“Non mi sento un artista, mi sento più come un artigiano, perché un artista crea un’opera che non può più essere riprodotta, con cui non si può fare copia e incolla. Mi sento come un modesto artigiano che si limita a ripetere ciò che ha annotato e scritto nelle sue ricette”. Ecco, potrebbero essere parole mie, invece sono di Michel Bras, la storia della cucina francese. In un’impietosa sovrapposizione con le immagini dedicate ad un impenitente artista (o chef) italiano, ha delineato in poche parole la visione di una cucina, di una scuola e di una nazione. Noi abbiamo bisogno di ascoltare Venus in Furs e di essere circondati dalle opere d’arte di Enrico Baj, citare Picasso o Joseph Beuys, far vedere i nostri vinili, mostrare ricchezza e (di)mostrare di essere artisti. L’artista circondato dall’arte è un mero esteta che ricerca l’arte per osmosi dall’opera stessa. A Ozu bastava un corridoio, a Celine le follie di una caserma, a Zola i colori di un cavolfiore, a Herzog del legno intagliato, a Faulkner della polvere. Come diceva Artaud “per capire un girasole in natura, da adesso bisogna rifarsi a van Gogh”: perchè i girasoli di Van Gogh sono più veri del vero. Come i corridoi di Ozu e la polvere di Faulkner. E questa è gente che non scriveva attorniata dai quadri di Cezanne. Celine scriveva in mezzo alle ferite, Ozu era il suo operatore di macchina, Faulkner ha dedicato un libro al trasporto di una madre morta, Joyce due pagine a una pisciata. L’arte non ha bisogno di contorni. Michel Bras è uno straordinario esponente della sua cucina perchè ha capito i concetti di ripetibilità e conservazione. E’ un artigiano che non si vergogna di esserlo. Non cita, non si atteggia, non imbonisce, non trasmette. Cerca di comunicare e cerca di lasciare qualcosa che non sia mera stagionalità… Forse saranno la vecchiaia e la cultura… Dure, poco appaganti e salvifiche… Michel Bras è Eugenio Pol, è le sue erbe… un artigiano senza montature…
Michel Bras e l’artigianato: chiarezza o confusione?
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