L’Oca di Sant’Albino è radicata in un ritorno… Davide Gallina

Casoni Sant’Albino. Mortara. Una Lomellina di concetto e di fruizione, dove i cimiteri sono ancora strutture da glorificare, le cascine comprese da un presente che non le ha rese dormitorio, le case tipiche strutturate ad elle rimangono nel decadimento delle facciate e in famiglie che rispettano ancora i tempi del lavoro e del riposo, e le piantagioni di bambù estemporanee non tolgono nulla al fascino di orti dove la vite e il fico fanno ombra a piccole coltivazioni per contadini rugosi che dell’oltre non hanno mai annusato l’esistenza. Queste frazioni, che si dividono tra i fossi delle nutrie e le fioriture della camomilla, passano inosservate perché fuori dalla produzione al di qua del desiderio. Qui c’è una congerie di personaggi che arrivano e se ne vanno, si siedono su sedie di plastica, prendono seghetti per intagliare il legno e passano per vedere se quel qualcuno che c’è sempre stato continua ad esserci. Davide Gallina non poteva che definirsi qui.

Mortara è legata strenuamente al culto e all’allevamento dell’oca, qui si sono formate associazioni, si spuntavano prezzi e si facevano ingrassare fegati. Gli anni ’80 hanno visto susseguirsi tutta una serie di mitologie e personaggi che hanno dato alla Lomellina un lustro lontano dalla solita risicoltura. Qui l’oca è una questione atavica e contadina, il maiale dei poveri, quello che tutte le cascine, anche le più indigenti, si sono sempre potute permettere. Prima degli ebrei, della comunità forte che insisteva sul territorio e della necessità di trovare un surrogato al suino, i contadini avevano già intuito le potenzialità di un allevamento diverso, per certi versi più semplice e sicuramente più democratico. Era il 1982 e la mamma di Davide si è dovuta licenziare dal maglificio dove lavorava per curare la madre malata. Così l’assenza di uno stipendio ha ingegnato la mente e quale migliore possibilità dell’oca in quel territorio acquitrinoso e produttivo?

Il tempo di crescere e Davide, a metà anni ’90, ha preso in mano l’allevamento per trasformarlo in qualcosa oltre il folklore e l’autoproduzione. Ha deciso che l’oca non dovesse essere scissa ma dovesse completare una filiera che a Mortara non ha tenuto quasi più nessuno. Così ha costruito il macello, lo spaccio e i locali di trasformazione. La passione avicola non doveva limitarsi a pennuti grigi francesi e romagnoli ma spingersi verso i germani, i polli, le faraone e i tacchini. Allevamento all’aperto, poco concentrato e molta libertà alimentativa, il mondo del selvatico, quel biotico che in viticultura sta mietendo vittime a prezzi proibitivi attraverso le solite leggende della “natura fa quello che crede” rendendo l’abbandono la primizia perduta, in Lomellina, nel mondo miasmatico dei pennuti, non esala lo stesso fascino. E così le erbacce rimangono erbacce.

Dell’oca, come del maiale, si scarta proprio poco, se non nulla. Davide macella praticamente ogni giorno, ma non tutti i periodi dell’anno sono uguali. Da settembre fino a gennaio la carne fresca trova i riscontri migliori, in peso e struttura, nel resto dell’anno ci si dedica sopratutto alle trasformazioni di prosciutti, salami con magro d’oca e grasso di maiale (strepitosi), salami ecumenici dove il grasso arriva dall’oca stessa per esigenze giudaiche che si perdono nella notte dei tempi, zamponi, ciccioli, quartini sotto grasso, bresaole e ragù.

Poi scopri i polli, i tacchini, le faraone, le anatre, vedi un avicoltore innamorato di quello che sta facendo perché, nella situazione rigettante dove la contemporaneità non riesce ad arrivare così sotto traccia, ha deciso di fregarsene. C’è gente che arriva e gente che parte, il rimanente è un palato diffidente che lentamente penetra nel satinato con gusti più sapidi, fuori dal controllo morbido in cui tutto viene normalizzato. Il prosciutto è estremo, ma ha i suoi estimatori, il contestuale del ragù e i salami sono prodotti preziosi che Davide trasforma con sapienza ma senza un racconto edulcorato per arrivare al compromesso. Qui non si smacchiano le coscienze di chi pensa che il prodotto sia un’apparizione magica nel piatto, senza una storia di soprusi e accrescimenti, qui semplicemente si alleva.

Quegli occhi gentili hanno lasciato la crudeltà fuori dai confini e la supponenza di vendere filiere, come fossero sacri graal, l’hanno dispersa a sedicenti rughe che non hanno nulla oltre l’epopea di un tempo che non è più…

L’OCA DI SANT’ALBINO

VIA CANOVA 11

MORTARA (PV)

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