Palermo. Al confine con Villabate. Tra l’autostrada e via Messina Marine, al lembo di quei quartieri che non sono più famigerata periferia ma che non sono ancora orti urbani. Una terra di mezzo che all’immaginazione ha sempre preferito la concretezza degli odori e delle voci. Acqua dei corsari è un abbandono di archeologia industriale, con ciminiere e mattoni a vista, lascito di un XX secolo che divideva le proprie giornate tra lavoro e fede. In quella qualunque attività che rimaneva a contatto con una realtà difficile e proletaria. Questo è un luogo di un mare che è come se non ci fosse. Nei grandi sobborghi metropolitani, si chiamano snodi, impersonali deviazioni delle periferie, qui a Palermo c’è un’umanità sensibile che si coglie appena si varca la prima precedenza non data. È in posti come questi che Palermo è diversa dal resto del mondo. Con i suoi miliardi di problemi e con i suoi ineguagliabili pregi, qui si può fare ancora artigianato, si possono mettere in comune delle possibilità che in centro diventano puzza di fregatura. Qui, i fratelli Terrana hanno deciso di dare vita, ad inizio 2013, alla loro storia di panificazione e di grani siciliani.
Loro padre era un raffinato barman dalle raffinate maniere che, ai tempi del jet set in bianco e nero, era professionista e confidente. E così Domenico ha provato a seguire la sua strada senza futuro, perché oggi il peso del contesto non ha più fascino. Si è ritrovato con suo fratello Nino, cominciando il lungo lavoro della pizzeria d’asporto e della guerra dei prezzi, in una Palermo laterale che, non ancora massificata, è rimasta allo stato brado. Lì c’è stato tempo e voglia di crescere. Fare i corsi giusti, ascoltare professionisti parlare di lievito madre, provare a farselo in casa, dargli un nome e affiancare suo fratello Domenico, ormai dedito integralmente alla pizza, sperimentando le prime pagnotte. Nino è laureato in Scienze Naturali con una predilezione per il lavoro. Cosa difficile da realizzare in queste terre “di terra e sassi”. E così dopo qualche anno in fabbrica, ha seguito suo fratello, cercando la propria via. Un viaggio alla stazione sperimentale di granicoltura a Caltagirone et voilà. La scoperta di un mondo di grani duri antichi, di promulgatori e di apologeti.
Sfruttando conoscenze biotecnologiche e ettari da coltivare nella zona di Mezzojuso del cognato Fillippo, Domenico e Nino hanno deciso di piantare il loro bidì per vedere gli sviluppi e per provare a chiudere quel cerchio che con Filippo Drago (Molini del Ponte a Castelvetrano) e Michele Cuffaro (Frantoio San Michele ad Altavilla Milicia), mugnai, custodi e ricercatori a loro volta – “ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” -, ha visto ri-attualizzare quella panificazione siciliana ferma al tempo della pietra e del pane chiuso senza alveolatura, retaggio di madie compressive che trattenevano compattezza e pudori. Perché l’archeologia del grano non basta e non deve soddisfare solo palati esigenti o banchetti televisivi, deve obbligatoriamente passare attraverso panificazione e quotidianità. Quella che Nino sta cercando nel suo laboratorio.
Lievito madre e uno starter di birra. Buona idratazione e ottima crosta. Il forno a legna riadattato per lavorare con i pellet dà i suoi frutti, la mollica non è troppo fitta, le bruciature sicule ci sono e non se ne può fare a meno, i sapori erbacei di Perciasacchi e la mandorla dolce della Tumminia escono prepotenti in prodotti pieni, in forme da kilo, in una differenza siciliana pronta ad usare la Maiorca perché il grano tenero ha un senso e continua ad averlo, a partire dalle Madonie. Ma non solo. Potrebbero arrivare i mulini a pietra del nord, quelli che creano contemporaneità, soprattutto nelle forme. Adesso Nino è concentrato sui suoi strepitosi tumminelli e su quei biscotti recuperati dalla tradizione e da mettere a punto nello studio di una frolla che vuole zuccheri e grassi adatti ma che non può prescindere da fragranze uniche, semplici, senza aromi e sovrastrutture.
Domenico, nella purezza presa dal padre, in quello sguardo quasi sospeso, mentre mostra con fierezza tutti gli oltre cinquanta grani duri che la Sicilia ha difeso dal glutine, traguardandoli nel secolo, sta lavorando sulla sua pizza, sui processi enzimatici, su quelle lunghe maturazioni che hanno un senso se associate ad una cultura e ad una bontà. Perché ormai la rivoluzione la conoscono tutti e i processi per arrivarci pure… quello che manca sono i volti di persone che dal nulla hanno deciso di costruire una conoscenza. E così questo è il tempo di lavorare sui profumi e gli abbinamenti, ma il futuro prossimo potrebbe essere quello della tecnica, per riportare tutto a quella soluzione di filiera finale che in Sicilia ha sempre subito l’ombra torva degli spacciatori di pasta madre e dei costruttori di mulini autoportanti.
I grani antichi hanno bisogno di esecutori siciliani. Questo è il futuro…
MASTRO FOCACCINA
VIA GALLETTI 201
PALERMO