Rimini (Brianza). I sentori di riviera romagnola si colgono e si vedono nei capelli e nelle scarpe. L’accento è genuflesso all’internazionalismo. Il giubbotto, la nebbia e il clima rigido ti portano molto lontano dalle spiagge unte di cacofonia. Rimini-Milano-Monza-Cassago Brianza-Monza-Bologna-Padova-Monza-Milano-Vimercate-Monza-Rimini. Questo il percorso di Beniamino Bilali nel giro di cinque giorni. Quello che un itinerante consulente lievitista, con il vezzo del pizzaiolo e dell’insegnamento, è costretto a fare per mostrare e per dimostrare.
Il panificio è quello di Davide Longoni, il miglior “allievo” (o maestro, nella cortocircuitazione di ruoli, impasti e mestieri…) che uno possa sperare di avere. Il ritmo della quotidianità, del pane sfornato nottetempo, dei mercati e delle lezioni, ha bisogno dell’alternanza, dell’entusiasmo e della scoperta. Beniamino percepisce, decentra il lavoro verso il pane e sforna la prossima quotidianità di Davide. Il sorriso e le diciotto ore lavorate consecutivamente fanno il resto.
Beniamino è un ragazzo albanese, nato a Durazzo nel 1985. Famiglia di pasticceri sociali (sotto Hoxha la scelta non è che un’intenzione: torte definite, di Stato, buone ma anche giuste e patriottiche…quattro o cinque pasticcerie per città), diventata, e anche oggi è così, di pasticceri individuali. Italia a 14 anni a seguito di uno zio. Studi sfiorati e piaceri romagnoli. Per pagarsi la scuola, inizia a fare pizze. Poco dopo, comincia a studiare per farsi pagare le consulenze. Il tutto in un numero di anni poco definito. Riccione, Rimini, San Patrignano. La corte di Muccioli si accorge di lui. Anni d’oro di sperimentazioni gastronomiche. Cazzamali, Beltrami e Pediconi. Quest’ultimo, in cene-simposio, insieme a Ezio Marinato, lo tiene a battesimo. Beniamino cresce, legge e prova. Fino all’idrolisi dell’amido e alla sua gelatinizzazione. Pediconi è stato il cattedratico autoritario che ha invitato il giovane a farsi le ossa (ancorchè, ad oggi, la stima di Beniamino verso Giuliano sia immutata…), Marinato, l’unico, quando Beniamino aveva 22 anni e iniziava a parlare di idrolisi dell’amido, a prenderlo seriamente, guardando al futuro. Anche perchè l’industria alimentare ne ha sempre sfruttato i principi.
Nell’artigianato, invece, l’incontro era casuale, nessuna standardizzazione ma, soprattutto, nessuna codifica. Beniamino ha deciso di applicare il tutto alla pizza.
Idrolisi e gelatinizzazione dell’amido. Nomi che generano distanza e sospetti. Gastronomia molecolare, texturas ma soprattutto stupore a tutti i costi, appaiono ma scompaiono subito dopo. Qui non si guarda al futuro, all’astrazione o alla “verità”, qui non c’è nessun “nuovo” sapore. Si scorge solo un po’ di più il passato, il grano e la sua purezza.
Spiegazione in riminese arcaico, mischiato a tosk e ad un po’ di dialetto brianzolo: il chicco del cereale, soprattutto in presenza di farine integrali o di grani spezzati, è ricco, naturalmente, di lieviti ed enzimi che possono innescare una fermentazione. L’impasto lievita, in assenza di altri ingredienti che non siano acqua, farina e sale. Il processo si chiama “idrolisi dell’amido e sua gelatinizzazione”: scissione degli amidi con il calore dell’acqua (sui 100 gradi, altrimenti avviene solo l’idrolisi ma non si forma la gelatina) che favorisce la fermentazione da parte degli enzimi (principalmente l’amilasi). Il prodotto che ne deriva è leggero, digeribile e alveolato. “Già digerito” come sottolinea Beniamino.
Vedere un pane di segale, tagliato con del mais Sobrino, con sì un’aggiunta di pasta madre di frumento, riposare in idrolisi 24 ore e poi uscire dal forno, con occhiature nuove, una diversa profondità e uno spessore gustativo unico (note floreali e di miele d’acacia), ma soprattutto guardare la faccia del panificatore carnefice/vittima di questo risultato, non ha prezzo.
Beniamino è molto sicuro di sé, nel giudizio, nel palato e nell’accordo con il suo mestiere e piacere. Ancorché prima o poi sbarcherà in una grande città, ha il disinteresse verso la moda fine a se stessa e verso la chiacchiera da “nome sulla bocca”. Il giornalista lo irretisce perchè scomoda la sua parte banale. Quando sente aromi nel panettone, ci becca, quando critica la cottura dei friarelli, ci becca e quando suggerisce tempi e modi di fermentazione (prima che di lievitazione… perchè, ed è bene che lo ricordi a me stesso, il lievito madre, straordinario account contemporaneo, può, lentamente, essere soppiantato, in alcune lavorazioni, dal lavoro sugli amidi…), ci becca e ci becca anche quando trasforma un poolish in un lievito legato strabordante (note lattiche d’impatto e acetiche sottese).
Il trompe-l’oeil del tamarro rivierasco è comunicativamente straziante. Per gli altri. Commenta se in dovere, a volte cincischia e a volte si emoziona (come all’assaggio di un succo di frutta o di un cioccolato di Marco Colzani). Si fa tirare in mezzo da vecchiardi gastronomici col vezzo della pietas e della cazzata, ma soprattutto sforna un paio di dischi, base per pizze o per focacce, di straordinario impatto intellettivo. L’emozione attende il suo forno e i suoi tempi.
Il lavoro idrolitico toglie acidità e dona dolcezza (ancorchè questa affermazione non persuaderebbe, per esempio, Massari…), finanche a quella punta acetica che porta il pane a casa, tra botti di legno, letti di paglia, catoi e annate particolarmente fredde e umide. Tralasciando gli aromi di “quaglia” (intercambiabili alla bisogna), la focaccia è alveolata, fragrante, masticabile, estremamente dolce. Si accompagna a tutto, appare in una Margherita cotta a metà o in una focaccia per il pranzo dei milanesi nel futuro che diventerà presente.
C’è voglia di sperimentazione, forse di rivoluzione. La Germania degli anni ’70, quella dei Can e di Werner Herzog, è dietro l’angolo. Beniamino e gli “altri” hanno necessità di traduzione, non di televisione… di Cesare Pavese e non di Antonella Clerici… speriamo in bene…
BENIAMINO BILALI
320/5792087
RIMINI (RN)