San Giovanni Lupatoto. Pochi kilometri dalla serenissima autostrada. Proliferare di aziende e di demografia spinta. Eppure il nome direbbe tutt’altro. L’ombra dei boschi e dei lupi non è rimasta nemmeno come riflesso o come poesia, tutto è stato rapito al fulgore rivoluzionario di un’industria fatta di pandori, tortellini, vetro e cravatte arancione-fiamma-affitta-garanzie di un sabato mattina dalla porta sempre girevole e dal sorriso sempre ipotetico su un consiglio da seguire mutuato da un corso motivazionale.
Appena fuori dal centro, in una strada periferica, all’interno di una palazzina che sembra uscita dalla Costa del Sol, appare la Pasticceria-Confetteria Lorenzetti. Anima, cuore e manualità di una provincia che ha provato a non abbandonare la sua affezione artigianale, nonostante le lusinghe, i sindacati, la città diventata hinterland e una pianura senza volto e senza passione. Perno da cui tutto parte e a cui tutto torna, il mastro-pasticciere Daniele Lorenzetti, seconda generazione di una genealogia spezzatasi troppo presto.
La pasticceria è fuori moda, con un legno molto caldo e una struttura piena di saliscendi che non aiutano la vista. Mi soffermo sulle creazioni da frigo, notando un bell’utilizzo di arancia disidrata, portata a compimento di realizzazione tra un classicismo, che intravedo ma senza un retaggio così forte, e una modernità che arriva sobria, soprattutto nei design dedicati alle feste salva-posti-di-lavoro, ormai imprescindibili per arrivare a far quadrare i conti.
Daniele è veramente affabile, senza sovrastrutture o dimostrazioni, ha quell’etica dell’artigiano che non lascia mai il discorso a digiuno. Specializazione, passato, celebrità, critica gastronomica ruotano tutti attorno ai lievitati. E così, non può nemmeno immaginare che io sia lì anche per altro, che le colombe, che volano, tra Taste e Verona, in mano a giudizi risibili e vellutati, non siano il mio unico e reale motivo. Così partiamo da lì.
Morbida, umida, goduriosa. Sembra più una merenda che un classico pasquale. Occhiature filate e precise, odore molto carico di burro ma assoluta digeribilità. Nella sua versione tradizionale, ha qualcosa di assuefacente, che non riesce a farti smettere di prendere un altro pezzo e poi un altro ancora. Qualcosa di veramente unico e suadente. Non per la perfezione tecnica o per le materie prime (i classici Corman, Castellani e Pasini…) e nemmeno per la raffinatezza del gusto. Daniele, però, ha trovato quella miscellanea di ingredienti e mani che assolutizzazno il concetto di reiterazione. Non si può fare a meno di mangiarla, altro che ciliegie o patatine. Le versioni al gianduia (cioccolatosa ma fuori bersaglio…), al recioto (idea interessantissima di utilizzare qualcosa di simile al mosto nella fase di maturazione del lievito e non in aggiunta…) e all’olio d’oliva (è un buon prodotto, un filo asciutto…) non mi sorprendono e non mi riprendono dall’assuefazione.
Il laboratorio manca la modernità, ci sono tre o quattro persone che ruotano intorno ai classici, a torte da cerimonia e ai lievitati, e sua moglie che, rispettando la genesi, incarta le colombe. Daniele, per recuperare spazio all’interno di una struttura bizantina, ha creato uno scorri-lievitati che gli ha permesso il passaggio dagli 8 quintali annui di qualche stagione fa agli oltre 60 di oggi. Magie del panettone tutto l’anno e dello stagionato mentore. Provincia, regione, Italia e Svizzera. Qualche proditorio abbiatense alla ricerca del pandoro veronese (…dove l’artigianalità diviene fattura e lamentela…) e una tradizione che arriva da suo padre e si perfeziona in tre mesi da Iginio Massari. Ancora?!… lo ammetto, sono figlio del mercenariato e della stima incondizionata…
“se vuoi venire qui per un mese mi dai tre milioni di lire, se riesci a fermarti tre, puoi venire gratis”. Così l’accoglienza di un Massari, nel fulgore militare, e così un ragazzo, post servizio di leva, che sperimenta l’idea di una pasticceria nei gloriosi primi anni ’90. Ritorno a San Giovanni Lupatoto e prove di pasticciere.
Oggi i dolci sono senza fronzoli, gustosi (la sua pasticceria ha questa peculiarità di fanciullesco anacronismo, fatto di merende, di torte per le feste e di bontà senza etichetta e senza manierismo…), i macaron rispettano l’ideale francese (niente amaretto ma meringa), i bignè sono edulcorati e dalle varie sfaccettature, ottimo l’utilizzo delle nocciole, così come quello dello zabaione. Peculiare il cannoncino chiuso da un lato a vortice conico.
Daniele, che ha la passione delle 18 ore sotto il cuscino, da tirare fuori nei momenti di maggior sfavillio, ha quella familiarità veneto-meridionale che risponde immediatamente con l’atto della fiducia. Quando la discussione si sposta su temi a lui cari, pasticceri, maestri, pasticcerie, spiccioli competitor, il suo linguaggio diventa più caloroso e più colorito, come se la “cerimonia” fosse un qualcosa di oligarchico. La sua democrazia nella chiacchiera gli toglie il piedistallo, rimettendolo in un vernacolo dal volto gentile e dalle mani sicure…
PASTICCERIA LORENZETTI
LOCALITA’ VI. OLIMPIA 4
SAN GIOVANNI LUPATOTO (VR)