciando un prodotto differente, unico, mai sentito. Né perfetto né già tracciato. Qualcosa di altro, che diventa arte nelle sue creazioni, nelle sue praline e nei suoi bonbon. Gianduia. Genepì, barolo, brunello, pistacchio. Nessun colpo di testa (la contemporaneità di accoppiarlo col sale non è di suo gradimento…). Tradizione piemontese trascinata fuori dall’oblio. Una filiera completa di sensazioni e sguardo lontano sulle vette innevate.
– Marron glacè: sciroppati ma senza glucosio, mantengono intatto il sapore di un frutto e di una stagione. Non rilasciano né zucchero né la faccia compiaciuta ma riluttante ad un altro assaggio. Assuefacenti. Straordinari.
… poi arriva Mauro. Sembra un uomo timido, con braccia muscolose e vissute, con sguardo sicuro ma riflessivo. Ci porta in giro per i suoi laboratori, ci mostra i suoi macchinari che vengono da altre epoche, da inizio novecento o addirittura dall’800. Aggiusta e brevetta al posto di acquistare. Il nuovo non lo soddisfa. Piano piano alza lo sguardo e inizia a raccontare… a raccontare… a raccontare.
E mentre racconta, insegna, placido e rassicurante. Non si può non imparare. Se si avesse un’idea di ricerca, non si potrebbe che volere lui come maestro. Mostra e non dimostra. In una parola sola: educa.
La passione lo trascina nella narrazione. Cacao e Torino: gli brillano gli occhi. Il fascino e l’ammirazione verso l’origine e verso il passato non si è mai trasformata in boria e volontà di superamento. L’allievo è rimasto allievo e il maestro è rimasto maestro.
“Prima ho assaggiato i bignè con la crema chantilly. Pazzeschi”, gli dico.
“Seguimi”, lui.
Mi porta in laboratorio e la prepara al momento. La mette in una vaschetta e mi indica il panettone come accompagnamento. Panna e crema pasticcera in un melange dolce ma senza il dolce. Un giro all’inferno e uno in paradiso.
E poi si rimette a parlare di cioccolato…
Ore 21.50. Barbara gli fa presente che devono cenare e le figlie lo aspettano… e io le ho invidiate un po’…
PASTICCERIA MORANDIN
VIA CHANOUX, 105
SAINT VINCENT (AO)