Peveragno. Placida collina alle porte di Cuneo e nell’ombra della Bisalta. La montagna, nelle giornate di sole, dissolve i pensieri e li abbassa al livello della vista. Quando rimane una sdraio e un prato, il resto è un decadimento capillare dei bisogni finanche dei desideri. Le valli si sentono, sono dietro l’angolo, i boschi si comprimono verso il fondo, lasciando l’erba e le fioriture in fieri a farla da padrone. Le strade abbandonano la linea retta e incominciano una tortuosità plumbea, scavando ombre e inoltrandosi in quello che ha ancora le fattezze di bosco. Qui non c’è una complessità selvatica, un magma deforme di possibilità e desideri, qui i campi sono arati, l’erba curata, i fiori piantati. Qui c’è la netta sensazione di trovarsi in un sottobosco emotivo, prima che fisico. La montagna incute, la città non stressa, i fiumi tagliano, gli animali pascolano, le persone costruiscono giardini e villette, guardando il territorio e ricavandoci una maniera di esserci. Qui esiste una complementarità tra l’uomo e il suo habitat. Niente storture, niente brutture e nessuna angoscia.
C’è una strada principale, che solca la provincia, senza clamori. Le costruzioni sono sempre contestualizzate e sobrie, non c’è nulla di periferico, ci sono solo paesi, frazioni e divisioni territoriali. Alla sinistra di una di queste vie, che prendono sempre il nome della meta da raggiungere, c’è la villetta di Floriano Turco, colui che porta le api in alpeggio.
Sede e abitazione sono molto distanti. Il punto di raccordo è ad Elva, minuscolo avamposto di frontiera occitana, tra l’Italia e la pietra. Lì, per caso, un giorno dove la neve saliva direttamente dalla terra, l’anziano amico apicoltore, Ercole, tra il racconto e la paura per le cassette delle api ricoperte dalla neve, lo iniziò al nomadismo e alla sua prima arnia. Qui, oltre i duemila metri, Floriano Turco guarda tutti i suoi colleghi fino al diradare della pianura. Solo in montagna le api possono ricercare il biologico, solo attraverso il supporto di amici agricoltori e allevatori che gliele curano quando lui è altrove, le api possono continuare ad essere insetti sociali. La banalità del millefiori, da Floriano viene ribaltata in un millefiori ai profumi di montagna. La fioritura del timo serpillo svetta, balsamico e pungente. Un caleidoscopio di essenza, racconto e tradizione montanara.
“Il miele è un’abitudine”. Eccola la realtà. Dietro la banalità del consumo medio annuo dell’italiano, si cela il suo consumo settimanale o forse giornaliero. Ovunque, come surrogato, come succedaneo, come esaltatore, come protagonista e come contesto. Dalla macedonia al tè, la ricerca di nuovi mieli e di nuove fioriture, è una continua analisi sensoriale tesa verso l’ideale. Qualcosa che lascia il “potrebbe” per abbracciare il pratico. I campi si colorano di giallo e le api si spostano, bottinando il tarassaco, diventano pervinca e la stessa cosa succede con l’erba medica, si colorano le piante del ciliegio o dell’ailanto e gli sciami s’incupiscono sotto foglia, all’interno di chiome prosperose o rade. Ma non tutto è paesaggio. La crisi e l’incuria contemporanea hanno la necessità di trasformare il colore in grigiore, attraverso il furto del “fuoco”. Proprio vicino casa, gli hanno portato via sette arnie, lasciandogliene tre… abbandonate al destino e alla malinconia. Come prova provata del suo mestiere, quelle arnie non fungono più da mostrazione di bellezza ma solo da nascondimento e vergogna. Ci spostiamo a Chiusa Pesio, ricercandone altre, ancora intatte. La passione delle api è più un’assenza che una presenza. È un pensiero solerte sul pascolo che verrà e sul lavoro che puoi solo curare, guardando le danze, indirizzando senza coercizione, senza antibiotici e senza nerbi.
“La cristallizzazione non è né una qualità né un difetto… è per definizione…”
Le sue ligustiche sono la miglior percezione del prodotto finito. Prescinendo da acacia, castagno e la rara melata d’abete (prodotto straordinario, similare ad una confettura, scuro con sfumature verdastre, legnoso, maltato, quasi affumicato, resinoso e umido. Niente nettare ma secrezione zuccherina… poco glucosio e molta acqua, il miele rimane liquido a lungo…), i mieli prodotti tendono alla cristallizzazione. Meno fruttosio rispetto al glucosio. Soluzione soprassatura di zuccheri: ne contiene più di quelli che possano rimanere allo stato liquido. Tranne rare eccezioni sopra espresse, tutto ciò che di liquido si muove tra gli scaffali dei supermercati, le botteghe gastro-chic e le medie apicolture di pianura, è una soluzione scaldata al di sopra dei 25 gradi, dove la maggior parte delle qualità organolettiche viene perduta.
Floriano segue la stagionalità, piazza le arnie all’interno o poco fuori quelle valli cuneesi così coreografiche e così assolutamente identificabili. Ognuna con i propri formaggi, ognuna con le proprie coltivazioni e ognuna con i propri mieli.
Il rododendro è molto chiaro e totalmente cristallizzato. Duro (si può supplire, decidendo di utilizzarlo in giornata, di scaldarlo a bagnomaria…), chiaro, pastoso, sentore di lamponi, gusto molto floreale, poco stucchevole e poco dolce; la lavanda (Floriano ha fatto degli esperimenti anche tra i campi della Provenza) è molto lontana dalle nostre abitudini e dai nostri sapori, impatto eccezionale smorzato da una lunghezza insostenibile; il millefiori del cuneese è compatto, semplice, quasi pedissequo; la melata di bosco è poco dolce, con forti sapori di caramello e malto; il tiglio ha un retrogusto mentolato e fresco. Sono mieli complessi e rari, è difficile trovare somiglianze e comparazioni. Traggono forza più dal genius loci che dalla lettura, più dalla passione che dall’educazione. Sono l’anima di momenti, di intenzioni, come la rosa che omaggia la figlia, attraverso un miele d’acacia profumatissimo, o la birra, prodotta insieme a Pausa Cafè, con un miele profondamente radicato negli odori e nel palato. Floriano è una persona semplice ed equilibrata, non crede alle patine e nemmeno allo sfiorire della bontà, convinto di come la naturalità del quotidiano non sia un etichetta o un’autocertificazione, ma uno stile, quasi una missione… senza convenevoli…
APICOLTURA BIOLOGICA DI FLORIANO TURCO
LOCALITà SAN GIOVANNI
ELVA (CN)